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Meloni e Orban

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Giorgia Meloni, Viktor Orban, divisi sulle nomine alla Ue (e su Putin) ma sulla stessa linea in tema di migranti e competitività


Divisi sulle nomine. E sulla Russia. Ma “alleati su alcuni dossier chiave come immigrazione e competitività”. Così il premier ungherese Viktor Orban alla fine del faccia a faccia con Giorgia Meloni ieri sera a Palazzo Chigi. Con pragmatismo i due leader amici hanno diviso le loro strade ma al tempo stesso fatto un patto di legislatura. “Perché la Commissione è una cosa, le dinamiche in Parlamento altre”.

C’è un robusto filo rosso che unisce la Bruxelles che controlla i nostri conti pubblici a quella della trattativa in corso per decidere la governance dei prossimi cinque anni. C’è una sorta di vincolo causa-effetto tra la procedura d’infrazione per eccesso di deficit scattata per l’Italia il 19 giugno con un taglio di circa 13 miliardi ogni anno per i prossimi sette e la “traiettoria” raccomandata il 21 giugno per la nostra spesa pubblica (1,8% ), un altro parametro che dovremo rispettare almeno per i prossimi tre anni. Senza contare il Pnrr di cui saremo anche i primi a chiedere la sesta rata (circa 10 miliardi con tredici obiettivi cancellati) ma dobbiamo ancora avere la quinta e soprattutto dobbiamo ancora spendere la maggior parte del prestito che andrà a pesare sul nostro debito pubblico.
Insomma, c’è un convitato di pietra assai ingombrante al tavolo delle trattative che Giorgia Meloni sta avendo con gli altri leader europei della grande famiglia dei Popolari e dei leader di destra. Tra cui l’amico Viktor Orban. Se non si ha chiaro questo punto, risulterà difficile capire alcuni “strappi” clamorosi e “unioni” altrettanto clamorose di queste e delle prossime ore.

Fonti di palazzo Berlaymont, sede della Commissione, confermano che, al di là degli spifferi e degli spin di queste ore, la quadriglia delle nomine sul tavolo è la stessa della cena informale di lunedì scorso 17 giugno: Ursula von der Leyen (Ppe), verso il bis come presidente; l’ex premier portoghese Costa (S&D) alla guida del Consiglio europeo; Roberta Metsola (anche lei Ppe e anche lei verso il bis) alla guida del Parlamento; la premier estone Kaja Kallas (liberale) nella casella dell’Alto Rappresentante, il ministro degli esteri Ue destinato ad assumere un ruolo più marcato.

È un equilibrato mix di provenienza geografica (Germania, Portogallo, Malta e Estonia) e politica (ci son le tre famiglie vincitrici). Quella di Kallas è una nomina conquistata sul campo la premier estone è ricercata dalla Russia di Putin da febbraio 2024. Chi teme che possa essere una provocazione, se ne farà una ragione. “Da quello schema siamo partiti e lì siamo rimasti” ci spiega un funzionario della Commissione “perché i tre gruppi Ppe, S&D e RE hanno 399 voti quando ne bastano 361”.

Smentita anche ogni ipotesi di rinvio a dopo il voto francese. “Il mondo – si spiega – è in una fase molto complicata, l’Europa ha due guerre alle porte e certo non ci possiamo permettere di perdere tempo con le nomine”. Il non detto è che si vuole “chiudere” o almeno blindare tutto prima che Orban assuma la presidenza e imponga qualche rinvio dei suoi e ben prima che gli Stati Uniti vadano alle urne il 5 novembre.
Resta il tema dell’allargamento perché 399 sono tanti voti ma nel 2019 con cento voti di scarto sulla carta alla fine Ursula passò per nove voti, quelli dei 5 Stelle.

Meloni è destinata a votare von der Leyen perchè ha bisogno di avere un commissario di peso, con deleghe economiche e anche da vicepresidente. Qualcuno che da Bruxelles tenga a bada la procedura d’infrazione, i vincoli sula spesa pubblica e la gestione dei soldi del Pnrr con l’obiettivo di allegare i tempi del Piano. Un identikit preciso che risponde a due nomi: Raffaele Fitto, che conosce benissimo Bruxelles, ha in mano la gestione di tutti i fondi europei e fu l’artefice dell’ingresso di Fdi nei Conservatori e della elezione di Meloni a presidente; Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’economia stimato e ben voluto a Bruxelles.
Fitto e Giorgetti non si amano, il pugliese è un accentratore, il lombardo è un semplificatore (nel senso nobile del termine) e, per quanto voluto da Meloni su input di Draghi, è pur sempre un leghista. “L’ipotesi Letta al posto di Costa non è circolata qui a Bruxelles, ne parlano gli italiani….” spiega un eurodeputato della maggioranza.

Per restare legata a quel filo rosso, Giorgia Meloni dovrebbe quindi “tradire” e consegnare i suoi 24 voti alla maggioranza Ursula nonostante gli odiati Socialisti (che hanno sentimenti reciproci con Fdi e i Conservatori). Sarebbe un “appoggio tecnico per poi avere mani libere in Parlamento quando ci sarà da votare per decidere veramente sui dossier” è la versione che anche i Fratelli che seguono il dossier ammettono a mezza bocca.

Anche di tutto questo hanno parlato ieri sera a palazzo Chigi Giorgia e Viktor, i due amici che in queste ore hanno già dovuto dividere il proprio destino. Non è un mistero che Orban volesse entrare nei Conservatori. Ma i polacchi del Pis hanno detto no. E’ notizia di queste ore però che il Pis potrebbe uscire da Ecr. Tra oggi e domani sarà tutto più chiaro. Quello che si sta registrando è una sorta di collasso della destra. Che è cresciuta in Europa ma risponde ad anime molto diverse. Il Pis polacco infatti (nel gruppo Ecr) vorrebbe aprire sia a Orban che a Le Pen. Ma la porta di Ecr è chiusa per sempre a Fidesz (il partito di Orban) da quando sono entrati i sovranisti romeni di Aur.
Di fronte a questo blocco, Orban sta pensando di fare un gruppo tutto suo: le cosiddette Destre di Visegrad con dentro Fidesz, Ano, Smer/Hlas, Sds potrebbe contare su 27 seggi. Ecr (Meloni) ne ha 83, Identità e democrazia (Salvini e Le Pen) 58. Resterebbero fuori i cosiddetti Sovranisti, ben 34 seggi, la cui formazione più famosa sono i tedeschi delle destra estrema di Afd.

Dal progetto (di Meloni) delle destre unite “sul modello italiano) e cioè Ppe, Ecr e Id (comunque senza la maggioranza) per via di molti indipendenti eletti e quasi tutti di destra, si passerebbe ad uno scenario con 4 diversi gruppi a destra che insieme fanno 202 voti. Sommati ai 189 dei Popolari, fa 391 voti. Tecnicamente una maggioranza. Ma quelle quattro destre non potranno mai condividere un programma divise come sono sul dossier numero uno: la politica estera e la lotta con Putin.

Partita interessante. Da monitorare. Se lo sono detti ieri sera Giorgia e Viktor, con la complicità di sempre. Se il destino li dividerà come sembra nella partita sulle nomine, hanno promesso l’appoggio reciproco su dossier come immigrazione, sfida demografica, limitazione della sovranità europea.
E’ iniziata così la settimana europea che terminerà venerdì quando si chiuderà il Consiglio europeo. In mezzo, mercoledì, la premier informerà il Parlamento su quale partita intenderà giocare.


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