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Ieri si sono celebrate – in forma solenne, ma non troppo – le esequie di un grande Pontefice: Benedetto XVI, il primo Papa nella millenaria storia della Chiesa cattolica che volle rinunciare alla missione di successore di Pietro, prima di essere convocato alla “Casa del Padre’’.
Diversamente da Giovanni Paolo II, che decise di portare la croce anche nella sofferenza e nella disabilità, Papa Ratzinger ha trascorso gli ultimi nove anni della vita nel ruolo inedito di “papa emerito”, nel ritiro, nella preghiera e nel silenzio. Questa è almeno la versione ufficiale a cui cominciano a contrapporsi scenari diversi derivanti dalla contraddittoria presenza di due Pontefici (ci azzardiamo ad aggiungere: uno, Francesco, che non regna ma governa, mentre l’altro regnava ma non governava).
L’ONORE DELLE ARMI A UN PAPA SCONFITTO
In tanti anni il diritto canonico non ha mai voluto (o potuto) risolvere l’enigma delle prerogative di un Papa emerito, di un successore di Pietro che aveva rinunciato alle prerogative di Vicario di Cristo. Non reggerebbe il paragone con Celestino V, quell’umile sacerdote in odore di santità, strappato da un Concistoro del suo tempo dalla vita da eremita che conduceva.
Celestino, dopo pochi mesi dall’elezione (da luglio a dicembre del 1524) volle tornare a una vita di raccoglimento e di preghiera, perché “sentiva’’ di essere chiamato dall’Altissimo (pare che fosse, invece, Bonifacio VIII a sussurrare – con voce cavernosa, la cui eco si diffondeva tra le volte del Vaticano – «Celestino rinuncia»).
Ratzinger era un protagonista della Chiesa cattolica, un difensore e un maestro della fede e, nello stesso tempo, un uomo di governo, preposto al vertice di importanti Uffici e custode della dottrina, voluto in quel ruolo da Giovanni Paolo II, a cui era succeduto dopo la sua scomparsa.
Ma tra i due Pontefici – peraltro molto uniti in vita – vi è stata una differenza sostanziale. Il Papa polacco è entrato nello storia come un vincitore, come l’inviato dell’Onnipotente a sconfiggere l’Impero del male e a restituire la libertà (anche di professare la fede dei Padri) a milioni di persone in Europa e nel mondo. E per questo motivo i suoi nemici hanno cercato di ucciderlo in piazza San Pietro a colpi di pistola.
Benedetto XVI, grande teologo della Chiesa, è apparso – anche per come si sono svolte le esequie – uno sconfitto a cui sono riservati rispetto e stima: una sorta di onore delle armi. Ma il suo decesso non ha sollevato quell’ondata di commozione che in tutto il mondo accompagnò l’ultimo viaggio di Papa Wojtyla. Joseph Ratzinger non era riuscito a vincere “la buona battaglia”.
Elevato al soglio di Pietro, nella scelta del nome il Cardinale Ratzinger aveva voluto sottolineare quale fosse la sua visione della Chiesa che non avrebbe potuto sopravvivere separata dalle sue radici nel Vecchio Continente e dalla cultura, compreso l’Illuminismo, che vi era fiorita nei secoli. San Benedetto è il patrono dell’Europa e furono i benedettini a mettere in salvo (ora et labora) i classici di quel pensiero filosofico greco che, inglobato nell’empirismo dell’Impero di Roma, venne diffuso nel mondo da una Chiesa divenuta instrumentum regni.
Ratzinger, per tanti anni custode della fede, aveva compreso che gli effetti del relativismo, truccati da modernità, avrebbero coinvolto anche la Chiesa, se non fosse rimasta ancorata a quelli che erano ritenuti valori non negoziabili.
LE QUESTIONI DIVISIVE
Ricordo un’importante omelia che l’allora cardinale Ratzinger pronunciò all’apertura del Concistoro chiamato a eleggere il successore di Papa Giovanni Paolo II (Missa pro eligendo Romano Pontefice, nella Basilica di San Pietro il 18 aprile 2005). Quelle considerazioni sulla Chiesa cattolica si sono rivelate profetiche e anticipatrici di quanto sarebbe avvenuto nell’arco di alcuni anni e che Ratzinger, divenuto Benedetto XVI, non riuscì a contrastare.
«Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno – denunciava Ratzinger – nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf. Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo (ecco la questione centrale del declino, ndr) una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Nella resa al relativismo l’Europa – la culla della civiltà giudaico-cristiana – ha scoperto nel “vitello d’oro” del “dirittismo’’ un’altra etica “immorale’’ perché rivolta a demolire, in nome dei ‘’nuovi diritti’’, ogni principio del diritto naturale (su cui è fondata la dottrina della Chiesa) fino a consolidare le nuove dottrine nel diritto positivo, che non si limita più a trasferire negli ordinamenti giuridici quelli che sono i diritti naturali delle persone, ma li crea per legge lasciando «come ultima misura il proprio io e le sue voglie».
È il caso delle teorie sull’identità di genere, dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, di ciò che è diventata la stessa Ivg che non è più un rimedio a un danno maggiore, ma è divenuta un ius vitae necisque della donna, sul quale è proibito persino aprire un sereno dibattito, a fronte della grave questione della denatalità. Poi che dire della “visione del mondo” predominante nella Chiesa? Più volte si è notato che Papa Francesco non parla volentieri dell’Europa come entità non solo politica, ma anche spirituale. Basta osservare il tragitto delle visite apostoliche di Francesco e metterle a confronto con quelle di Benedetto per accorgersi che per il primo l’Europa è marginale, mentre per il secondo rappresentava il principale terreno d’Apostolato. Ed è nella Chiesa del Vecchio Continente, dove è aperta una “guerra civile’’ che si irradia in tutte le direzioni della Comunità di Cristo.
LA VIGNA DEL SIGNORE
Sul piano dottrinale il Vaticano di Francesco non è in grado di attestarsi su nuovi valori né di difendere quelli della tradizione. Resta a metà. E dissimula le sue incertezze invocando il rafforzamento dell’azione pastorale, perché, come disse Papa Bergoglio, i sacerdoti sono custodi del gregge e devono avere lo stesso odore delle pecore loro affidate.
Il compianto Cardinale Carlo Caffarra fu il primo a criticare questa teoria: «Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina – disse Caffarra – non è più pastorale, è solo più ignorante». Se si va a rileggere il discorso di Papa Benedetto XVI tenuto a Ratisbona il 12 settembre 2006 si coglie (con parole che tutti odono, ma che compongono frasi che nessuno ha udito mai) lo stretto legame tra la cultura occidentale e il Cristianesimo. Joseph Ratzinger era, prima di tutto, un teologo, un esimio docente di una grande Università: la “vigna del Signore’’.
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