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Vladimir Putin

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ECCETTO per i folli, il ricorso alle armi è stato sempre un mezzo, non un fine. Non sostituisce la politica, ma è al suo servizio. Aggiunge l’uso effettivo o la minaccia – più o meno esplicita – del ricorso alla forza agli altri strumenti della politica: diplomatici, propagandistici, economici, ecc. Le armi sono utili anche quando non vengono impiegate.

L’equilibrio delle forze è il fattore determinante per mantenere la pace. Il possesso delle armi nucleari lo facilita, poiché esse sono intrinsecamente un equilibratore di potenza. Perciò gli Stati che si sentono minacciati tendono a dotarsi di armi nucleari. Quelli che le posseggono tendono ad impedire la proliferazione. All’Ucraina è stato imposto, a Budapest nel 1994 da USA, UK e Russia, la consegna a Mosca delle sue armi nucleari, garantendone la neutralità e l’integrità territoriale. Abbiamo visto come è andata a finire.

L’aggressione che ha subito da chi le aveva garantito la sicurezza sarà un incentivo alla proliferazione, tanto più minaccia di attaccarla anche con armi nucleari. Le prospettive della proliferazione aumentano la futura incertezza geopolitica. Lo si voglia o no, il possesso del nucleare influisce sul livello dell’autonomia strategica. Malgrado l’aumento “secco” di 100 miliardi di euro del suo bilancio della difesa, Berlino avrà bisogno dell’ombrello nucleare USA, a meno che non si doti di un deterrente nucleare. Ha le capacità tecniche e il plutonio per farlo in qualche mese. Allora la Germania assumerà anche la guida politica dell’Europa. Pochi in Italia l’hanno compreso.

Molti hanno proposto di diminuire le spese militari, per aumentare il proprio consenso elettorale. Parlano a vanvera di autonomia strategica europea dalla NATO. Ma non accennano al fatto che il conto da pagare sarebbe salato. La Svezia e la Finlandia lo hanno compreso. In Italia sono pochi ad esserne consapevoli. Per i loro interessi di bottega, continuano a ingannare gli italiani creduloni. Ne hanno convinti molti che con qualche manifestazione per la pace si possa persuadere Putin a ritirarsi dall’Ucraina o, addirittura, Zelensky a rinunciare a consistenti province ucraine.

Le armi nucleari hanno una natura particolare. Hanno effetti distruttivi superiori a qualsiasi obiettivo politico che uno Stato si possa razionalmente proporre. Una guerra nucleare non può essere vinta. Con la fine del monopolio nucleare, gli USA hanno abbandonato la strategia della risposta massiccia e del “primo colpo”, codificata da Foster Dolles nel 1953. Le armi nucleari divennero armi di “non-guerra” o di dissuasione. Non hanno avuto alcun ruolo per la “compellenza”, cioè per imporre la volontà USA ad altri Stati. A partire dalla crisi di Cuba del 1962, è anche esistita una tacita convenzione fra Washington e Mosca di non minacciarne l’impiego. Essa era complementare al comune interesse di evitare la proliferazione, di mantenere l’ordine di Yalta e di non perseguire conquiste territoriali.

Con le sue minacce di ricorso al nucleare e con le annessioni dei territori ucraini occupati, Putin ha infranto tali intese, su cui è tuttora basato l’ordine internazionale. Ha poco senso affermare che verranno impiegate solo a scopo dimostrativo, per terrorizzare la popolazione ucraina e indurre Kiev ad accettare le condizioni di Mosca. Lo scoppio dimostrativo di una testata di piccola potenza – che non produca danni in superficie, ma solo un piccolo fallout radioattivo – non avrebbe effetto sulla resistenza di Kiev, galvanizzata dai suoi recenti successi. Anzi, probabilmente rafforzerebbe la volontà ucraina di continuare a combattere, per le stesse ragioni che avevano indotto Truman nel 1945 a opporsi all’uso dimostrativo delle bombe che furono poi sganciate su Hiroshima e Nagasaki (che cioè esso avrebbe persuaso i giapponesi che mai gli USA le avrebbero impiegate contro le città).

Un uso solo dimostrativo avrebbe quindi un effetto boomerang. Certamente, Mosca sarebbe condannata da Pechino per aver violato il tabù nucleare, il cui rispetto è ritenuto da Xi Jinping essenziale anche per l’ordine mondiale post-americano.

Parimenti impropria è l’idea che un conflitto possa limitarsi al campo di battaglia, cioè a scopi tattici senza coinvolgere le città. Nella guerra fredda la distinzione fra armi tattiche e strategiche era basata sul fatto che le prime potevano colpire solo i territori europei, ma non quelli delle due superpotenze. Non avevano la gittata o i vettori necessari per farlo.

Oggi le cose sono diverse. La distinzione tra tattico e strategico andrebbe riferita al tipo di obiettivo. Se sono le forze schierate sul fronte, l’arma è tattica. Se si colpisce le città, l’arma è strategica. Le armi nucleari tattiche – sia russe che americane – hanno una potenza variabile da qualche decimo a un centinaio di chilotoni (un KT è la potenza equivalente a 1.000 ton di tritolo). Quelle di Hiroshima e Nagasaki avevano una potenza rispettivamente di 15 e 20 KT. Le B61-12 rimaste in Europa hanno una potenza variabile fra 0.3 e 100 KT. Sul campo di battaglia i loro effetti sono molto ridotti – eccetto nel caso di un loro impiego massiccio. Contro le città sarebbero invece disastrosi. La Russia le impiegherà verosimilmente contro di esse sin dall’inizio, anche se, per il gran numero di vittime, diventerebbe uno Stato-paria a livello mondiale. Lo sarà comunque per aver ignorato i taciti accordi che finora ne hanno limitato sia l’impiego che la minaccia di ricorrervi.

Non è detto che alle minacce faccia seguito l’impiego effettivo del nucleare, per quanto Putin possa essere disperato della sconfitta delle due forze in Ucraina. È l’uomo della guerra fredda e sa bene quali siano i meccanismi della dissuasione e quanto sia difficile bloccare un’escalation. Non ha il completo controllo delle armi nucleari e neanche di quelle tattiche. Anche il Ministro della Difesa e il Capo di Stato Maggiore generale sono in possesso di chiavi autorizzative. Non è detto che eseguano l’ordine di Putin di lanciare le armi nucleari. Il Cremlino sa che la Russia non è in pericolo. Lo è solo il potere di Putin. Sa anche che le cose si aggiusteranno. Dopo il 1945 la guerra è rimasta fredda anche perché mai il mondo è stato super-armato come allora. Per l’élite russa la cosa più importante è rappresentata dal mantenimento della parità nucleare strategica con gli USA. Finché rimane, la Russia non può essere sconfitta.

La stabilità strategica alla fine ha indotto USA e URSS a cooperare prima nel mantenimento degli equilibri geopolitici, poi nel disarmo e nella riduzione degli armamenti a partire da quelli nucleari tattici a più lunga gittata (euromissili). Mentre per le armi nucleari strategiche è stato possibile concordare un regime di controllo, limitazione e riduzione, per quelli tattici non vi è stato accordo. L’inferiorità russa nelle sue forze convenzionali rispetto alla NATO e alla Cina, ha reso impossibile l’inizio dei negoziati al loro riguardo. Essi sono previsti dalla revisione degli accordi del Nuovo START, che scade nel 2026, ma è difficile un’intesa solo bilaterale fra Mosca e Washington, dato anche il riarmo nucleare accelerato della Cina. La Russia mantiene nel settore una netta superiorità (2.000 testate contro il paio di centinaia B61-12 rimaste in Italia, Turchia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, delle 7.000 esistenti nella guerra fredda).

L’utilità per la NATO di mantenere tale ridotto numero di testate in Europa è stata approfondita soprattutto nel 2010 durante la revisione del concetto strategico dell’Alleanza. Italia e Germania ne proponevano il ritiro, data la loro ridotta utilità militare. La Francia e i paesi dell’Europa Orientale volevano invece mantenerle. Parigi per evitare che la sua Force de Frappe fosse in prima linea nucleare. Gli altri perché le consideravano elemento essenziale per la credibilità del linkage, cioè dell’impegno americano nella NATO. Le loro pressioni per mantenerle, si sono accresciute quando il presidente Trump ha messo in dubbio la credibilità dell’art. 5 del Trattato del Nord Atlantico, essenziale per la difesa collettiva dell’Alleanza.

Dal canto suo la Russia, cercando di seminar zizzania, ha sempre subordinato l’apertura di negoziati su tali categorie di armi al loro completo ritiro dall’Europa. Il loro valore militare è diminuito ancora per lo sviluppo delle nuove tecnologie convenzionali. In sostanza è del tutto improbabile che la Russia ricorra al nucleare. Con buona pace dei pacifisti di maniera, si uscirà dall’attuale stallo solo se avranno successo i colloqui riservati in corso fra americani e russi. Sperando che non piova, la grande manifestazione per la pace prevista in Italia sarà occasione per un po’ di retorica “dei buoni sentimenti” e di una piacevole scampagnata.


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