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I ministri Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto

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Sul Pnrr «si gioca la capacità di ripresa e crescita del Paese». Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha dato la misura della sfida che impegna il governo durante l’audizione in commissione Bilancio del Senato sul Dl Pnrr. E lo stesso ha fatto Raffaele Fitto, titolare del super dicastero che mette insieme le deleghe Affari Europei, Pnrr, Sud e Coesione, declinando – poco dopo davanti alla stessa commissione – la “mission” affidata al terzo dl Pnrr, il primo dell’era Meloni, che è quella di semplificare e accelerare l’attuazione del piano, superando criticità, colli di bottiglia riconducibili alla burocrazia e lentezze nella spesa ora che si entra «in una fase più complessa», quella della «messa a terra» delle risorse con l’avvio degli investimenti, che richiede, ha spiegato Fitto, «una struttura più solida»: «E’ in gioco l’interesse del Paese». E il rafforzamento della governance, è l’opinione di entrambi i ministri, è fondamentale per affrontare la sfida della ripartenza.

Il tempo stringe:  «Giugno 2026 (la data di scadenza del piano) è dietro l’angolo», ed è «l’orizzonte» con cui il governo deve confrontarsi, ha rimarcato il ministro per gli Affari Europei: «La Commissione non ha lasciato intendere modifiche. E noi lavoriamo per quello». Intanto, parlare della possibilità di andare oltre il 2026, scendono Giorgetti, «non dovrebbe violare alcun tabù», dal momento che da quando «i piani sono stati redatti è successo qualcosa che ha mandato i dati in tilt».

Il fatto, invece, che un «aggiustamento» del Pnrr «sia necessario credo sia indubbio da parte di tutti», ha poi evidenziato il titolare del Mef: «Serve un assestment onesto della situazione, delle condizioni di costo che si sono verificate» ma in ogni caso, dice «oggi siamo impegnati a rispettare tutti gli obiettivi e le milestone che ci siamo dati».

Gli obiettivi per il 2021 e il 2022, ha sottolineato Giorgetti, sono stati tutti centrati: 151 su un totale di 527 da eludere entro il 2026. Dei 55 target relativi al secondo semestre del 2022, ha evidenziato Fitto, «30 sono stati ottenuti dal nostro governo».

Nel 2023 gli obiettivi da conseguire sono in totale 96, di cui 27 nel primo semestre e 69 nel secondo. Finora «l’Italia ha ricevuto 66,9 miliardi di euro e si attende la prossima tranche di 19 miliardi intorno a maggio», ha detto Giorgietti.

Intanto si lavora alla relazione sull’attuazione del piano che verrà presentata «al termine dell’assestment della terza tranche di pagamenti, e comunque non oltre il Def». Mentre Fitto tiene in piedi l’interlocuzione con la Commissione europea sull’aggiustamento del Recovery, puntando anche sulla flessibilità sui “fondi esistenti” spuntata all’ultimo Consiglio Ue che, in caso di ok di Bruxelles, consentirebbe di spostare sotto il cappello della coesione, che ha un più ampio arco temporale, i progetti che rischiano di non rispettare la scadenza del 2026.

Entro il 30 aprile dovrà essere presentato il capitolo Repower Eu, «la proposta a del governo sulla risposta alla crisi energetica» che va a implementare il piano. Dopo la riunione di qualche settimana fa con i rappresentanti dei ministeri più direttamente coinvolti e le società partecipate che si occupano di energia (Eni, Enel, Snam e Terna), ieri il ministro ha presieduto a Palazzo Chigi una cabina di regia, alla presenza anche del ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, cui hanno preso parte i rappresentanti di Comuni, Province e Regioni per proseguire il confronto sul nuovo capitolo. Regioni ed enti locali, si è sottolineato «saranno attori determinanti nella realizzazione del Piano, che riguarda non solo gli interventi da mettere in campo – attraverso la rimodulazione del Pnrr e dei fondi della politica di coesione per garantire la nostra autonomia energetica – ma tutta una serie di misure concernenti normative e regole, e una serie di incentivi a sostegno di famiglie e imprese».

Repower Eu rappresenta il trait d’union tra il Pnrr e i fondi di coesione: «La Commissione Ue dice che può essere finanziato con le risorse a fondo perduto: non abbiamo possibilità di utilizzare ulteriori risorse a debito perché la scelta sul Pnrr è stata di utilizzare il 100% risorse a debito del Next Generation Ue. Abbiamo necessità di mettere assieme fino al 7,5% delle risorse della coesione insieme a quelle a fondo perduto e insieme a un’implementazione del Pnrr», ha spiegato Fitto, “giustificando” così anche lo smantellamento dell’Agenzia della coesione, le cui funzioni sono state riassegnate al Dipartimento per la coesione. Sulle altre motivazioni il ministro è stato netto: parlano i numeri dell’ultima relazione sulle programmazioni dei fondi europei e nazionali 2014-2020 e dicono che «a fronte di 126 miliardi complessivi la spesa è stata circa del 34%, quindi le risorse spese sono state circa 43 miliardi». Risultati «oggettivamente negativi, a prescindere dalla valutazione politica».

La scelta comporta poi  anche un «risparmio di spesa per la pubblica amministrazione». Ma l’operazione risponde soprattutto alla necessità e volontà di «mettere insieme una visione unica delle scelte collegate al Pnrr e di quelle collegate alla politica di coesione», in modo che i due programmi possano «dialogare e interfacciarsi». Un obiettivo che è alla base anche della “ristrutturazione” e del rafforzamento della governance – che è in linea con la nuova “mappa” delle deleghe ministeriali e la “creazione” di un ministro delegato all’attuazione del Piano, che ora fa capo a Fitto -. Il ministro ha quindi respinto le critiche:  «Non c’è nessun accentramento, c’è una riorganizzazione. Si è scelto di mettere insieme tre diverse strutture in un’unica struttura leggermente rafforzata» che «deve rispondere a un quadro complesso». Il ministro ha affrontato anche la discussa  questione della riorganizzazione delle  unità di missione dei ministeri, spiegando che la stabilizzazione dei funzionari nasce dall’esigenza di poter contare su «una struttura solida», e su quelle competenze che altrimenti potrebbero cercare maggiori garanzie altrove: «Un terzo dei 500 funzionari a tempo determinato hanno lasciato l’incarico per fare una scelta diversa, indebolendo strutturalmente quello che doveva essere lo strumento fondamentale per rafforzare la capacità di governo dei singoli ministeri».

Sull’esigenza di rivedere e potenziare la governance del Piano ha messo  l’accento anche Giorgetti, sottolineando come la riorganizzazione sia «necessaria per affrontare la sfida» posta dal Pnrr e assicurando che da parte del Mef «c’è tutta la disponibilità» a supportarla. In particolare, ha quindi spiegato, «è stato rafforzato» il raccordo tra la struttura di governo strategico del Pnrr istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e quella di presidio tecnico-operativo presso il ministero dell’Economia, come è stato rafforzato anche il Servizio Centrale della Ragioneria Generale, rinominato Ispettorato generale per il Pnrr, che svolgerà compiti di coordinamento».


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