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Mario Draghi e Ursula von der Leyen

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I VERTICI europei raramente sono passeggiate, a meno che non abbiano all’ordine del giorno temi più o meno di facciata (un po’ di retorica non si nega a nessuno). Non è stato così in quello del 30-31 maggio che doveva misurarsi con la spinosissima questione delle sanzioni alla Russia. In questo frangente una volta di più è emersa la difficoltà di promuovere una politica unitaria fra 27 paesi che hanno interessi e problemi niente affatto convergenti. Soprattutto nel momento in cui si restringono le possibilità di distribuire a chi si trova in posizioni sfavorevoli quelli che col nostro vecchio linguaggio dei tempi di pandemia si sarebbero chiamati “ristori”.

La situazione è divenuta evidente quando si è dovuto affrontare il tema delle sanzioni sul petrolio russo. Qui si è subito presentata la questione del diverso peso che il blocco delle importazioni del greggio di Putin avrebbe avuto a seconda delle diverse collocazioni geografiche e non solo. Dal primo punto di vista era evidente che bloccare la possibilità di rifornirsi del prezioso combustibile avrebbe avuto ricadute diverse per quei paesi che potevano comunque acquistarne da altri fornitori sfruttando le vie marine, e chi come alcuni paesi del centro Europa (Ungheria, Cechia, Slovacchia) non avendo sbocchi al mare si vedeva semplicemente bloccati tutti i rifornimenti garantiti dagli oleodotti che arrivano dalla Russia. Significava un blocco niente affatto banale per quelle economie. Un tempo forse si sarebbe potuto cavarsela compensando quei paesi con generosi sussidi, sebbene non si veda bene come avrebbero potuto supplire alla mancanza di petrolio.

Oggi ricorrere a quegli strumenti in maniera massiccia è piuttosto arduo. La UE non solo ha già molto speso nel programma Next Generation EU (quello che finanzia il nostro PNRR), ma deve mettere in programma ulteriori e non lievi interventi per gestire l’emergenza dipendente dalla guerra ucraina: sia che questa continui, sia che si trovi la soluzione per almeno un cessate il fuoco di medio periodo. Sono soldi che in parte andranno a sostenere i bisogni degli stati membri, più o meno significativamente colpiti dal loro coinvolgimento nelle vicende belliche (a partire per molti da quanto hanno dovuto e dovranno investire per la difesa), ma in parte andranno al governo di Kiev se il conflitto non si ferma per stare comunque in piedi o per ricostruire se si presenteranno circostanze più fortunate. Si tenga conto che non è semplice come può apparire a prima vista.

Tanto per dire: i finanziamenti all’Ucraina potranno avere anche un ritorno per quei paesi che possono entrare direttamente nell’ambito del circuito economico occasionato dal sostegno e/o dalla ricostruzione ucraina, ne avranno molto meno per tutti quei soggetti che o non potranno o potranno solo in minima parte far parte di quelle dinamiche. Questo è il contesto in cui si muove oggi la politica europea ed in esso il nostro paese deve operare. A dispetto dei non pochi che lavorano sotto traccia o anche spudoratamente per indebolire Draghi, nel recente vertice il nostro premier ha goduto di una posizione di tutto rispetto: Macron e Scholz che tentano di fare i timonieri dell’Unione attuale hanno voluto al loro fianco nel pre-vertice anche il nostro presidente del Consiglio. Non crediamo che sia una semplice cortesia, visto che la mossa poteva irritare quantomeno la Spagna. Piuttosto era il riconoscimento di quanto fosse utile mantenere il rapporto con una personalità che dimostra di avere davvero qualcosa da dire.

Non ci sembra improprio ricordare che l’Italia soffre però in questo momento di una non felice situazione interna che è ben nota ai nostri partner. Non si tratta della nostra congiuntura economica, che tutto sommato per ora rimane piuttosto buona, quanto delle prospettive future, perché ormai tra qualche mese dovremo affrontare lo scoglio della legge di bilancio e non lascia tranquilli il quadro delle forze politiche che dovranno elaborarla. Almeno due partiti, la Lega e Cinque Stelle, tengono continuamente banco con politiche di complicazione se non di contrasto con quelle del governo. Anche a non voler dare credito alle voci sulle tentazioni di Conte e della sua cerchia di optare per una uscita di M5S dal governo per limitarsi ad un appoggio esterno, anche a voler continuare a classificare le pirotecniche iniziative di Salvini come pura politica spettacolo, non ci sembra possibile negare che siano comportamenti che come minimo azzoppano la credibilità del governo. E quando si arriverà a discutere di una politica di bilancio per il 2023, difficilmente priva di qualche forma di “austerità”, non si sa come si possa fare ad evitare che tutto deflagri. Il tornante è molto delicato, perché nei prossimi mesi si capirà se la vicenda ucraina può concludersi con una qualche lunga tregua (non osiamo sperare in una vera pace) o se lo scontro diventerà cronico. E saranno gli stessi mesi subito dopo l’estate in cui la nostra politica dovrà misurarsi con la stesura di un bilancio che non consentirà di evitare revisioni a certa nostra allegra finanza pubblica, anche se le risorse del PNRR potranno compensare, ma sul medio periodo, il peso di alcune restrizioni nel nostro sistema dei consumi.

Le componenti più responsabili della nostra classe politica e di quella dirigente conoscono e valutano la problematicità di questo tornante, ma non coinvolgere i cittadini nel prendere coscienza di questo passaggio non è la cosa migliore che si possa fare. Non si affrontano tornanti storici complicati lasciando campo libero all’illusione che si possa andare avanti come se quelli potessero essere evitati e si potesse continuare coi riti e coi costumi dei decenni passati.

(Da Mente Politica)


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