Proteste a Parigi contro la riforma delle pensioni
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Non pochi osservatori di questioni francesi hanno derubricato l’ennesima “pulsione rivoluzionaria” come riproposizione di un copione più volte visto. Di fronte a impopolari quanto necessarie riforme, il Paese frena, si ripiega su se stesso, si oppone e se il governo in carica decide di andare oltre, esplode la piazza.
Se sul piatto vi è poi la riforma del sistema pensionistico, si devono ricordare oltre trent’anni di fallimenti o comunque gravi situazioni di impasse per gli inquilini dell’Eliseo, da Jacques Chirac in avanti.
Senza sottostimare il riproporsi della cronica allergia transalpina alle riforme, in particolare se vanno a toccare il suo generoso stato sociale, l’attuale congiuntura di crisi deve essere osservata con attenzione, poiché rivelatrice di specificità francesi almeno quanto di costanti che sono europee e dovrebbero altresì interessare anche il nostro Paese.
LE DIFFICOLTÀ DI MACRON
La prima considerazione riguarda la difficoltà politica che sta vivendo il presidente Emmanuel Macron. I livelli di sfiducia nei suoi confronti sono comparabili a quelli nel pieno della crisi dei gilets jaunes. Il suo primo ministro, Elisabeth Borne, esce indebolita dalla vicenda riforma delle pensioni e tutto ciò a meno di un anno dall’elezione presidenziale della primavera 2022 e a poco più di nove mesi dalla nascita del suo governo.
Le radici profonde delle attuali difficoltà devono proprio essere ricondotte alla doppia sequenza elettorale di aprile e giugno scorsi. Macron è stato un presidente rieletto piuttosto male (con quasi due milioni di voti in meno rispetto al 2017 e con un livello più alto di astensionismo), ma soprattutto la sua conferma è stata legata strettamente e quasi esclusivamente alla volontà di sbarrare la strada all’arrivo di Marine Le Pen all’Eliseo (che peraltro aveva, al contrario del presidente, incrementato di quasi tre milioni di voti il suo score rispetto al 2017).
A questo si è aggiunto il mediocre risultato delle elezioni legislative. La coppia Macron-Borne guida il Paese dall’estate 2022 con un’Assemblea nazionale senza maggioranza assoluta. Le istituzioni della V Repubblica forniscono al presidente gli strumenti per governare e proprio il caso della riforma delle pensioni di questi giorni ne è una dimostrazione.
Restano tutte le difficoltà connesse a dover fare i conti con un Parlamento con due grossi gruppi parlamentari di opposizione (Nupes e Rassemblement National) e con un gruppo post-gollista potenzialmente non ostile alla maggioranza di Macron, ma ridotto in termini numerici e diviso al proprio interno.
Nonostante tutto ciò, e questo è forse il primo interessante insegnamento per la politica italiana, i meccanismi istituzionali della V Repubblica, e tra questi il molto citato articolo 49.3, permettono al presidente legittimamente eletto di razionalizzare un parlamentarismo altrimenti destinato a favorire l’inazione.
OPPOSIZIONE STRUMENTALE
La seconda considerazione interroga le specificità economiche e sociali del contesto francese ma può essere allargata a una parte consistente del vecchio continente europeo, con in prima fila il nostro Paese.
Quella passata in forza all’Assemblea nazionale e ora sul tavolo del Conseil constitutionnel non è certo una riforma “radicale”, né tanto meno “brutale”. Al contrario, l’innalzamento da 62 a 64 anni dell’età pensionabile, peraltro in maniera molto graduale (al ritmo di 3 mesi all’anno), per un contesto come quello francese (livelli sempre più alti di indebitamento, invecchiamento della popolazione, ecc.) può senza dubbio essere ascritta al novero delle riforme “minime” per non giungere all’implosione del sistema.
Per essere ancora più chiari nei contenuti la riforma, peraltro dibattuta lungamente all’Assemblea nazionale, passata poi al Senato e ulteriormente diluita, è senza dubbio sensata, moderata e opportuna. Il risultato è però quello di un’opposizione caotica e violenta che punta in sostanza al vertice del potere esecutivo, disinteressandosi della modernizzazione di un Paese che sembra non voler abbandonare un XX secolo dell’età dell’oro (i cosiddetti 30 gloriosi anni postbellici), in realtà archiviato nei fatti dalla metà degli anni Settanta, per entrare nel XXI secolo. Un nuovo secolo complicato, reso ancora più difficoltoso dalla sequenza pandemia-guerra in Ucraina.
Dunque, dietro agli assalti alle istituzioni (il portone del municipio di Bordeaux incendiato, i molti deputati minacciati fisicamente, i manichini rappresentanti il presidente dati alle fiamme o simbolicamente impiccati) e alle auto e ai cassonetti a fuoco, vi è la tensione di un Paese ripiegato su se stesso, atomizzato e non in grado di sostenere minimamente il peso della congiuntura storica in atto.
Ma su questo punto occorre innestare una terza considerazione, di natura totalmente politica. A essere profondamente in crisi nel contesto transalpino non sono le istituzioni (che al contrario, seppur a fatica, reggono), non è nemmeno l’economia (il Paese è in crescita, la disoccupazione è ben lontana dalla soglia emergenziale del 10%): lo è sicuramente, come si è accennato, la società ma lo è soprattutto la politica, che si tratti di partiti come di sindacati. E nello specifico l’attuale congiuntura sta evidenziando come il sistema istituzionale della V Repubblica fatichi a reggere l’urto nel momento in cui i due pilastri politici che lo hanno strutturato per oltre cinquant’anni, cioè la cultura politica socialista e quella gollista, vivono una completa dissoluzione.
SINISTRA ECLISSATA
Il discorso a sinistra è molto semplice nella sua desolazione. Il socialismo di governo, gestionale e riformista si è definitivamente eclissato nel corso del fallimentare quinquennato di Hollande. Alla destrutturazione di quella cultura politica ha contribuito anche l’attuale inquilino dell’Eliseo, il quale, e questo è uno dei suoi errori strategici più gravi, non ha assolutamente investito energie politiche e culturali per creare un’idea di partito di governo sostitutiva.
L’attuale campo dominato dalla France Insoumise, che ha trasformato i socialisti e gli ecologisti in junior partners, si può racchiudere in una sorta di qualunquismo di sinistra che a tutto si oppone, un mix per nulla virtuoso tra Bernie Sanders e la coppia Conte/Grillo nel nostro Paese. Da segnalare che un sindacalismo storicamente poco rappresentativo nel contesto transalpino, ha visto scivolare nel cono d’ombra dello sterile rivendicazionismo radicale della Cgt e di Fo, anche la solitamente riformista Cfdt (costola sindacale della deuxième gauche di rocardiana memoria).
È però il discorso sul fronte del conservatorismo di tradizione post-gollista che l’attuale crisi sulla riforma delle pensioni ha portato in primo piano. Les Républicains sono stati senza dubbio i protagonisti in negativo di queste settimane. La scelta presidenziale di optare per l’utilizzo del 49.3, che prevede il passaggio del provvedimento senza un voto dell’Assemblea, è prima di tutto legata all’incapacità del gruppo parlamentare Les Républicains di presentarsi compatto nel sostegno alla riforma. In secondo luogo, la mozione di censura successiva al governo Borne, votata da tutte le opposizioni e fermatasi a nove voti dallo scattare, ha visto 19 dei 61 deputati post-gollisti unire i loro voti a quelli di France Insoumise e di Rassemblement National.
LA DESTRA SUPERATA DAL POPULISMO
Ma il punto è proprio quest’ultimo. La destra moderata e di governo nel contesto francese (ma si potrebbe allargare il discorso a numerose altre aree europee) è costantemente sotto pressione perché sfidata, alla sua destra, da un qualunquismo e da un populismo che hanno in parte moderato i toni, soprattutto quelli antieuropei, ma che a oggi non possono garantire basi solide per dispiegare una responsabile cultura di governo.
Come spesso accade, lo specchio francese riflette patologie comuni a molti Paesi europei, compreso il nostro. Tra i molti moniti che giungono da Parigi, uno in particolare andrebbe ponderato con attenzione. Anche istituzioni molto performanti, e nonostante le tante critiche quelle della V Repubblica ancora lo sono, rischiano l’inefficacia di fronte alla deliquescenza dei soggetti politici che le devono incarnare. Quella francese va interpretata come una grave crisi della politica, che finisce per mordere un contesto sociale e culturale accidentato. Le istituzioni reggono, almeno per ora. I mesi a venire ci diranno per quanto.
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