Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina
4 minuti per la letturaLA GUERRA in Ucraina non si risolve: alcuni cominciano a pensare che in realtà abbia vinto Vladimir Putin e molti in Europa sembrano poco propensi a continuare a spendere tante risorse in appoggio a Kiev. Il Congresso statunitense non si decide ad approvare il nuovo fondamentale stanziamento chiesto da Joe Biden, per rafforzare la resistenza e la controffensiva degli ucraini. Non sappiamo come andranno le cose al prossimo Consiglio Europeo di metà dicembre che dovrebbe decidere se accettare o meno le candidature di Ucraina e Moldova all’Unione Europea. Eppure l’importanza della posta in gioco non è affatto diminuita, anzi, si è fatta semmai più forte.
Vediamo come stanno le cose in realtà. Putin non ha vinto, al contrario ha perso, anche se non è stato del tutto debellato. Voleva riappropriarsi di tutta l’Ucraina, ed ha fallito. Voleva allontanare la NATO dai confini della Russia e ha subito l’allargamento della Alleanza a Finlandia e Svezia, accrescendo enormemente la vulnerabilità strategica del suo paese. Voleva riconquistare un ruolo di grande potenza globale ed ha finito per accrescere la sua dipendenza, non solo dalla Cina, ma anche da potenze secondarie e politicamente inaffidabili come la Corea del Nord e l’Iran. Ha persino dovuto spostare la flotta russa del Mar Nero dalla sua storica base di Sebastopoli, in Crimea, all’Abkhazia, sul lato georgiano del bacino, per timore degli attacchi ucraini. L’Ucraina peraltro ha raccolto importanti successi, ma non ha ottenuto una vittoria decisiva. Ha bloccato l’offensiva russa, ha riconquistato parte del territorio inizialmente perduto ed ha costretto il più potente esercito della regione sulla difensiva, nelle trincee, bloccandone ogni tentativo di ripresa dell’attacco. Non è però riuscita a riprendersi tutto il territorio conteso, lasciando così a Putin l’opzione di puntare ad un obiettivo molto più modesto di quello iniziale, ma che potrebbe essere presentato dalla propaganda come un successo. E comunque lasciandogli il controllo delle sue basi in territorio ucraino, da cui poter riprendere in altri momenti l’offensiva.
Alcuni, in Occidente, pensano che questa situazione di doppia non vittoria potrebbe diventare la base per un compromesso armistiziale “alla coreana”, tra un’Ucraina Occidentale e una Orientale, che metta fine alla guerra guerreggiata anche se lascerebbe aperto il conflitto formale. Il fatto è però che da Mosca non arriva alcun segnale in questo senso, almeno pubblicamente, probabilmente perché Putin è perfettamente consapevole che un tale compromesso significherebbe anche la certificazione della sua sconfitta strategica, e probabilmente anche un ulteriore allargamento della NATO sulle terre dell’ex Unione Sovietica, dall’Ucraina alla Georgia. Putin potrebbe accettare un tale compromesso solo se allo stesso tempo l’Europa tornasse vulnerabile ai ricatti energetici e militari di Mosca. È quello che spera di ottenere da un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e dal montare del “sovranismo” anti-europeo nei nostri paesi.
Nel frattempo continua a bombardare le città ucraine. Il nostro problema, di occidentali che hanno dato un aiuto fondamentale a Kiev per bloccare l’imperialismo russo, è decidere cosa vogliamo. Siamo certamente felici di aver contribuito a questo iniziale successo contro la Russia, ma allo stesso tempo guardiamo con preoccupazione ad un possibile crollo del regime putiniano che potrebbe aprire un periodo di pericolosa instabilità (anche in campo nucleare). Né saremmo felici di vedere un parallelo montare in potenza della Cina sul territorio europeo e in Asia centrale. In altri termini, europei ed americani non sono del tutto convinti che saprebbero come gestire le possibili conseguenze di una effettiva “debellatio” dell’autocrate russo.
Resta però il fatto che restare in questa situazione di incertezza per almeno un altro anno, in attesa di sapere quale sarà il nostro destino con la vittoria o la sconfitta elettorale del possibile deus ex machina americano, è non solo estremamente umiliante per noi europei, ma anche pericoloso, perché contribuisce a minare la solidarietà interna degli alleati ed indebolisce il fronte della resistenza Ucraina, riaprendo opzioni militari più ambiziose all’esercito russo. L’incertezza sta già ora avendo conseguenze negative, come abbiamo visto nel Nagorno-Karabah, ed ora potremmo vedere anche nei Balcani occidentali, dove il processo di allargamento dell’Unione è in grave ritardo, e il conflitto tra Serbia e Kosovo ha riaperto la strada all’ingerenza politica del Cremlino, mentre i ritardi europei hanno facilitato la penetrazione economica cinese in questi paesi. L’incertezza alimenta l’insicurezza europea e ci indebolisce, dando anche maggior corpo alla narrativa antieuropea dei trumpiani americani. Siamo in altri termini costretti a scelte difficili, che avremmo preferito evitare. Ma non abbiamo questo lusso.
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