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Il regime iraniano ha deciso di difendersi in modo sempre più spietato. Sono due, per ora, gli studenti di cui il governo di Teheran ha annunciato l’avvenuta impiccagione, dopo rapidissimi processi farsa: Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard, ma molti altri attendono la stessa fine. Non sappiamo ancora se, in questo modo, il regime riuscirà a schiacciare la rivolta. In ogni caso, però, è probabile che il dissenso, magari anche silenzioso, non farà che montare e approfondirsi in tutto il Paese accrescendo la fragilità del regime, forse sino a una crisi inarrestabile.
VERSO IL RIARMO NUCLEARE
Ma i tempi potrebbero essere ancora lunghi e, nel frattempo, la politica del governo iraniano sarà un grave fattore di instabilità per tutta la regione, dall’Iraq alla Siria e allo Yemen.
Diventa infatti sempre più difficile trovare una strada credibile che possa influire positivamente sull’Iran. Lo scorso agosto, l’Unione europea aveva inviato a Teheran una bozza ultimativa di accordo per rilanciare il cosiddetto Jcpoa, firmato nel 2015 dall’Iran con la stessa Ue, nonché la Francia, il Regno Unito, la Germania, la Russia e gli Usa. Complice anche la guerra in Ucraina e il nuovo e più stretto allineamento tra Russia e Iran, il tentativo è caduto nel vuoto, e i negoziati con Teheran si sono di fatto azzerati.
D’altro canto, l’aggressione Russa all’Ucraina, in completo spregio degli accordi sottoscritti da Mosca, in particolare in rapporto con la rinuncia di Kiev alla sua parte dell’arsenale nucleare dell’ex-Urss, in cambio di stringenti garanzie contro ogni minaccia o aggressione da parte russa, ha annullato la credibilità di ogni garanzia di sicurezza offerta dalle potenze nucleari a quelle non nucleari. Ciò apre una strada maestra verso il riarmo nucleare di svariati Paesi, in primo luogo l’Iran. È quindi probabile che il regime degli ayatollah, sentendosi indebolito al suo interno, cerchi di trovare una sua diversa legittimazione attraverso il riarmo, l’allineamento contro Usa e Israele (e forse anche contro gli europei) nonché un ruolo più importante nell’area del Golfo.
Tutto ciò non sarebbe di per sé una grossa novità: sono molti anni che Teheran ha via via indurito e reso più militante (anche in termini militari) la sua politica estera. Il problema è che gli americani e gli europei hanno crescenti difficoltà nell’organizzare una risposta coerente a livello regionale, anche attraverso quelli che dovrebbero essere i loro alleati.
GLI INTRECCI DELLE ALLEANZE
Secondo alcuni analisti buona parte del problema risiede nell’approccio sostanzialmente binario assunto dal presidente Joe Biden: o con noi o contro di noi, dalla lega delle democrazie sino ai rapporti con Russia e Cina. Ma questo rigido approccio risulta generalmente inaccettabile per i Paesi della regione, che hanno interessi molto più articolati.
Così, per esempio, quando lo scorso ottobre l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (l’Opec) ha deciso di tagliare le sue esportazioni in ragione di circa 2 milioni di barili/giorno, Washington ha duramente criticato l’Arabia Saudita per «essersi allineata con la Russia». Tali critiche sono state ribadite più recentemente, in occasione della visita di Xi Jinping al Regno.
Ma il fatto è che i sauditi sono fortemente legati in campo economico e commerciale alla Cina, che assorbe circa 1/5 delle loro esportazioni. Ciò non toglie che gli Usa siano il maggiore garante della sicurezza e dell’indipendenza dell’Arabia Saudita: ma non può trattarsi di un rapporto univoco. Un po’ tutti i Paesi del Medio Oriente sono nella stessa situazione, a cominciare dalla Turchia che, pur restando membro della Nato, ha comprato il sistema antiaereo russo e ha mantenuto una posizione non allineata sulla guerra in Ucraina.
Ma lo stesso si potrebbe dire di Israele, che ha mantenuto buoni rapporti con Mosca per continuare a contenere l’influenza iraniana in Siria, specie dopo il ritiro americano dal paese. Per ragioni analoghe, molti paesi arabi del Golfo, pur restando sostanzialmente legati agli Usa, hanno intensificato i loro rapporti con la Sco (Shangai Cooperation Organization) creata dalla Cina e di cui è membro anche la Russia.
E tre Paesi chiave del Medio Oriente, Egitto, Arabia Saudita e Turchia, hanno espresso il loro interesse ad entrare nel gruppo dei Brics, formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa che, pur non essendo pienamente allineato contro l’Occidente (basti pensare al rapporto conflittuale tra Cina e India, che è anche membro del Quad, l’alleanza contro Pechino con Usa, Giappone e Australia), è spesso critico nei confronti degli Usa.
MEDIO ORIENTE IN ORDINE SPARSO
In altri termini, il Medio Oriente, come del resto buona parte di quello che un tempo si chiamava Terzo Mondo, rifiuta di allinearsi in modo univoco anche con i suoi maggiori alleati. Sembra certo finita l’era del “Non allineamento”, cioè della neutralità nei confronti delle grandi potenze, ma essa è stata sostituita da una nuova era di Multi-allineamento che complica enormemente i calcoli delle grandi potenze e che, in alcuni casi, come quello dell’Iran, potrebbe rendere molto più difficile sia il contenimento delle iniziative aggressive e destabilizzanti di Teheran, sia l’aiuto concreto al popolo iraniano contro il giogo repressivo imposto dagli ayatollah.
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