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Le istituzioni europee a Bruxelles manifestano molta curiosità sulle mosse della presidente del consiglio Giorgia Meloni in Italia e nella UE

C’è molta curiosità da parte delle istituzioni europee sulle future mosse di Giorgia Meloni. La sua immagine come leader populista e sovranista è stata corretta solo in parte dai discorsi di insediamento alle camere. La neopremier ha mostrato con l’Ue un atteggiamento più morbido e collaborativo rispetto al passato, frutto anche della sapiente mediazione di Mario Draghi. Ma i leader europei, dopo il giro di colloqui di ieri a Bruxelles, non si accontenteranno di questo: valuteranno Meloni dagli atti.

La prima questione sul tavolo è la posizione dell’Italia rispetto alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. La fedeltà di Meloni al concerto degli alleati atlantici non sembra discutibile: è stata proclamata in tempi non sospetti, quando Fratelli d’Italia stava all’opposizione del governo Draghi. Semmai, a preoccupare le istituzioni europee sono i due junior partner della coalizione. Matteo Salvini, filoputiniano convinto fino a poco tempo fa e da sempre scettico sulle sanzioni contro la Russia, per adesso tace, ma nulla esclude che possa ricominciare a esternare in favore di Mosca appena lo riterrà opportuno. Silvio Berlusconi non ha dissimulato la sua amicizia e la sua stima per Vladimir Putin nemmeno nei delicati frangenti della formazione del nuovo governo. A Bruxelles sanno bene che rappresenta una spina nel fianco: il ministro degli esteri italiano è un suo uomo fidato.

MELONI A BRUXELLES, L’AFFIDABILITÀ DELL’ITALIA IN SENO ALL’UE

C’è poi la questione dell’affidabilità dell’Italia sul piano dell’economia. Durante la campagna elettorale, Meloni era stata molto combattiva sulle condizioni di attuazione del Pnrr. Il piano è stato negoziato in un momento precedente all’inizio dell’invasione dell’Ucraina e il nuovo contesto geoeconomico dominato dall’esplosione dei costi dell’energia richiederebbe, secondo la premier, un ripensamento di numeri, impegni e scadenze. Sul punto, Bruxelles non ci sente. Paolo Gentiloni, commissario per l’economia, ieri a pranzo con la presidente del Consiglio, ha già chiarito che non sarà possibile una riscrittura, al massimo qualche piccolo aggiustamento tecnico che non richieda una ripresa dei negoziati con l’Italia. Ed è quello che ieri Ursula von der Leyen ha certamente ribadito nel faccia a faccia con Meloni.

D’altra parte, il rispetto degli impegni assunti sulla base del Next Generation Eu è cruciale per legittimare l’Italia nella discussione sulla riforma del patto di stabilità che comincerà la settimana prossima. È probabile che i piani di aggiustamento dei conti diventeranno meno rigidi, ma la sorveglianza sui paesi a debito elevato come il nostro sarà sempre severa. Altro nodo da sciogliere è la ratifica delle modifiche al trattato che ha istituito il Mes (Meccanismo europeo di stabilità), modifiche contestate in passato da Lega e Fratelli d’Italia oggi insieme al governo. Anche qui si registra un atteggiamento più disponibile. La sensazione è che sul piano economico la Meloni abbia le mani abbastanza legate. L’eredità di Mario Draghi è chiara: l’Italia non può sgarrare. Prima di tutto, per difendere la propria economia. E per non disperdere il patrimonio di credibilità accumulato nell’ultimo biennio.

IL NODO IMMIGRAZIONE A BRUXELLES, MELONI GUARDA ALL’UE

Possibile dunque che il governo italiano sposti la vertenza con l’Europa sul fronte dell’immigrazione. Per ora la Meloni sembra aver mitigato gli eccessi della campagna elettorale, rinunciando di fatto all’idea del blocco navale. Ma la proposta alternativa non è chiara. Il passaggio alla “fase tre” della Missione Sophia è una proposta irrealistica. La missione fu già interrotta anni fa da Matteo Salvini, quando era ministro dell’interno, e la Libia si è opposta perché la fase tre prevede di andare nelle acque territoriali libiche per distruggere le imbarcazioni dei trafficanti.

Più volte la Commissione ha sottolineato che i respingimenti operati dall’Italia non rispettano le regole dell’Ue e ha chiesto che i migranti salvati in mare vengano condotti a terra il più rapidamente possibile. La stessa richiesta è stata formulata dalla Germania. C’è il rischio, insomma, che l’atteggiamento dell’Italia verso gli sbarchi faccia del nostro paese l’Ungheria del Mediterraneo. Con una pericolosa associazione di metodo tra Orbán e Meloni. D’altra parte, visto l’impatto maggiore delle migrazioni provenienti dai Balcani e da Cipro, gli sbarchi sulle rive del Belpaese non sono ad oggi una priorità per gli altri paesi europei.

COME SI IMMAGINA L’EUROPA DEL FUTURO GIORGIA MELONI?

Al fondo di tutto questo resta la madre di tutte le domande. Come si immagina l’Europa Giorgia Meloni? “La mia idea di Europa è quella di un’Europa confederale in cui viga il principio di sussidiarietà. Non faccia Bruxelles quello che può fare meglio Roma, non agisca Roma lì dove, da soli, non si è competitivi”, così Meloni secondo le anticipazioni dei giorni scorsi dal libro di Bruno Vespa.

Peccato che il problema dell’Europa sia esattamente l’opposto. Se oggi la Germania può mettere 200 miliardi per sollevare le imprese tedesche dal peso dei rincari, mentre il gruppo dei 27 non è in grado di scegliere nettamente in favore di “politiche energetiche comuni più incisive”, come chiede il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è proprio perché la dimensione intergovernativa (cioè confederale) prevale su quella federalista. Fin quando Meloni non lo capirà, l’Italia resterà “Italietta” e l’Ue non farà mai il decisivo cambio di passo per difendersi dalle minacce esterne.


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