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L’economia dell’Italia resta una locomotiva, è stata capace di mettere in campo una ‘svalutazione interna’ con aumenti dei costi del lavoro e dei prezzi minori rispetto ai concorrenti
L’economia, in giro per il mondo, arranca ma avanza. Il che è sorprendente quando si pensi che, all’inizio dell’anno, si dava per inevitabile la recessione. Gli indici più tempestivi della congiuntura – i PMI, gli indici dei direttori agli acquisti, una figura professionale delle imprese che ha il polso diuturno della situazione – segnalano continui miglioramenti da gennaio a marzo, sia in Europa che in America e in Cina, nell’indice complessivo che copre sia manifattura che servizi (vedi grafico).
Guardando più avanti, per l’Europa sono disponibili anche i cosiddetti ‘superindici’, che hanno qualche valenza anticipatoria. E questi danno conto di una stabilizzazione sui livelli raggiunti a gennaio, sia per la Francia che per la Germania e per l’Eurozona. Si è parlato poco sopra di ‘sorpresa’, ma c’è una sorpresa nella sorpresa, e riguarda l’Italia.
Come si vede dal grafico, i superindici, se danno conto di una stabilizzazione nei principali Paesi europei, danno conto invece di una vivace e continua ripresa in Italia, che le confermano quel ruolo di locomotiva che aveva conquistato nel 2021 e nel 2022, e che sembrava in dubbio per il 2023.
Beninteso, la crescita del 2023 si avvia a essere, per le due sponde dell’Atlantico, nettamente meno forte di quella dell’anno scorso, ma, in questo mal comune, c’è un piccolo gaudio per l’economia italiana, che tiene testa, meglio degli altri, a quelli che Shakespeare chiamava i «dardi e frecce della sorte avversa».
Che cosa c’è dietro a questa resilienza? È certamente troppo presto per dar merito, a proposito di resilienza, al PNRR, dato che di cantieri aperti se ne sono visti pochi. C’è da dare una parte del merito alle imprese esportatrici, che hanno continuato nelle loro gesta, segno di una profonda ristrutturazione indotta dalla crisi (anzi, dalle crisi, dato che negli ultimi anni hanno imperversato i ‘cigni neri’); e segno, anche di una migliorata competitività/prezzo, che viene confermata dalla nostra relativa moderazione salariale: si veda la dinamica, illustrata su queste colonne il 29 marzo, del costo del lavoro e del deflatore del Pil.
Dinamica che suggerisce come l’economia italiana sia stata capace di mettere in campo una ‘svalutazione interna’ (quella esterna, non avendo una propria moneta, non è più possibile), con aumenti dei costi del lavoro e dei prezzi minori rispetto ai concorrenti.
Anche ha contribuito, in questo anomalo ciclo, l’abbrivio della forte crescita dal 2021, abbrivio che era stato parzialmente mascherato, l’anno scorso, dall’infausto evento dell’invasione russa in Ucraina. Così come questa crescita era stata più forte rispetto a quella degli altri Paesi, anche l’abbrivio si rivela ora più pronunciato.
Infine, un ruolo bisogna riservarlo ai consumi, una componente della domanda che dopotutto copre circa i tre quarti del Pil. Così come la crescita, in quanto rivelata dagli indici PMI di cui sopra, è tirata soprattutto dai servizi (sia in Europa che in America e in Cina), vi è da noi una copiosa evidenza aneddotica, confermata anche dai dati della contabilità nazionale, che sono i servizi la componente più dinamica. In particolare, il commercio al dettaglio – vedi grafico – registra in Italia un clima di fiducia di parecchio più alto rispetto all’Eurozona.
Anche qui, possiamo interrogarci sulle ragioni. Intanto, precisiamo che il ‘clima di fiducia’ è in fondo una variabile reale e non dipende dall’inflazione. Sarebbe sbagliato credere che i dettaglianti hanno più fiducia perché i prezzi sono aumentati e loro incassano di più. Sarebbe sbagliato per due ragioni: primo, perché quel che a loro interessa è quanto guadagnano, non quanto vendono; secondo, perché se i compratori fossero scoraggiati dagli alti prezzi, i dettaglianti non sarebbero contenti.
Certo, si potrebbe arguire che i venditori sono contenti perché lucrano su un aumento dei margini. Ma in quel caso, di nuovo, i compratori non sembrano scoraggiati. Gli ‘spiriti animali’ non riguardano solo le imprese e gli imprenditori, ma anche le famiglie consumatrici. E questi spiriti animali, che si erano ridestati dall’inizio del Governo Draghi (come ci dicono i dati sulla fiducia delle famiglie), e che poi erano stati spenti dai bui eventi di una guerra nel cuore dell’Europa, stanno riguadagnando terreno negli ultimi mesi.
Un altro fattore che spiega la tenuta della spesa delle famiglie sta nei risparmi che erano stati accumulati dai tempi della pandemia: fra contributi, sussidi e ristori, il reddito disponibile della famiglie era stato doverosamente supportato e, data l’impossibilità di spendere durante la pandemia, c’era un ‘tesoretto’, un serbatoio di ‘domanda repressa’ che è venuto alla luce successivamente.
Certamente, la navigazione nel resto dell’anno si annuncia ancora accidentata. Ci sono troppe variabili geopolitiche in agguato che possono risospingere verso la recessione. Ma è importante sottolineare che l’economia tiene meglio delle attese, e questa tenuta è specialmente evidente per l’economia italiana.
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