Vladimir Putin
5 minuti per la letturaSe le cose non fossero serie, con continue stragi di civili ucraini, ci sarebbe da sorridere. Putin continua a stupire il mondo. Ha ordinato la mobilitazione per invadere un altro paese, ma i possibili “richiamandi” fuggono in massa nei paesi vicini. Si scappa non quando si è invasi, ma quando si invade un altro Stato. A fine settembre, ha dichiarato trionfalmente l’annessione di quattro province ucraine, che secondo la sua retorica e, forse, anche le sue convinzioni, sarebbero tornate per sempre a far parte della “Grande Madre Russia”, mentre le sue truppe si ritirano proprio dai territori di quelle province. Il 1° ottobre sono stati circondati nella città-chiave di Lyman, nel Donetsk, circa 5.000 suoi soldati. Sul fronte Sud, i 15-20.000 russi, schierati a Kherson, sono a corto di munizioni. Le loro vie di rifornimento sono sotto il fuoco dell’artiglieria ucraina. I ponti sul Dnepr sono stati distrutti. I pontoni sono colpiti dai drones kamikaze, forniti a migliaia all’Ucraina dagli USA.
Le forze russe potranno essere rinforzate dai 300.000 riservisti che Putin, dopo molte comprensibili esitazioni, ha deciso di richiamare alle armi. Ma essi saranno disponibili solo fra 3-4 mesi, dopo essere stati riaddestrati. Prima potranno essere impiegati solo come “carne da cannone” per compensare in qualche modo le gravi perdite subite dai reparti impiegati nell’“operazione militare speciale”, come si ostina a chiamarla Putin, nel suo ormai buffo tentativo di nascondere il fatto che è stata un fallimento.
Secondo i sondaggi dell’Istituto Levada, dopo l’annuncio della mobilitazione, solo il 29% dei russi vorrebbero la prosecuzione ad oltranza della guerra, mentre il 48% sarebbero per l’immediato inizio di negoziati. Non è precisato se essi debbano presupporre da parte ucraina l’accettazione delle proposte da Putin o essere senza precondizioni. Beninteso, le prime sono inaccettabili per Kiev e per l’Occidente che ne sostiene la resistenza.
Tra gli esperti occidentali predomina l’opinione che la rinnovata minaccia di Putin di ricorrere alle armi nucleari sia un bluff. L’impatto sul corso delle operazioni di qualche arma nucleare tattica sarebbe minimo. Non sarebbe in grado di bloccare una controffensiva. Tanto per fare un esempio, una testata di 5 KT (5 ton di tritolo), con scoppio aereo basso distruggerebbe una quindicina di carri armati schierati in ordine di combattimento. Creerebbe una nube radioattiva che coinvolgerebbe non solo il Donbass “liberato”, ma anche quello russo. L’effetto distruttivo sarebbe enormemente superiore se colpite fossero le città. L’uso di qualche ordigno nucleare farebbe però perdere a Putin l’appoggio della Cina e dell’India. Sarebbe per lui un disastro. La Russia si è potuta auto-isolare dall’Occidente, perché si è rivolta ad Est, in particolare a Pechino, che sta già manifestando irritazione per la gestione della guerra in Ucraina.
C’è da chiedersi perché Putin, anziché cercare di ottenere una pur minima disponibilità da parte degli USA e degli europei, continui a fare il “gradasso”, adottando iniziative che rafforzano la solidarietà occidentale verso Kiev. Suppongo che sia a conoscenza che le sue forze in Ucraina sono in condizioni disperate, che la mobilitazione produrrà i suoi effetti solo fra qualche tempo, che il morale degli ucraini è alle stelle, che gli USA non potranno cedere al ricatto nucleare, né alla minaccia del “bagno di sangue” che ha preannunciato, né alle sue “vittorie” – per modo di dire – nelle guerre del gas e del grano, né al rischio di attentati alle loro infrastrutture critiche.
Allora, quali sono le motivazioni che possono spingere Putin a comportarsi in modo tanto strategicamente insensato? A parer mio, dai referendum fasulli d’annessione alla Russia, alla mobilitazione “parziale” (che esenta dal combattimento le classi medie e i giovani studenti delle grandi città), alle rinnovate minacce di ricorso al nucleare, e verosimilmente al sabotaggio del Nord Stream 1 e 2, le sue decisioni fanno parte di un “rilancio” globale, nella speranza che i suoi avversari “abbiano meno fegato” di lui e gli cedano qualcosa. Se non potrà essere sufficiente a celebrare con una messa in scena folcloristica la vittoria (come avvenuto nei ridicoli festeggiamenti per il “ritorno a casa” delle quattro province ucraine), deve almeno essere tale da salvaguardargli un minimo di credibilità e la vita, se non addirittura il potere.
Molte spiegazioni psicologiche sono state suggerite sulle motivazioni di Putin. La più ricorrente – che ritengo fantasiosa e “poetica” – è che egli si senta investito della missione quasi divina di correggere le ingiustizie, fatte dal perverso Occidente, peraltro in accelerato declino e inferiore eticamente e culturalmente, ai danni della Santa Russia. Tale spiegazione è sicuramente condivisa dal Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, che ha recentemente cancellato i peccati dei russi che muoiono in Ucraina (continuo a non capire perché Papa Francesco si ostini a volerlo incontrare!), e dagli “eurasisti” come Alexander Dugin, che vedono inevitabile lo scontro fra l’Eurasia e le potenze marittime liberal-democratiche. Più concretamente penso che l’atteggiamento di Putin possa essere spiegato con un fatto confermato dalla storia. I leader democratici possono perdere una guerra senza perdere il potere (anzi, taluni come Churchill e Bush Sr. l’hanno perso dopo aver vinto una guerra). Gli autocrati no. Assieme alla guerra perdono il potere e spesso anche la pelle.
Non credo che Putin “rilanci” perché è persuaso della sua missione quasi divina di correggere “il più grande disastro geopolitico del mondo”, cioè il collasso dell’URSS. Ritengo che sia la minore delle sue preoccupazioni. Si batte alla disperata per salvare il suo potere e il sistema cleptocratico che gli ha consentito di diventare uno degli uomini più ricchi del mondo. Evidentemente, il disastro dell’Ucraina l’ha reso disperato. Secondo molti, ha perso la lucidità che sembrava contraddistinguerlo. Per fortuna, l’autorizzazione all’impiego del nucleare non dipende solo da lui. Sono persuaso che gli altri detentori della “chiave autorizzativa” non eseguirebbero i suoi ordini. Comunque, se cedesse al ricatto nucleare l’Occidente porrebbe le basi per la sua distruzione. Dovrebbe invece “rilanciare”, aumentando gli aiuti militari all’Ucraina, accogliendo chi fugge dalla Russia e, perché no?, inviando ai sodali di Putin, come Lavrov e Medvedev, qualche “bella” fotografia del processo di Norimberga.
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