Vladimir Putin
3 minuti per la letturaLa guerra vera, quella combattuta sui campi di battaglia e nelle città distrutte dai selvaggi bombardamenti russi, prosegue con lentezza. Non è ancora chiaro se Putin abbia in mente un suo obiettivo più o meno limitato, come ad esempio il consolidamento delle conquiste territoriali che oggi assicurano a Mosca il controllo di circa il 20% dell’Ucraina, o se voglia spingersi oltre, verso Odessa e poi la Moldavia, oppure alla riconquista dei territori dell’Ucraina orientale in parte liberati dalle forze di Zelenski, o altro ancora.
Finché non si saprà con una qualche certezza quali siano i piani del Cremlino, non solo sarà impossibile discutere di pace, ma non si riuscirà neanche a concordare un più limitato armistizio che ponga fine se non altro a questa prima fase della guerra.
Il problema è anche nella doppia natura di questa guerra, in parte militare e in parte mediatico-propagandista. La propaganda è sempre stata una delle facce delle guerre, ma in questo caso ha una prevalenza particolare che, invece di essere al servizio degli obiettivi militari, condiziona le operazioni e riduce i margini di manovra, sia strategici che politici.
Putin non ha iniziato questa guerra solo per “salvare” il Donbas filo-russo o per “normalizzare” il governo di Kiev, ma per affermare la sua intenzione di ricostruire la vecchia sfera egemonica sovietica (da lui identificata come russa). Il suo obiettivo principale è intimidire e dividere gli occidentali, in particolare gli europei, che ritiene decadenti ed imbelli e pronti a qualsiasi compromesso per salvare la loro tranquillità.
Purtroppo ad oggi egli è stato clamorosamente smentito: gli europei, malgrado le enormi difficoltà, sono rimasti solidali tra loro e l’alleanza transatlantica, invece di indebolirsi, si è rafforzata. In altri termini, la sua lettura del mondo, riconfermata nel discorso tenuto l’altro giorno a San Pietroburgo, si è rivelata del tutto sbagliata. Ma Putin non può accettare questa smentita, che lo indebolirebbe politicamente, per cui è costretto a mentire, illustrando una realtà parallela di fantasia e decretandola come “verità di stato”, che nessuno è autorizzato a smentire.
Ma è chiaro che più il tempo passa, più si allarga il divario tra realtà e fantasia e più diviene difficile mantenere in vita la finzione. A questo punto Putin ha bisogno di diversivi che in qualche modo lo aiutino a mascherare le contraddizioni e fissino altrove l’attenzione dei suoi sudditi. La guerra sul campo, le conquiste territoriali, anche le più modeste, l’uso mediatico dei prigionieri di guerra e dei profughi, sono tutti elementi utili a questo scopo.
In tal modo però l’obiettivo della guerra non è più qualcosa di concreto e di identificabile in termini territoriali, ma è la sua stessa continuazione come strumento di appoggio alla macchina della propaganda.
Forse questo spiega anche come mai tutti parlino di pace o di negoziati, meno lo stesso Putin, che sembra del tutto disinteressato a porre fine o comunque a sospendere per un lungo periodo i combattimenti. In tal modo però il rischio è che questa guerra non abbia più alcuna logica strategico-militare, ma solo una logica opportunistica volta a perennizzare il suo ruolo di macchina propagandistica.
Certamente, prima o poi tutti i nodi vengono al pettine, e ci sarà un momento in cui la Russia non potrà più permettersi di pagare gli attuali altissimi costi umani ed economici dovuti alla guerra da un lato e alle sanzioni dall’altro. Ma non è facile prevedere quando arriverà questo momento. Potrebbero volerci ancora molti mesi e forse (a seconda di quanto aiuto Putin potrà trovare in Cina o altrove) anche anni.
Tempi lunghi dunque, cui noi europei dovremo prepararci, così da continuare a mantenere quella unità di intenti che rappresenta oggi la vera sconfitta strategica di Putin, e che egli continua a sperare di riuscire, prima o poi, in qualche modo a mettere in crisi.
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