INDICE DEI CONTENUTI
- 1 La crescita dell’economia del Sud
- 2 Si riallarga il divario territoriale
- 3 L’inflazione
- 4 Pnrr e la scommessa del riallineamento delle due Italie
- 5 Tra inflazione e stretta monetaria nel Sud del Paese una luce sull’occupazione
- 6 Fitto: “I numeri del rapporto Svimez lasciano intendere delle grandi potenzialità”
Nel Sud Italia pesano inflazione e stretta monetaria ma il Mezzogiorno mette a segni tassi di crescita in linea col resto del Paese.
C’è una «notizia» nelle anticipazioni del Rapporto Svimez 2023: il Mezzogiorno nel 2022 ha agganciato la ripresa nazionale, mettendo a segno tassi di crescita in linea con il resto del Paese: il Pil è cresciuto del 3,5%, come l’Europa, e poco meno della media italiana pari al 3,7%. Un netto cambio di passo nel post Covid rispetto alle precedenti crisi, del 2008 e 2013. «Anzi, se noi sommiamo la perdita del 2020 con la ripresa del 2021-2022, il Sud è andato addirittura meglio del Centro Nord», ha sottolineato il direttore della Svimez, Luca Bianchi, durante la presentazione del rapporto insieme al presidente dell’associazione, Adriano Giannola, cui ha preso parte anche il ministro per gli Affari Europei, la Coesione, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto.
La crescita dell’economia del Sud
Nel biennio 2021-2022 l’economia meridionale è cresciuta del 10,7%, più che compensando il crollo dell’8,5% dell’anno pandemico, mentre nel Centro-Nord la crescita è stata leggermente superiore, dell’11,1%, ma – si sottolinea – in quest’area la flessione è stata del 9,1%. Nello stesso periodo la locomotiva Nord Est si è fermata al +9,9%.
Dagli investimenti è arrivato un forte contributo alla crescita, con le costruzioni a fare da traino con il loro +13% nel 2022, a fronte dell’11% nel Centro Nord. Mentre i consumi hanno tenuto, ma hanno risentito della dinamica inflazionistica che ha avuto un impatto significativo sulla spesa alimentare soprattutto in quest’area.
Si riallarga il divario territoriale
Nonostante la ripresa vigorosa, comunque, il Mezzogiorno resta sette punti sotto il livello del 2008, la data che segna l’avvio del progressivo allargamento del gap territoriale.
Per il 2023 Svimez stima una crescita del Pil dello 0,9%, di tre decimi sotto quella del Centro Nord che dovrebbe attestarsi all’1,2%, mentre il Paese dovrebbe crescere dell’1,1%.
Per l’Italia nel biennio 2024-2025 Svimez “vede” una crescita rispettivamente dell’1,4% e dell’1,2%, e riallargarsi il divario territoriale, che dovrebbe tuttavia restare contenuto limitato pochi decimi di punto rispetto al altre fasi della ripartenza.
L’inflazione
La dinamica inflazionistica ha pesato più al Sud che al Nord, con i prezzi a toccare rispettivamente quota +8,7% e +7,9% in corrispondenza del picco raggiunto nel 2022. E nel sentiero di rientro verso il 2% atteso nel 2025 il Sud continuerà a registrare rincari maggiori che altrove.
Un peso che si scarica sui consumi che dovrebbero crescere più lentamente durante l’intero periodo (+1,1% contro +1,7% nel 2023, restando tra i 5 e i 7 decimi di punto sotto anche nel 2024-2025). Di segno opposto la dinamica degli investimenti che nel prossimo biennio dovrebbe registrare ritmi di crescita superiori alla media delle regioni centro-settentrionali, con l’impatto espansivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza a compensare la debolezza dei consumi e degli investimenti privati.
Pnrr e la scommessa del riallineamento delle due Italie
Sulla variabile Pnrr si gioca la scommessa del riallineamento delle due Italie. E i numeri del rapporto lo mostrano chiaramente: condicio sine qua non è l’attuazione efficiente del Piano, ovvero l’uso di tutte le risorse nei tempi dettati da Bruxelles e il superamento delle criticità attuative. In questo caso la crescita 2023 stimata allo 0,9% potrebbe essere ritoccata all’insù, fino all’1,4%. Mentre il 2025 potrebbe segnare la chiusura del differenziale di crescita tra Nord e Sud, che arriverebbero rispettivamente a segnare 2% e 1,9%.
L’effetto cumulato complessivo nel 2027 sul Pil italiano potrebbe esser pari a 5,1 punti, 8,5% al Sud e 4,1% nel Centro Nord.
Da qui l’invito del presidente Giannola a spingere su «una riprogrammazione «seria» del Pnrr, che, ha sottolineato, è essenziale per la rinascita dell’Italia.
Nel senso opposto rispetto alla spinta Pnrr andrebbe un ulteriore inasprimento della politica monetaria anti inflazione: la stretta operata finora, stima Svimez, ha avuto un impatto cumulato negativo sulla dinamica del Pil tra il 2023 e il 2025 pari a circa 6-5 decimi di punto nel Mezzogiorno e nel Centro Nord. Un nuovo rialzo di 50 punti base avrebbe effetti recessivi più pronunciati nel Mezzogiorno, ha sottolineato Bianchi, «contribuendo ad allargare la forbice dei tassi di crescita di due decimi di punti di Pil».
Tra inflazione e stretta monetaria nel Sud del Paese una luce sull’occupazione
Intanto tra le luci del rapporto c’è la ripresa dell’occupazione che nel Mezzogiorno è tornata ai livelli superiori a quelli pre pandemici, (+22mila nella media del 2022, anche se ci sono ancora 300mila posti in meno rispetto al 2008). Tra gennaio 2021 e 2023 il Sud ha registrato 442mila nuovi occupati su 1,4 milioni nel Paese, con una crescita del 7,7%, rispetto al 6,1% del Centro Nord. Ed è aumentato anche il lavoro a tempo indeterminato che ha segnato + 310 unità (+9% rispetto al +5,5% del Centro Nord).
Ma anche sul fronte dei salari l’inflazione ha avuto qui un peso maggiore: se in Italia la contrazione è stata in media del 7,5% (contro il -2,2% dell’Ocse), nel Sud la perdita del potere d’acquisto è stata dell’8,4%. E questo in un quadro che tra il 2008 e il 2022 ha registrato una riduzione delle retribuzioni lorde di 12 punti, contro i 3 nel Nord, un lavoratore su tre guadagna meno di 9 euro lordi l’ora e il lavoro a tempo determinato resta su livelli “patologici”: i posti a termine sono il 22,9% al Sud, contro il 14,7% al Centro Nord. Mentre il numero dei giovani meridionali laureati in fuga vesto le regioni settentrionali tra il 2001 e il 2021 ha raggiunto quota 460mila.
Fitto: “I numeri del rapporto Svimez lasciano intendere delle grandi potenzialità”
Il rilancio dell’industria, lo sviluppo delle filiere strategiche e il ruolo del Sud al centro del Mediterraneo sono le leve da attivare per spingere sul riallineamento e la crescita del Sud che è fondamentale anche per l’intero Paese. E tanta parte di tutto questo si gioca sul Pnrr. Lo sa bene il ministro Fitto secondo cui, intanto, i numeri del rapporto Svimez «lasciano intendere delle grandi potenzialità che vanno sviluppate con la programmazione». Con la Svimez intanto, il ministro firmerà un protocollo d’intesa per rafforzare la collaborazione nei fatti già avviata da tempo.
Il ministro ha insistito sul necessario coordinamento dei diversi programmi di intervento, Pnrr, fondi nazionali ed europei della coesione, Fondo di sviluppo e coesione. Per Fitto, serve limitare una logica di proliferazione degli interventi per il Sud, puntando piuttosto su «pochi obiettivi programmatici chiari, in grado di incidere sulle condizioni di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia». In particolare, è il Pnrr a poter essere elemento decisivo per sostenere la crescita del Sud e gettare le basi per il futuro, sottolinea il ministro. «Nel giro di due-tre mesi avremo un quadro organico di riferimento per avviare una fase di attuazione concreta», ha sottolineato, un elemento «che possa non solo risolvere i nodi organizzativi, ma anche mettere in campo una nuova strategia».
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