Vladimir Putin
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IL SUCCESSO delle forze russe nel Donbass, unito alle gravi perdite subite dalle migliori unità dell’esercito ucraino per opera della superiore potenza di fuoco russa, modifica la situazione in Ucraina. Forse sta determinando le condizioni per l’inizio di trattative. Esse non possono essere prodotte, come molti pretendono, dall’ammissione di Zelensky di essere disposto a cedere territori in cambio di una sospensione dei combattimenti o di serie trattative di pace. Possono essere prodotte solamente dal comune interesse delle parti in conflitto di preferire il negoziato rispetto alla prosecuzione del conflitto.
GLI OBIETTIVI IGNOTI
Dopo il successo nel Donbass, Putin si trova prigioniero fra la conquista di un’Ucraina, che verosimilmente passerà a una guerra prolungata di guerriglia, e la necessità di riconoscere che l’“operazione militare speciale” è fallita e che va trasformata in una “guerra di popolo”, in modo da procurarsi gli effettivi necessari per l’occupazione e la “de-nazificazione” del paese. Zelensky, dal canto suo, potrebbe prendere atto di non potersi opporre più ai russi con una difesa frontale, evitando l’occupazione della parte occidentale del Paese, ma di poter proseguire il conflitto solo con una guerra di guerriglia, trasformando l’intera Ucraina in un campo di battaglia, se non in uno “Stato fallito”, privo di sostanziale sovranità e con un governo in esilio.
Quello che non può accettare è l’ammissione di essere disponibile a cedere territori per far cessare i combattimenti. Potrà acconsentire solo nel corso di duri negoziati. Nessuno può pretendere che bruci le sue carte migliori, come vorrebbero molti “soloni” nostrani, pronti a cedere a Putin quanto non è loro, ma degli ucraini, invocando una pace senza precisare se è quella di Putin o quella dell’Ucraina.
Nessuno, beninteso, sa che cosa le due parti siano disponibili a cedere nel corso delle trattative. In particolare, ignoti sono i veri obiettivi di Putin e anche quanto sarebbe disponibile a cedere Zelensky. Entrambi hanno anche vincoli di politica interna. Dovranno rendere conto ai rispettivi “cerchi magici” e alle loro opinioni pubbliche dei “costi/benefici” di quanto otterranno nei negoziati. Esaminiamo prima il caso di Putin, poi quello di Zelensky.
LE MOSSE DI PUTIN
Putin potrebbe approfittare del successo nel Donbass e negli Oblast di Kherson e Zaporizhzhia per dichiarare “missione compiuta” e accettare di sedersi al tavolo di trattative – almeno per una tregua temporanea – anche perché la Russia incomincia a risentire il peso delle perdite e delle sanzioni. Può affermare di aver raggiunto l’obiettivo che si era prefissato con l’“operazione militare speciale”: quello di “liberare” gran parte delle popolazioni russofone ucraine dalle persecuzioni a cui sarebbero state soggette da parte dei “neonazisti” di Kiev, conquistando anche i due terzi dell’Oblast rimasti sotto controllo ucraino. Si avvantaggerebbe del fatto di poter far muovere verso Odessa o verso Kiev le forze vittoriose nel Donbass. Dovrà comunque riorganizzarle, perché hanno subito gravi perdite e non dispone di immediati rimpiazzi di personale.
È restio a richiamare i riservisti. Deve ricorrere ai pochi volontari disponibili a combattere e a mercenari. Mosca si presenterebbe, quindi, al tavolo delle trattative da posizioni di forza. Non solo. Potrebbe utilizzare la tregua per potenziare progressivamente le proprie forze, senza ricorrere al richiamo di riservisti. Per farlo, dovrebbe dichiarare la mobilitazione generale, riconoscendo il fallimento dell’“operazione militare speciale” e trasformando quella che il Cremlino vuole far apparire un affare interno al “mondo russo” in una “guerra” vera e propria.
Il regime di Putin ne soffrirebbe. Non solo per la renitenza di questi ultimi di essere inviati a combattere, ma anche perché gli sarebbe necessario coinvolgere maggiormente l’opinione pubblica; quindi, attenuare l’attuale repressivo autoritarismo, che tanto bene protegge il potere “cleptocratico” del Cremlino.
FORZE SBILANCIATE
Senza la mobilitazione, Putin non potrebbe disporre degli effettivi necessari per il controllo del territorio ucraino e per il contrasto della guerra di guerriglia, preparata dall’Ucraina. Occorrerebbero da 400 a 600.000 soldati, anche se un “governo fantoccio” russofilo a Kiev fornirebbe consistenti forze di polizia. Va ricordato che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, specie nell’Ovest dell’Ucraina, si scatenò per anni una guerriglia anti-sovietica, che l’Armata Rossa riuscì a reprimere solo con molte perdite.
Il numero ridotto di lanciarazzi multipli a lunga gittata, che gli Usa forniranno all’Ucraina, così come il centinaio di obici Usa M777 e la decina di FH-70 (definiti “armi spaventose” da un improvvisato e sprovveduto autoproclamatosi “stratega” nostrano) non consentiranno agli ucraini un’azione di controbatteria efficace, che consenta loro di opporsi frontalmente alle forze russe.
La loro superiorità di fuoco rimarrà schiacciante: nel Donbass è stata valutata di 20:1. Anche se il rifornimento di munizioni dovrà per i russi percorrere maggiori distanze e potranno essere in parte intercettati, la fanteria ucraina non potrà resistere su posizioni difensive fisse. Molte artiglierie russe hanno una gittata di 50 km. Quelle ucraine di 25-30. Sono quindi in condizioni di enorme inferiorità, non compensata dalla maggiore capacità delle loro fanterie di assorbire perdite.
IL POSSIBILE DISASTRO
Non potendo bloccare direttamente gli attacchi russi a ovest della linea Kiev- Mikolayev, gli ucraini saranno obbligati prima a cedere terreno, poi a ricorrere a forme di difesa territoriale. La guerra potrebbe durare a lungo. Ben difficilmente, in caso di scambio “territori con pace o tregua”, gli ucraini potranno ottenere garanzie internazionali credibili. Senza esse, Putin riprenderà la sua aggressione.
Gli Usa e la Ue hanno chiaramente dichiarato che non intendono essere coinvolti in un conflitto con la Russia. Continueranno a sostenere la resistenza ucraina con armamenti, sperando che l’entità delle perdite subite dalle sue truppe induca Mosca ad attenuare il suo regime di occupazione. Il Paese ne sarà completamente distrutto. L’instabilità regnerà al centro dell’Europa. Si alzerà una nuova cortina di ferro. A differenza di quella della guerra fredda, essa sarà instabile. Il rischio di escalation sarà enorme. Sfumeranno tutte le fantasie dell’autonomia strategica dell’Europa. La presenza degli Usa rimarrà centrale per la sicurezza europea, come nella guerra fredda. Le sanzioni alla Russia dovranno essere mantenute, malgrado i costi che implicano per la Ue, che rischia di frammentarsi per la differenza di interessi fra gli Stati membri.
In conclusione, gli avvenimenti sul campo di battaglia forse hanno creato le condizioni per una trattativa fra la Russia e l’Ucraina. Il suo successo dipenderà soprattutto dalla disponibilità russa di non esagerare con le sue richieste e dalla sua accettazione di credibili garanzie per la futura sicurezza ucraina. In pratica, per l’accettazione da parte di Mosca di un meccanismo di coinvolgimento in essa degli Usa. In caso contrario, la guerra continuerà. Sarà addirittura più brutale e feroce di quanto l’abbiamo finora conosciuta. Sarà un disastro per tutti.
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