Il vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Da sinistra, Luiz Inacio Lula, Xi Jinping, Cyril Ramaphosa, Narendra Modi, Sergej Lavrov
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Il 2024 sarà forse decisivo per le sorti dei prossimi anni dell’ordine mondiale: sarà fondamentale l’equilibrio tra Usa e Cina
SOLO pochi anni fa pensavamo di operare in un mondo dai riferimenti chiari, un ordine mondiale che era una sorta di bussola in grado di orientare speranze e timori su chi avrebbe determinato le grandi decisioni con effetto planetario. In particolare, tutti pensavamo di dover convivere con un lungo periodo di pax americana, ovvero di leadership Usa orientata a favorire un modello di globalizzazione aperto, funzionale alla crescita e alla competitività delle imprese americane. Questo assunto si è rivelato illusorio. Abbiamo prima assistito (a partire dal 2016) alla crescente assertività cinese. Poi si è infaustamente palesata la guerra in Ucraina con il suo drammatico carico di morti e di polemiche tra mondo democratico e sistema delle autocrazie. Nel corso dell’estate i Brics si sono allargati decidendo di includere nella loro sfera di influenza altri sei Paesi (Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia e Iran). Non solo: nelle ultime settimane abbiamo vissuto la drammatica escalation medio-orientale con epicentro Israele e Gaza.
ORDINE MONDIALE: LA CORDA SI È ROTTA
Ascoltando i telegiornali ci rendiamo conto, molto banalmente, che gli Stati Uniti non sono più considerati il modello politico e valoriale a cui ispirarsi, la società (aperta) in cui inviare i propri figli a studiare o, ancora, la terra promessa delle start-up che vogliono diventare unicorni di rilevanza mondiale. Emergono con tutta la loro forza, in questi anni e mesi, pulsioni verso modelli alternativi, sistemi autocratici e pianificati centralmente e generalmente contraddistinti da una profonda sfiducia nei confronti del mondo occidentale e dell’ordine mondiale.
Vi è da chiedersi perché tutto questo avvenga ora e contemporaneamente: quasi come se oggi vivessimo nel periodo in cui la corda, tirata per decenni, si è rotta. Come al solito dobbiamo guardarci indietro per capire il presente e cercare di prevedere il futuro. Più precisamente dobbiamo tornare al 1946, quando, con le macerie ancora fumanti della Seconda guerra mondiale, si stipularono gli accordi di Bretton Woods dove si stabilì che il dollaro sarebbe diventato il fulcro del sistema monetario internazionale e vennero istituiti Fondo monetario internazionale e Banca mondiale. Sostanzialmente venne definito un modello di ordine mondiale incentrato su Usa e mondo occidentale i cui investimenti nel resto del pianeta avrebbero dovuto contribuire, da un lato, alla crescita economica dei Paesi in via di sviluppo e, dall’altro, a una sostanziale convergenza dei valori verso quelli consumistici e aperti del mondo occidentale. Fu una scelta figlia degli equilibri del momento, un ordine mondiale appunto, che tuttavia nel tempo sono cambiati, soprattutto negli ultimi decenni.
RUOLI CAPOVOLTI DELL’ORDINE MONDIALE
È da questa presa di coscienza che cominciamo a comprendere perché la corda della geopolitica ha cominciato a sfrangiarsi: alcune evidenze quantitative possono peraltro essere di aiuto. Nel 1992 il G7 rappresentava il 45% del Pil mondiale, mentre i Brics meno del 15%. Nel 2022 la situazione si è invertita: i secondi pesano per il 32%, il G7 per meno del 28%. Il peso dell’Asia è via via aumentato: oggi oltre il 46% dell’economia mondiale è di matrice asiatica quando Europa e Nord America pesano per il 36%. Non solo: sta diventando un continente molto più integrato dell’Europa con oltre il 60% di commercio scambiato internamente.
Lo spostamento del pendolo economico del mondo, combinato con un sostanziale immobilismo della governance mondiale – siamo fermi ancora a Bretton Woods – spiegano le crescenti tensioni odierne (fino alla possibile rottura della corda). Registriamo nella sostanza nell’ordine mondiale una crescente assertività non solo della Cina – che vuole tornare a essere Impero del Centro – ma anche di tutta una serie di altri Paesi che reclamano un atteggiamento diverso da parte dell’Occidente: gli oltre 70 Paesi che non hanno votato la risoluzione Onu contro l’aggressione russa imputano alle beghe innescate dagli occidentali con Cina e Russia la loro difficoltà a uscire da una condizione di povertà. I Paesi islamici, in particolare quelli del Medio Oriente, provano un senso di umiliazione (nei nostri confronti) come conseguenza di una percezione di sottomissione e di impotenza politica ed economica, aggravata dall’ingerenza delle potenze occidentali nei rispettivi affari regionali.
VISIONE DELL’ORDINE MONDIALE DA CAMBIARE
Ecco che possiamo inquadrare gli eventi recenti in un unico fil rouge: un evento spinge l’altro, un’emozione guida le altre, un astio ne innesca e dà forza ad altri. Non possiamo e non dobbiamo quindi sottovalutare il quadro a tinte fosche che sta emergendo, purtroppo, con sempre maggiore evidenza. Credo che una eventuale ricomposizione, nella direzione auspicata di una riduzione della bellicosità, passi attraverso una presa di coscienza da parte degli Usa e di tutto l’Occidente che il mondo di oggi richiede di andare ben oltre Bretton Woods.
Da questo punto di vista, è in primo luogo indispensabile che Washington accetti la Cina come interlocutore con cui dialogare e, in questo senso, ne riconosca il ruolo di super-potenza. Dall’altro lato, è quantomai necessario definire nuovi strumenti di governance globale e di coordinamento delle politiche necessarie ad affrontare sfide complesse come quella del cambiamento climatico. Perché questo avvenga abbiamo però bisogno di una nuova leadership politica visionaria, in grado di incanalare le pulsioni emotive in corso verso una prospettiva di (almeno parziale) coordinamento. A questo riguardo, non ci è facile pensare all’Europa, che attualmente non tocca palla su alcun tema internazionale e l’anno prossimo vivrà un periodo di aspro confronto elettorale.
2024 ANNO DECISIVO
Non possiamo che guardare “oltre oceano”, dove però, allo stato, emergono due contendenti (per le elezioni presidenziali) quasi ottantenni, con una capacità di leadership quantomeno appannata e una società che è profondamente divisa su questioni valoriali di fondo. Il 2024 sarà dunque un anno importante, forse decisivo per le sorti dei prossimi anni del Pianeta. Da italiani e europei, non ci resta che sperare di ricominciare a “toccare palla” grazie a un qualche miracolo elettorale. Uno scenario possibile è che l’entropia aumenti ancora; la speranza più fondata (anche in virtù dell’abbassamento dei toni che stiamo registrando) è che il rimedio possa risiedere non tanto in un Paese, quanto nel nuovo equilibrio ritrovato tra due Paesi (attualmente deboli) come la Cina e gli Usa. Se riuscissero a trovare un accordo, indotto dalla necessità di sostenere le rispettive debolezze con la ripresa di un’interazione diplomatica ed economica su toni meno accesi, forse si potrebbe imboccare la via di una parziale ricomposizione del disordine.
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