Vladimir Putin
6 minuti per la letturaPutin e Zelensky corteggiano il presidente Trump mentre all’Europa resta il ruolo di spettatrice in una situazione di stallo rispetto alla pace in Ucraina
“Welcome Donald, Trump è l’uomo forte e io lo vorrei dalla nostra parte”. Parola di Volodymir Zelensky in conferenza stampa all’Europa building di Bruxelles, la casa del Consiglio Ue. Il dossier Ucraina prende il sopravvento nel primo vertice a presidenza Costa e Von der Leyen 2, l’ultimo prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, l’ultimo anche del semestre a guida ungherese (che non è un dettaglio). Giorgia Meloni sperava che il Consiglio portasse in primo piano, come la stessa Ursula von der Leyen aveva lasciato immaginare con la sua lettera d’invito, il tema flussi migratori, hub per i rimpatri ed espulsioni, il caso Albania insomma, così decisivo per la premier italiana. Ma l’urgenza della cronaca ha spinto i 27, e la sera prima Mark Rutte, presidente della Nato a concentrare energie ed attenzione sul conflitto in Ucraina. Con scarso successo, però.
A quasi tre anni dall’inizio del conflitto russo-ucraino, dopo miliardi spesi (circa cento da parte della Ue su 174 allocati; circa 75 da parte degli Usa su 98 allocati) siamo in un passaggio cruciale. E non solo per il cambio di inquilino alla Casa Bianca. Mosca è molto indebolita, ha appena perso la Siria e con lei lo sbocco sul Medioriente e nonostante il regime e la propaganda di Putin, è molto difficile anche per lo zar continuare a mandare a morire al fronte giovani presi da villaggi sperduti.
“Cancella la faccia ai soldati nordcoreani morti al fronte per toglierli dalla contabilità dei morti” ha denunciato Zelensky. È piegata anche l’Ucraina. “Non abbiamo le forze per riprenderci Donbass e Crimea” ha detto Zelensky lasciando intendere che una mediazione potrebbe essere “congelare” al momento quei due territori (già conquistati dalla Russia prima dell’inizio della guerra a febbraio 2022) ma riprendere il controllo della regione intorno a Mariupol.
In questo quadro il vertice Ue doveva aiutare a portare chiarezza. E non lo ha fatto. Per caso – ma non è mai un caso quando c’è di mezzo Putin – ieri sono andate in onda quasi contemporaneamente la conferenza stampa di Zelensky all’Europa Building nel primo pomeriggio a conclusione del vertice del pranzo dedicato all’Ucraina e la conferenza stampa di fine anno di Vladimir Putin. A distanza è andato in scena un minuetto di passi avanti e altrettanti passo indietro che fotografano lo stallo. Entrambi i presidenti sembrano voler parlare a Trump per portarlo dalla propria parte. Nel frattempo l’Europa è ancora una volta spettatrice, afona, poco lucida. Cambiare questa inerzia è la prima delle tante richieste messe in fila da Zelensky in una conferenza stampa dove non ha esitato a definire Putin “un vero nazista che vive nella sua bolla, un pazzo che ama uccidere”.
“L’Europa dovrà essere al tavolo delle trattative quando sarà il momento. Come l’Ucraina, la Ue dovrebbe avviare i negoziati da una posizione fortee la forza dell’Europa risiede nell’unità”. Prima stoccata a Orban giudicato “in rapporti troppo cordiali con Mosca”. Il presidente ucraino chiede “un lavoro coordinato per una pace duratura, reale, sostenibile e garantita”. Non c’è spazio per quella sospensione delle ostilità quindi che Putin invece cerca “per guadagnare tempo”.
La differenza quindi può farla Trump – da qui il pragmatico “welcome Donald” – e l’Europa “se lo sosterrà con voce forte e unita”. E con sette condizioni.
La prima: “Chiarezza geopolitica per l’Ucraina e l’Europa” che significa adesione di Kiev alla Nato. La seconda: “Chiari progressi nell’adesione dell’Ucraina alla Ue”. Terzo: “Rafforzare la nostra difesa con armi e sistemi di difesa aerea promessi e dotare urgentemente le brigate”, l’elenco ne prevede almeno diciannove. Quarto: “Maggiori investimenti nella produzione di armi in Ucraina e in Europa per aumentare la capacità”. Quinto: “Mantenere e aumentare le sanzioni alla Russia fino al raggiungimento di una pace completa e duratura”. Sesto: “Utilizzare più attivamente i beni russi congelati per sostenere gli sforzi di pace”. Settimo: “Resilienza sociale, aiutare l’Ucraina a ricostruire scuole, ospedali, infrastrutture energetiche per garantire una vita normale. Altrimenti i circa otto milioni di cittadini ucraini rifugiati all’estero non potranno mai avere le garanzie per tornare a casa, lavorare, ricostruire, pagare le tasse e far ripartire l’economia del Paese.
È un vasto programma, più o meno lo stesso di qualche mese fa, con la differenza che Zelensky adesso dice di volere la pace. Ma non a tutti i costi.
La differenza può farla Trump a cui tutto il mondo guarda in attesa di un segnale. Di sicuro non è positivo quanto è successo la notte scorsa quando cento tweet di Elon Musk hanno convinto i senatori repubblicani a far saltare l’accordo per approvare il bilancio della Casa Bianca che comprende anche gli aiuti a Kiev. I leader Ue, però, da Macron a Scholz passando per Giorgia Meloni – ciascuno di loro ha avuto interlocuzioni sul punto con il Presidente eletto ma ancora non insediato – intravedono “segnali di avvicinamento alle nostre posizioni”.
Dall’altra parte del mondo, mentre parlava Zelensky, Putin ha continuato a dettare le sue condizioni in un botta e risposta a distanza. Anche lo zar nella sua conferenza stampa durata quattro ore e mezzo parla di ricerca di “negoziati e compromessi per una pace duratura con garanzie per la Federazione Russa e i suoi cittadini” ma dall’altra parte stanno arrivando “solo segnali negativi”. Anche Putin sembra stanco ed è disponibile ad incontrare Trump “in qualunque momento”. Sembra parlare a The Donald quando dice: “Questi tre anni sono stati una prova seria per il Paese e per me. Pensate che scherzo meno e o quasi smesso di ridere”. Il problema è che la sua proposta è ancora una volta irricevibile: si siederà al tavolo della pace “solo con il leader legittimo”.
Quindi non Zelensky il cui mandato è scaduto a maggio ma solo dopo che l’Ucraina avrà celebrato le sue elezioni. Circostanza impossibile nelle condizioni attuali. Nel suo corteggiamento a distanza per la Casa Bianca, Putin è molto attento – tra l’altro – a seminare ulteriore zizzania tra i 27 paesi europei. Se Ungheria, repubblica Ceca sono in parte già conquistate, cita Berlusconi e dice di sapere che in Italia il sentiment è “a lui favorevole”, “c’è una certa simpatia per la Russia così come noi l’abbiamo per l’Italia”.
Cosa dà queste certezze allo zar del Cremlino? Il senatore Borghi, capogruppo di Iv al Senato e membro del Copasir, ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere alla premier e alla nostra intelligence cosa sappiamo dell’operazione rivelata e documentata dal governo francese circa “i contatti delle Federazione russa con circa duemila influencer europei per diffondere la propaganda russa”. Ce ne sono anche in Italia? Chi sono? Dove operano? Domande che avrebbero bisogno di una risposta immediata. Altrimenti qui finisce come quella storia per cui nella notte tutti i gatti sono bigi.
In questo quadro è evidente che il tavolo informale e ristretto sull’immigrazione è passato in secondo piano. La premier Meloni – che poi ha lasciato il vertice percola di una brutta influenza – ha riunito il primo ministro danese, Mette Friedriksen, e olandese, Dick Schoof, il solito Orban e Fiala, in tutto per parlare delle “soluzioni innovative da applicare alla gestione del fenomeno migratorio e in particolare al rafforzamento del quadro legale in materia di rimpatri”. Era presente anche Ursula von der Leyen che ha ribadito i punti già illustrati nelle lettera. La priorità è il “nuovo quadro giuridico in tema di rimpatri che la Commissione intende presentare nei primi mesi del 2025”. Attendiamo fiduciosi.
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