Il Ministero dell'Economia
6 minuti per la letturaTra ritardi, inciampi e necessarie correzioni la prima legge di Bilancio del governo Meloni mantiene un incedere lento che rende sempre più probabile che l’ok della Camera possa arrivare non prima della Vigilia di Natale. I tempi si fanno quindi sempre più stretti, quindi. Il passaggio in Senato, dove il testo, “blindato”, è atteso per il 27, dovrà concludersi entro il 31 dicembre per scongiurare l’esercizio provvisorio. Un’ipotesi che la premier non contempla mentre difende l’operato dell’esecutivo: “Tra mille difficoltà, in questi giorni complessi sulla legge di Bilancio e nonostante quello che si può e si deve migliorare, rispetto a chi auspicava e prefigurava una partenza del governo come una catastrofe, questo discorso gli sta simpaticamente tornando indietro come boomerang”, ha affermato di fronte ai deputati e senatori di FdI per lo scambio degli auguri di Natale.
E in serata, nel salotto di Porta a Porta, è tornata su alcuni dei punti più dibattuti del provvedimento, come il pos e il reddito di cittadinanza. Per quanto riguarda il primo, un tetto di 60 euro avrebbe esentato gli esercenti dalle multe in caso di rifiuto del pagamento elettronico. La norma è caduta di fronte ai rilievi della Commissione europea. Cambiare le carte in tavola, sarebbe stato “un libera tutti” per la Ue, ha spiegato la premier. “Allora abbiamo fatto un’altra norma. Non rinuncio a occuparmene per un fatto di giustizia. Sulle piccole cifre le commissioni sul pos non possono essere a carico degli esercenti. Non è giusto”, ha affermato annunciando “una moral suasion per azzerare le commissioni bancarie per gli importi bassi. Altrimenti potrò applicare una tassa sull’extragettito per le commissioni bancarie su piccoli importi. I proventi della tassazione – ha spiegato – serviranno per aiutare gli esercenti”.
Inflessibile si è mostrata sull’abbattimento del reddito di cittadinanza fissato allo scadere del 2023 e su cui intanto la manovra dà un giro di vite, prevedendo, tra le altre cose, la decadenza dal diritto al sussidio se si rifiuta una offerta di lavoro anche se non la si ritiene congrua. “Se ti rifiuti di fare un lavoro dignitoso, con tutte le garanzie, ma che non è quello dei tuoi sogni non puoi pretendere che ti mantenga lo Stato”, ha puntualizzato Meloni.
Le nuove condizioni, intanto, saranno messe nero su bianco a gennaio in un decreto allo studio del ministero del Lavoro, che, secondo quanto ha anticipato il sottosegretario Claudio Durigon, lascia una porta aperta anche al possibile ritorno di Opzione donna nella versione attualmente in vigore. Il governo accelera intanto poi sulla riforma del processo civile: grazie a un emendamento la parte delle norme civili contenute nella “riforma Cartabia” entrerà in vigore non il 30 giugno, ma il 28 febbraio.
Mentre il presidente del Consiglio rilasciava la sua prima intervista televisiva, le stanze parlamentari hanno vissuto nuovi momenti di tensione e di scontro, con i tempi della sessione alla Camera che si sono ulteriormente allungati per via del necessario nuovo passaggio in Commissione del disegno di legge dopo la discussione generale nell’Aula di Montecitorio per rimediare a un errore da circa mezzo miliardo, ovvero procedere allo stralcio dal provvedimento della norma che stanzia 450 milioni per i Comuni per mancanza di coperture finanziarie.
Un problema che ha riguardato altri emendamenti: la Ragioneria Generale dello Stato, in una nota di 18 pagine, ha infatti chiesto 44 correzioni, tra lo stralcio della norma sui Comuni proposta dal Pd – perché, si sostiene “determina effetti negativi di finanza pubblica” – 23 riformulazioni per problemi di copertura e 20 ulteriori richieste di riformulazioni e osservazioni.
L’esame del documento ha messo per ore in stand by l’Aula prima della richiesta del rinvio del disegno di legge in Commissione per le opportune modifiche da parte del presidente della Bilancio Giuseppe Mangialavori (FI). Il via libera della Commissione sulle correzioni è poi arrivato intorno alle 20 tra le contestazioni dell’opposizione che ha abbandonato i lavori. Sul testo il governo ha posto la questione di fiducia, dalla richiesta il regolamento della Camera richiede trascorrano 24 ore prima di precedere al voto.
Nel mirino del dipartimento del Mef sono finite, tra le altre, la misure sullo smart working per i fragili nella scuola, la nuova Carta giovani, la convenzione con Radio radicale, la tassa di soggiorno a 10 euro per i comuni turistici.
Partiamo dalla proroga dello smart working che la legge di Bilancio concede ai lavoratori fragili fino al 31 marzo 2023. I rilievi della Ragioneria riguardano in modo particolare il mondo della scuola: la proposta comporta oneri di sostituzione del personale scolastico interessato dalla disposizione che nella relazione tecnica non sono stati quantificati e sono privi della necessaria copertura finanziaria. Pertanto “si esprime parere contrario”. La Ragioneria ha chiesto quindi risorse ad hoc, pari a 15.874.542 euro per il 2023, da recuperare “con una corrispettiva riduzione del Fondo per le esigenze indifferibili”.
Mantiene il centro della scena il Pos: il Mef ha chiesto di precisare che ai componenti del tavolo che dovrà valutare soluzioni per mitigare l’incidenza dei costi delle transazioni elettroniche fino a 30 euro a carico di esercenti e commercianti “non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti comunque denominati”. Le riformulazioni sollecitate dal Mef toccano anche le Carte cultura destinate a sostituire 18App, il bonus destinato ai diciottenni introdotto dal governo Renzi. Nella nota si evidenziava che la norma non avrebbe potuto essere finanziata per il prossimo anno con le risorse già impegnate nel 2022 e che per coprirla era necessario che il ministero dell’Economia adotti dei decreti per “apportare le occorrenti variazioni di bilancio”.
Si è sostenuta la la necessità di un decreto apposito – che coinvolge Turismo, Interno e Mef – per attuare la norma che consente ai Comuni a forte vocazione turistica di alzare la tassa di soggiorno fino a 10 euro a notte. La Ragioneria ha poi ritenuto “di difficile attuazione” la norma sull’istituzione del “Fondo Nazionale per il contrasto agli svantaggi derivanti da insularità” – che ha una dotazione di 2 milioni annui per il triennio 2023-2025 suddiviso in Fondo per gli investimenti strategici e Fondo per la compensazione degli svantaggi – perché manca uno strumento attuativo.
Ha destato dubbi anche la norma sulle assunzioni nelle autorità di bacino, in quanto non sono previste le modalità in base alle quali è effettuato il riparto delle somme fra i diversi enti. E “perplessità” sono state espresse anche sulla norma che prevede, a decorrere dal 2023, l’incremento di 1.830.000 euro annui del Fondo risorse decentrate del ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, e un incremento di 250.000 euro, sempre dal 2023, del Fondo per la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato del personale di livello dirigenziale generale dello stesso ministero. In questo secondo caso, in particolare, si pone una questione di disparità di trattamento rispetto ad altri ministeri, oltre a sottolineare che non risultano chiare le motivazioni dell’incremento.
Si sono riscontrati problemi di copertura per l’emendamento che allarga la possibilità di utilizzare i voucher per prestazioni occasionali anche per lavori in discoteche, sale da ballo e night club. Mentre mancavano proprio per la proroga della convenzione con Radio radicale fino al 2025 come prevede l’emendamento passato in Commissione: le risorse ci sono solo per il 2023.
Restando in tema di stralci, l’Aula ha respinto la richiesta delle opposizioni di eliminare dal testo la norma firmata da Fratelli d’Italia che autorizza – con specifiche condizioni – l’abbattimento dei cinghiali (e in generale della fauna selvatica) nelle aree urbane. Una questione – ribattezzata “cinghiali-gate” – che ha infiammato il dibattito in Aula, insieme alla “ristrutturazione” del bonus cultura contro cui si sono schierati sia il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, sia l’ex ministro della Cultura, Dario Franceschini.
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