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Papa Francesco

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Papa Francesco affronta il dramma di Gaza come priorità nel suo intervento ai diplomatici del Vaticano nel suo discorso a inizio d’anno

LA CONTABILITA’ dei lutti si moltiplica ogni giorno di più tra donne e bambini sotto le bombe che non risparmiano neppure i reporter arabi che provano a raccontare al mondo la tragedia di Gaza negata invece a taccuini e telecamere occidentali. E con oltre ventimila morti in tre mesi di invasione di terra delle guarnigioni con la stella di David, ci si può anche cominciare a chiedere quanto quella di Israele sia una risposta militare agli orrendi massacri di Hamas del 7 ottobre, e quanto invece un sistematico annientamento della popolazione palestinese della Striscia.

Ragione di più perché papa Francesco affronti il dramma a Gaza come la priorità nel suo intervento, ieri, di fronte ai 91 ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Il discorso del pontefice ai diplomatici ad inizio d’anno segna il vademecum politico dell’azione della diplomazia pontificia ai quattro angoli del pianeta. Ed è così che Bergoglio punta subito al conflitto israelo-palestinese che rischia di espandersi a tutto il Medio Oriente. Senza alcuna enfasi esclamativa ma con un approccio tutto politico, Francesco rinnova in termini molto marcati “la condanna dell’attacco terroristico del 7 ottobre che ha scioccato tutti” per le atrocità perpetrate e che determinato la “ferma reazione militare di Israele a Gaza che ha portato la morte di decine di migliaia di palestinesi a Gaza”. Ma è quando ci si sposta sugli scenari che il Papa è altrettanto determinato: “Auspico – scandisce – che la Comunità internazionale percorra la soluzione di due Stati, uno israeliano e l’altro palestinese come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per Gerusalemme affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace in sicurezza”.

Emerge qui un dato politico fondamentale e imprescindibile della questione palestinese, e cioè che Netanyahu non ferma papa Francesco: alla frenesia bellicista e guerrafondaia del premier israeliano a Gaza (“La guerra sarà lunga, andremo fino in fondo”), Bergoglio oppone la ricerca negoziale per la soluzione del conflitto. Lo fa richiamandosi esplicitamente ai capisaldi degli Accordi di Oslo siglati da Rabin e Arafat nel ’93, ma lo fa anche nella consapevolezza che moltissime variabili sono mutate anche se la cornice dell’intesa può reggere ancora. Le bombe e i raid israeliani a Gaza non toccano le prospettive politiche di un dopoguerra che anche il falco Netanyahu dovrà pur aver messo nel conto. E se le missioni a ripetizione nella regione del Segretario di Stato Usa Blinken poco mostrano di aprire a un cessate il fuoco duraturo, un qualche spiraglio sembra aprire il piano per il dopoguerra del ministro della Difesa di Tel Aviv, Gallant laddove accenna a “una amministrazione palestinese a Gaza”. Niente a che vedere con uno Stato sovrano, ma forse un embrione. Se dunque l’opzione militare assoluta di Netanyahu non mostra la forza per bloccare lo sforzo diplomatico di Papa e Santa Sede in Terra santa, Oltretevere è gia tempo di una riflessione a largo raggio. Nessuna iniziativa credibile può prescindere infatti dall’Autorità Nazionale Palestinese insediata a Ramallah, in Cisgiordania. Il suo attuale presidente, l’87enne Abu Mazen, appare indebolito dagli scandali per corruzione. Inoltre in Cisgiordania il voto è bloccato dal 2018 e non c’è stato dunque alcun ricambio della classe dirigente.

Con queste premesse, quale ruolo guida potrà assumere l’Anp a Gaza? Ragione di più perché la Santa Sede attenda un cambio della guardia. Altro dossier aperto sono gli insediamenti abusivi dei coloni israeliani nei Territori palestinesi: negli ultimi anni si sono quadruplicati a riprova della iattanza degli israeliani appoggiati senza riserva da esercito ed estremisti di destra. Un ostacolo in più sulla via della pacificazione della regione. La Santa Sede può contare per l’area mediorientale su tre uomini chiave di papa Francesco: il Segretario di Stato Parolin, il Segretario per i rapporti con gli Stati Gallagher e il cardinale Patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa.

La promozione a porporato di quest’ultimo è indice della preoccupazione di Francesco per il Medio Oriente. Non che Bergoglio si sia limitato ieri alla sola questione israelo-palestinese. Quella è decisamente una priorità, nondimeno il conflitto in corso tra Ucraina e Russia è “una guerra nel cuore dell’Europa che va incancrenendosi con enormi distruzioni”. E qui, poi, il grand’angolo sui conflitti nel mondo, anche quelli dimenticati magari solo per minore impatto mediatico eppure di eguale carico di vittime: Siria, Libano, Myammar, Armenia e Azerbaigian. Poi l’Africa tutta, Etiopi, Sud Sudan, Camerun, Congo. Una geografia di vittime senza che si riesca a impiantare la bandiera della pace. Mentre ci si ostina a considerare i civili uccisi come “danni collaterali”. Pace. Espressione che nel tempo dei conflitti a tutti i livelli, anche quelli provocati dai cambiamenti climatici, anche quelli derivanti dalle disuguaglianze a fronte di e risorse in mano di élites senza etica che provocano una “cultura dello scarto”. Quel Papa sociale sempre all’avanguardia anche quando parla di Intelligenza Artificiale. Perché nessun uomo è mai un numero o un algoritmo.


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