Vladimir Putin
4 minuti per la letturaLa Russia di Vladimir Putin e l’ossessione per i beni dell’ex Urss che porta Mosca ad acquisire anche i beni che sarebbero ucraini
Il 1º dicembre 1991 agli ucraini fu posta una domanda: «Approvi l’atto di dichiarazione d’indipendenza dell’Ucraina?». La vittoria del «sì» fu schiacciante in tutte le regioni, tanto che il 90,32% degli aventi diritto sostenne con il proprio voto la risoluzione passata già in agosto con cui il Paese avrebbe sciolto ogni vincolo nei confronti di un URSS che da lì a una settimana si sarebbe dissolta per sempre.
Ciò che si palesa sotto i nostri occhi da decenni, segnatamente con l’invasione russa della Crimea e delle regioni del Donbas avviata militarmente nel 2014 e precipitata su larga scala nel 2022, è che quello scioglimento “de iure” non è stato corrisposto da parte russa ad uno “de facto”.
Identificando costantemente la Federazione Russa con l’URSS, sin dal suo primo mandato Putin ha chiuso il senno di buona parte dei russi (e di certi nostri compaesani) in un’ampolla d’Ariostea memoria, isolata dalla realtà da quella grande camera adiabatica che sono stati i social network.
L’autocrate russo non ha mai perso occasione di reiterare quella grande menzogna eretta a sistema, tanto da inculcarla come un mantra nelle menti dei giovani siloviki. Facendo leva su quel perno Putin rievoca oggi il concetto di “fortezza assediata” e lo spirito patriottico di milioni di russi, chiamati come i loro nonni ottant’anni fa a non soccombere alla minaccia nazista proveniente da Ovest.
L’ossessione per il riconoscimento della matrice russa nello stampo sovietico è persistente in ogni rimando ai “territori storici”, tanto da non farne più soltanto una questione ideologica ma di Diritto. Riappropriarsi dello “spazio vitale” e delle risorse sovietiche riunendo le popolazioni russofone sparse nelle terre di confine (“u okraina” significa “paese vicino”), rendendola una questione biogeografica e geopolitica non dissimile dal concetto di lebensraum nazista: questo è il piano malvagio del sistema corrotto che vede in Putin il suo frontman.
Per realizzarlo, la Duma di Stato russa ha adottato due anni fa un disegno di legge (promosso proprio da Putin) secondo cui la Federazione Russa sarebbe “il successore legale dell’Urss sul proprio territorio, nonché per quanto concerne l’appartenenza a organizzazioni e la partecipazione a trattati internazionali e gli obblighi e beni dell’Urss al di fuori della Federazione Russa da essi previsti”.
Se circa la discutibile legittimità dell’attuale posizione ereditata all’Onu dalla Federazione Russa abbiamo già trattato su queste pagine, la questione legata ai beni e debiti sovietici merita un doveroso approfondimento perché sta alla base delle annose problematiche nelle relazioni russo-ucraine sin dal crollo dell’Unione Sovietica.
Quando l’8 dicembre 1991 l’URSS cessò d’esistere come soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica, i leader dei Paesi ex-costituenti convennero che il 61,34% delle partecipazioni estere dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (incluso il suo debito) sarebbe spettato alla Federazione Russa, il 16,37% all’Ucraina e il restante 22,29% dovesse essere distribuito proporzionalmente tra le altre ex-Repubbliche sovietiche. Facendo leva sulle difficili condizioni economiche in cui versavano queste ultime, Mosca propose loro di acquisirne l’intera quota accettando di farsi carico anche dei relativi debiti. La stessa “proposta che non si può rifiutare” venne fatta all’Ucraina, che però non accettò mai quell’offerta. Le posizioni tra i due Paesi restarono molto distanti, tanto che i Presidenti Kravchuk (Ucraina) ed Eltsin (Federazione Russa) faticarono non poco per raggiungere l’anno seguente un accordo legato esclusivamente alla spartizione di ciò che rimaneva della ex-flotta sovietica di stanza nel Mar Nero.
L’Ucraina respinse in seguito una seconda identica proposta russa inerente la cessione dei propri beni e debiti esteri rincarando la dose con il Presidente Kuchma, che esigé dal Cremlino l’inventario completo di tutti i beni sovietici all’estero che includesse la composizione, le dimensioni e il valore di mercato delle riserve auree e di diamanti. Le spettanze ucraine non erano certo di poco conto, eppure a tale legittima richiesta la Federazione Russa non diede mai seguito.
Nel 1997, addirittura, Mosca mutò la proposta in pretesa. Esaurito il percorso negoziale, nel 2001 l’Ucraina intentò una causa contro la Federazione Russa presso l’Alta Corte di Giustizia di Londra, che di fatto contribuì a congelare il contenzioso. L’ennesima istanza ufficiale, firmata dal Presidente Yushchenko, in cui l’Ucraina riaffermava il diritto ad avere l’elenco dettagliato dei propri beni e debiti esteri, fu corrisposta nel 2005 da un’azione radicale intrapresa unilateralmente da Putin: saldandone i debiti, Mosca rilevò de facto tutte le proprietà immobiliari estere dell’ex-Urss, privando l’Ucraina della propria parte.
Al suo quarto mandato (concetto già alquanto stridente con quello di democrazia), nel 2020 Putin rivendicò “tutto ciò che è suo”, senza che la Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino) avesse mai ratificato alcuna successione legale dei beni esteri dell’URSS. Come sopra citato, nel 2022 l’autocrate russo dichiarò unilateralmente “La Federazione Russa erede dell’URSS”.
Con atteggiamento prepotente, mafioso e criminale, in barba ad ogni regola e via legale adita dall’Ucraina, la Federazione Russa s’impossessò di ciò che non era suo. Per quanto ci provi, Putin non potrà mai impossessarsi della Storia, che è una e non si cambia. Per comprendere le cause del conflitto in corso sarebbe forse il caso di ripassarla, dedicando più tempo ai dati di fatto che alle opinioni.
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