Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina
5 minuti per la letturaL’Europa si è accorta che i suoi confini sono nel Mediterraneo. Sarebbe bene che adesso si renda conto che dobbiamo arrivare nell’altra sponda, più a Sud. Come capirono i romani quando tutta la costa nord africana diventò tanto centrale da avere un imperatore proveniente da Leptis Magna.
Quel Settimo Severo di origine libiche che creò una città che somigliasse a Roma nel pieno deserto. Ma non vi erano sulla riva solo forti di difesa ma anche teatri, da Sabrata in Libia a Lixus in Marocco, che dimostravano come non fosse una pura dominazione ma una contaminazione di civiltà.
Capire adesso che il problema/opportunità dell’Africa va inquadrato in modo differente è un passaggio fondamentale non solo per gli italiani, ma anche per i francesi e i tedeschi,
Finora, grazie all’impegno tedesco ed alla collaborazione del nostro Romano Prodi, la visione prevalente era stata quella di un’Europa che vedeva nell’Est, prima dominato dalla ex Unione Sovietica, la sua proiezione futura. La guerra in Ucraina e la chiusura dei rapporti con la Federazione Russa ha fatto capire, anche ai più riottosi, che a Est della Selva Nera non vi è futuro.
E che l’Europa si fermerà alle piccole Repubbliche Baltiche, alla Polonia e, a seconda dell’esito della guerra in corso con la Federazione, all’Ucraina. E che la nuova frontiera di crescita va cercata a Sud.
Adottare un atteggiamento diverso rispetto a quello da sempre avuto nei confronti dell’Africa non sarà semplice, ma non vi sarà alternativa. Sono finiti i tempi in cui il rapporto era coloniale, espresso o nascosto, come avvenuto fino a tempi molto recenti da parte per esempio della Francia e che interventi come quello fatto nei confronti del dittatore Gheddafi o di Saddam Hussein in Iraq hanno fatto il loro tempo e potrebbero creare, come è avvenuto, più problemi di quanti non ne risolvano.
In questa visione va inquadrato la crisi umanitaria che ha portato al sovraffollamento di Lampedusa, diventato fenomeno diffuso sull’etere e sul web da tutte le televisioni europee che hanno inviato nell’Isola dei loro corrispondenti. Sì è compreso finalmente che il tema e la crisi non riguardano né solo Lampedusa, né solo l’Italia.
Il fenomeno degli spostamenti delle popolazioni funziona come la caduta dell’acqua. Puoi costruire tutti gli ostacoli che vuoi essa troverà un modo per scorrere a valle. Puoi solo incanalarla ma uno sfogo lo devi dare. Anche se costruisci una diga la sua capacità di contenimento sarà sempre limitata.
L’unico modo perché l’acqua non scenda a valle è che non piova. E quindi che la gente non parta. Ciò non vuol dire che provvedimenti per scoraggiare le migrazioni clandestine non debbano essere presi, né che dobbiamo far gestire i flussi migratori agli scafisti, mercanti di carne umana.
Ma certamente qualunque provvedimento se non si va alla testa dell’acqua e non si eliminano le cause dei trasferimenti massicci, non potrà impedire quello che da sempre è accaduto e che cioè quote di popolazione si trasferiscano in cerca di un futuro laddove nel loro paese di origine vi siano guerre o impossibilità di una sopravvivenza dignitosa.
Oggi più che mai, considerato che con i mezzi di comunicazione di massa a disposizione di chiunque, tenori di vita più confortevoli vengono conosciuti anche nel più remoto villaggio della periferia del mondo. Per questo la visita della presidente Meloni all’Isola pelagica ha assunto un significato diverso perché accompagnata da Ursula von der Leyen.
Forse è stato finalmente chiaro agli europei che la frontiera Lampedusa riguarda tutti. E che laddove si sbarca al molo Favaloro in realtà è come se si mettesse un piede a Ventimiglia o a Berlino. Il problema Lampedusa sarà facile da risolvere: basterà mettere alcune navi che raccolgano i naufraghi e li trasferiscano in terraferma.
Molto più complicato e più a lungo termine l’approccio per impedire che partano dai loro Paesi. Per questo è necessario un impegno a far sviluppare adeguatamente questa parte del mondo, ricchissima di materie prime, con ancora tassi di crescita demografica che evidentemente vanno contenuti. In tale visione il ruolo del Mezzogiorno e della piattaforma logistica rappresentata dallo stivale diventa indispensabile.
Le poche decine di chilometri che separano Pantelleria alla Tunisia, il tipo di integrazione che si è costruita a Mazara del Vallo, diventano elementi di forza sui quali costruire un’ipotesi di futuro.
Il trasferimento dell’energia e del gas dalle coste africane la grande opportunità per alimentare una Europa sempre più energivora. I sistemi di collaborazione con aziende in partnership per la pesca una proiezione futura. Ma tale prospettiva deve nascere da un impegno europeo, da una Unione che cominci a investire risorse importanti per far sviluppare un territorio che ha stesse caratteristiche della Sicilia. Porto Palo, in provincia di Siracusa, è al di sotto del parallelo di Tunisi.
E in tal senso investire nel Mezzogiorno diventa un passaggio fondamentale di un percorso europeo. L’Unione lo ha avuto più chiaro di quanto non l’abbia capito lo stesso nostro Paese. Tanto da destinare con il Pnrr risorse importanti al nostro Paese con l’obiettivo di essere destinati al Sud, considerato che i parametri di riferimento sono stati il tasso di disoccupazione, il reddito pro capite e la popolazione, che proprio per la presenza del Mezzogiorno hanno “avvantaggiato“ l’Italia.
Per questo diventa centrale il collegamento stabile dello stretto di Messina, che consenta il potenziamento dei porti di Augusta e di Gioia Tauro. E investimenti importanti sulla costa meridionale della Sicilia in maniera che Pozzallo, Gela, Licata, Porto Empedocle, Sciacca, Mazara del Vallo, Marsala, Trapani non siano soltanto porti di approdo per i disperati migranti in cerca di futuro ma anche punti di partenza per collegamenti frequenti con la costa nord africana, per scambi di know how, di investimenti, di merci. Ma considerata l’arretratezza di questa parte del Paese tutto ciò non potrà avvenire se non vi sarà uno sforzo nazionale ed europeo. Prima c’è né convinciamo e meglio sarà.
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