Joe Biden e Xi Jinping
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A SAN Francisco si confrontano le due maggiori economie del mondo. A un anno esatto dal loro ultimo incontro, il presidente Usa Joe Biden e il leader della Cina Xi Jinping cercano ora di fissare i paletti di una competizione che negli ultimi anni è cresciuta e che dominerà il prossimo decennio. L’esplosione tumultuosa dell’economia cinese, con lo sviluppo dell’industria tecnologica del colosso asiatico e un atteggiamento sempre più minaccioso sul versante strategico, con il tentativo di Xi Jinping di egemonizzare l’Asia-Pacifico e di pilotare le principali crisi nel resto del mondo, hanno dato una sveglia al mondo politico americano.
LO SCUDO USA PER LE TECNOLOGIE
In uno scenario polarizzato, la competizione con la Cina rimane forse l’unica materia condivisa in modo bipartisan da democratici e repubblicani. Questi ultimi hanno maturato nel tempo una visione radicalizzata del confronto: vivono la Cina come una minaccia esistenziale e vedono nella contrapposizione tra le due grandi potenze la Guerra Fredda di questo secolo. Dall’altra parte, quando lo stesso presidente Usa Joe Biden cominciò a parlare nel 2020 della necessità di un’alleanza delle democrazie contro i regimi autocratici, pensava prima di tutto alla Cina e a Xi Jinping. Da qui la necessità di erigere uno scudo a difesa della propria economia e della propria sicurezza. L’amministrazione Biden ha introdotto così una serie di provvedimenti per restringere l’accesso cinese alle tecnologie più avanzate prodotte dagli Stati Uniti e dai loro alleati.
LA STRATEGIA DI BIDEN
Come ricorda l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), l’attenzione ricade soprattutto sui semiconduttori di ultima generazione, caratterizzati da una catena del valore molto estesa, che coinvolge aziende Usa, taiwanesi (Tsmc), coreane (Samsung), giapponesi e olandesi (Asml). Il Chips Act dell’agosto 2022 promuove massicci investimenti nella ricerca e nella produzione di semiconduttori e altre tecnologie avanzate. L’emendamento alle Export Administration Regulations approvato il 7 ottobre 2022 proibisce la vendita alla Cina di semiconduttori avanzati e altre tecnologie funzionali allo sviluppo nel settore della IA. Nel 2023 i controlli alle esportazioni sono stati ampliati e consolidati grazie a un accordo con Olanda e Giappone, che hanno accettato di allinearsi alle posizioni americane, nonostante i notevoli costi legati alla rinuncia al mercato cinese nel settore.
Inoltre, la batteria di provvedimenti economici adottati dall’amministrazione Biden – dall’investimento sul welfare allo sviluppo delle infrastrutture sino alla lotta all’inflazione – non è servita solo a fronteggiare la crisi ma anche a dare solidità all’economia Usa nel confronto con quella della Cina sostenuta dal “capitalismo politico” dello Stato assoluto guidato da Xi.
LE NUBI SULLA CINA E SU XI
Nel frattempo, qualche nube comincia a oscurare il cielo di Pechino, fino a oggi sereno. Come riporta il quotidiano americano online Axios, gli investimenti esteri in Cina sono diventati negativi per la prima volta nella storia nel terzo trimestre: l’amministrazione statale cinese dei cambi ha mostrato un deflusso di 11,8 miliardi di dollari nel terzo trimestre, il primo dato negativo da quando l’agenzia iniziò a compilare i dati nel ‘98. Il dato riflette il forte deterioramento delle prospettive economiche cinesi. La seconda economia più grande del mondo cerca di riprendersi dopo l’impatto violento della pandemia, mentre la fiducia dei consumatori e delle imprese è in calo e i rischi legati al decoupling (il disaccoppiamento da altre economie) e alla deglobalizzazione salgono.
Appare evidente che i deflussi di capitali esteri riflettono il crollo della fiducia delle imprese nel modello economico statale guidato da Xi Jinping. Il presidente cinese ha impegnato in questi anni tutto il Partito comunista verso un solo obiettivo: far diventare la Cina la prima potenza globale. Ma, nel farlo, ha spinto troppo in là l’influenza dell’amministrazione pubblica sull’economia (causando una serie di effetti collaterali), ha spaventato gli interlocutori commerciali globali e non ha fatto molto per migliorare lo standard di vita dei cinesi. Ecco perché Xi Jinping si è presentato al colloquio con Biden con l’intenzione di mantenere spazi di collaborazione, pur nell’evidenza della rivalità. Una apertura che viene anche da parte americana.
«Abbiamo una relazione commerciale da 700 miliardi di dollari. E la stragrande maggioranza non è interessata dalle restrizioni sulle esportazioni», ha detto Gina Raimondo, segretaria al Commercio nei giorni prima del vertice. Per Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, i due Paesi sono «economicamente interdipendenti». Infine, Janet Yellen, segretaria del Tesoro, ha avvertito che un ipotetico decoupling «avrebbe significative ripercussioni globali».
DIALOGO INEVITABILE USA-CINA
È l’inizio di una nuova fase di relazioni concilianti? La risposta non può essere positiva. La Cina continua a sostenere la Russia nell’aggressione all’Ucraina, a fiancheggiare l’Iran nella sua volontà di primeggiare in Medio Oriente contro Israele e Arabia Saudita, a reprimere il dissenso interno, a opprimere la libertà di Hong Kong, a violare i diritti umani degli Uiguri e a minacciare Taiwan che terrà le proprie elezioni a gennaio. In sostanza, l’ambizione di Xi resta una minaccia. Ma proprio per questo dialogare con il presidente cinese è un passaggio inevitabile per tentare di risolvere alcune crisi.
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