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Donald Trump

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Ombre e attese sul nuovo governo Trump, dal nodo Musk al suprematismo bianco, mentre il mondo attende il 20 gennaio per il passaggio di consegne a Washington, non è ancora chiaro come il nuovo presidente potrà mantenere le promesse di espellere un milione di immigrati e di «far cessare i cannoni di Putin». E intanto l’Europa balbetta


Tutto il mondo adesso aspetta il 20 gennaio, il giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Dall’Europa alla Cina, dalla Russia di Putin passando per l’Iran degli ayatollah e i proxi dell’ “asse del male”, dal Sudamerica all’Africa, tutte le cancellerie sono in attesa di capire come The Donald passerà dalla propaganda di tre anni di campagna elettorale all’azione di governo.
E, soprattutto, chi veramente gestirà la Casa Bianca, in politica interna e in politica estera: l’anziano presidente o il cinquantenne uomo più ricco del mondo, Elon Musk e i suoi amici della cosiddetta e autodefinitasi “paypal mafia” della Silicon Valley che, come ha spiegato una recente inchiesta del Financial Times, sono anche i teorizzatori di un nuovo apartheid e di un nuovo suprematismo bianco?

Due sono le grandi promesse che hanno riportato The Donald alla Casa Bianca. La prima ha fatto leva sulla sicurezza (il jolly di tutte le destre occidentali): «Nel giorno uno del mio governo ordinerò l’espulsione e il rimpatrio di oltre un milione di immigrati irregolari».
La seconda tiene insieme un malinteso senso di onnipotenza tipico della filosofia Maga (Make America great again) che nei fatti ha preso il posto del Partito repubblicano e una oggettiva stanchezza di tutte le democrazie occidentali Nato e G7 che hanno sin qui sostenuto Kiev: «In 24 ore – ha promesso Trump – farò tacere i cannoni e cesserà la guerra tra Russia e Ucraina».

I DUBBI SULL’UCRAINA

Cominciamo da qui. Perché nessuna delle due promesse sarà di facile realizzazione per il presidente eletto. Putin ha usato il Natale, e non solo, per dare i soliti messaggi contrastanti: vuole «chiudere la guerra» e non solo «congelarla con una tregua» che è la prima richiesta di Trump. Lo zar ha dato via libera a negoziati in Slovacchia dall’amico premier Fico che è stato a trovarlo a Mosca, dando così l’ennesima dimostrazione della debolezza europea.
Le sue condizioni, pur parlando di «compromessi» sono però le stesse di sempre: Kiev fuori dalla Nato e il controllo di quattro regioni ucraine solo in parte occupate dalla sue truppe. Praticamente la resa di Zelensky, a cui non riconosce alcuna autorità di sedere al tavolo negoziale. Nel frattempo Putin continua a bombardare: solo il giorno di Natale ha lanciato 170 fra missili e droni.

L’Europa non può accettare queste condizioni, sarebbe una resa e una smentita di tre anni di proclami e sostegno militare a Kiev, ma intanto nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio Ue del 19-20 dicembre è comparsa la dicitura: «Mosca non dovrà prevalere» che è ben diversa da quella iniziale «L’Ucraina dovrà prevalere». Un sondaggio diffuso il 26 dicembre da The Guardian dice che in sette Paesi Ue (Germania, Francia, Italia, Uk, Spagna, Svezia e Danimarca) sia in crescita la quota di cittadini che chiedono «soluzioni alternative alla guerra». Non sarà facile per il governo italiano approvare il decimo decreto per l’invio di armi a Kiev.
Insomma: non è chiaro cosa potrà fare Trump. Neppure lui lo sa bene. Nel frattempo gli analisti concordano nel giudicare le ultime esternazioni – le mire sulla Groenlandia e sul canale di Panama – come strumenti di pressione e negoziazioni per parlare d’altro. E non della Russia o dei clandestini.

SQUADRA DI FEDELISSIMI

Anche sulla prima delle grandi promesse Maga – espellere, deporting, oltre un milione di immigrati illegali – non è chiaro come la Casa Bianca intenderà procedere. La “squadra” di governo rispetta perfettamente le attese e le necessità. Prima fra tutte la fedeltà. Susie Wiles, l’architetto della vittoria elettorale di Trump, sarà la prima donna capo di gabinetto della storia americana. A capo della diplomazia (segretario di stato) ci sarà Marc Rubio, con poteri molto più ampi. Da acerrimo nemico, il senatore della Florida sposa adesso posizioni durissime verso Cina e Iran.
Chi si dovrà occupare di immigrati clandestini è Tom Homan, nominato zar della frontiera. Il segretario della Difesa sarà Pete Hegseth, veterano militare, conduttore tv, un altro fedelissimo. Al netto di clamorose “sconfitte”, l’ultima delle quali la sostituzione di Matt Gaetz alla Giustizia perché coinvolto in storie di sesso a pagamento e uso di droghe, la squadra conta anche su sinceri no vax come Robert F Kennedy jr (alla Salute) e Kristi Noem (Dipartimento della Sicurezza interna), salita agli onori delle cronache per aver freddato un cucciolo di cane.

TRUMP, MUSK E L’OMBRA DEL SUPREMATISMO

Il pezzo forte della squadra è ovviamente Elon Musk che al di là della guida del Doge (Department of goverment efficiency) si sta comportando da presidente ombra, mettendo bocca soprattutto in politica estera e per lo più in quella europea, italiana ma anche sull’indebolito ex asse franco tedesco adesso in profonda crisi e alla vigilia di nuove elezioni (Germania, 23 febbraio). Una recente inchiesta del Financial Times ha spiegato come nell’amministrazione Trump si stia allungando l’ombra dell’apartheid, della segregazione razziale e di un nuovo suprematismo bianco.

L’inchiesta mette in fila una serie di fatti. Il primo è che Elon Musk «ha vissuto nel Sudafrica dell’apartheid fino all’età di 17 anni». Il secondo è che «David Sacks, capitalista e fundraiser per Donald Trump, nonché troll dell’Ucraina, è cresciuto in una famiglia della diaspora sudafricana nel Tennessee». Il terzo: «Peter Thiel ha trascorso anni della sua infanzia tra Sudafrica e Namibia, dove il padre estraeva uranio per acquisire armi nucleari su input del governo sudafricano».

Infine Paul Furber, «sviluppatore di software e giornalista tecnologico sudafricano che vive vicino a Johannesburg: è stato identificato da due team di linguisti forensi come l’ideatore della cospirazione QAnon, che ha contribuito a dare forma al movimento Maga di Trump». Furber, comunque, nega di avere un qualunque legame con il movimento suprematista bianco che nel gennaio 2021 dette l’assalto a Capitol Hill.
In breve, è la considerazione che muove l’inchiesta pubblicata dal Financial Times, «quattro delle voci più influenti di Maga sono uomini bianchi sulla cinquantina con esperienze formative nel Sudafrica dell’apartheid e teorizzatori del suprematismo bianco».
Di fronte a questo scenario l’Europa balbetta.


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