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Nessuno se la sente di puntare il dito contro la filiera agroalimentare allargata, quella che dal campo alla ristorazione vale 575 miliardi di euro, pari al 25 per cento del Pil, per i rincari alle stelle dei prezzi dei prodotti alimentari. Che qualcosa non torni, però, è sicuramente un dato di fatto. In poco tempo l’Italia ha superato il livello d’inflazione degli altri Paesi, schizzando dall’8,9 a quasi il 12 per cento. Con un’impennata, ovviamente, dei beni energetici, ma con un aumento fuori controllo anche dei prodotti alimentari che hanno segnato incrementi medi di più del 13 per cento, con punte ben oltre questo livello. Quasi tutti i prodotti di prima necessità, dal pane alla pasta, dalla frutta all’olio fino al burro hanno superato il +20 per cento.

L’olio di semi, che dipende direttamente dalle importazioni ucraine, è aumentato del 56 per cento e il burro lo tallona con + 42,9 per cento, ma si vendono a peso d’oro anche la farina (23,75 per cento) e la pasta (quasi il 24 per cento), per non parlare dell’insalata.

I DUE ANELLI DEBOLI

Qualche furbetto, dunque, c’è. Il Codacons sottolinea che la guerra e il gas (in crescita prima del conflitto) hanno esasperato una situazione che già era presente nella filiera, caratterizzata da troppi passaggi. E i percorsi lunghi aiutano le speculazioni.

Ma nella filiera – sostiene l’associazione dei consumatori – ci sono due anelli deboli. Il primo, e cioè l’agricoltore, e l’ultimo, il consumatore. E la conferma arriva dai numeri dell’Istat, che nel terzo trimestre ha registrato una crescita dell’economia italiana del 2,6 per cento in termini tendenziali, sottolineando come si tratti del proseguimento, per il settimo trimestre, della fase espansiva del Pil, che è il risultato di un calo dei settori dell’agricoltura e dell’industria e di un «aumento marcato» dei servizi.

L’agricoltura sta dunque andando in controtendenza rispetto all’andamento generale. Per quanto riguarda i consumatori, i dati sulle vendite hanno confermato una flessione degli acquisti. A fronte della crescita forte del Paese, si ritrovano dunque alcuni settori sempre più in difficoltà. In realtà a correre sono stati soprattutto i servizi, al traino di una stagione turistica che si è rivelata brillantissima e che ha superato i record messi a segno prima della pandemia, favorita anche da un’estate allungata.

Ma i benefici del boom turistico e del pienone nei ristoranti, bar e alberghi (e dei conti maggiorati) non si sono riflessi su altri comparti. I ritocchi della materia prima, che pure ci sono stati, a partire dal grano tenero per il pane che l’Italia è costretta ad acquistare sui mercati esteri, si sono gonfiati durante il percorso dal campo alla tavola. Ma non hanno premiato i produttori agricoli e, in parte, neppure le industrie alimentari. E hanno finito per bastonare, questo sì senza ombra di dubbio, i consumatori.

L’ORIGINE DI TUTTE LE SPECULAZIONI

Paolo De Castro, europarlamentare e neo eletto presidente di Filiera Italia, a cui aderiscono importanti brand dell’industria alimentare e della distribuzione, è convinto che in tutte le fasi siano stati applicati degli aumenti. «Il punto – sottolinea De Castro – è che non sono stati assolutamente sufficienti a coprire costi intollerabili».

Emblematico il caso degli allevamenti. Il latte, almeno quello spot (cioè fuori dai quantitativi contrattualizzati) ha superato quota 70 centesimi, eppure mai come in questo momento le stalle stanno chiudendo . Gli allevatori non riescono infatti a coprire comunque i costi delle materie prime e, soprattutto, quelli relativi all’energia.

A causa del caro bollette – sottolinea Coldiretti in una sua analisi – una stalla su dieci è in situazioni tanto critiche da rischiare concretamente la chiusura. A strozzare gli allevatori l’esplosione delle spese del +60 per cento, legate a rincari energetici, ma non solo. I mangimi hanno sfondato la crescita del 95 per cento, il gasolio è andato oltre la soglia del +110 per cento, mentre le bollette dell’elettricità, che nelle stalle serve per alimentare i sistemi della mungitura e della conservazione del latte, sono balzate di oltre il 500 per cento. Le più penalizzate, secondo Coldiretti, sono le stalle di montagna, che si avviano a chiudere e si preparano ad abbattere i capi con una riduzione del latte che, secondo le stime, potrebbe attestarsi al 15 per cento. Mettendo in difficoltà la filiera dei formaggi che è una delle leve dell’export agroalimentare.

L’energia, dunque, sta mettendo in discussione la tenuta del sistema agroalimentare. Secondo De Castro è proprio sull’energia che è in atto una speculazione alla grande: «Sono convinto – afferma – che se il prezzo del gas tornerà intorno a quota 100 euro (i segnali vanno in questa direzione) l’inflazione potrà scendere rapidamente. Ritengo inoltre che non abbia senso oggi pagare il gas a prezzi così elevati, mentre lo vendiamo». Il Codacons, da parte sua, insiste evidenziando come nella tortuosa strada della filiera, con più di sette passaggi sia scontato che si annidino aumenti fuori controllo. Ora, poi, con la situazione che ha creato la guerra tutto si è aggravato. Anche il Codacons ritiene che vendere il gas all’estero comporti dei danni alla nostra economia.

Il gas, dunque, è la madre di tutte le speculazioni. Ma i furbetti, evidenzia l’associazione, comunque ci sono. Il Codacons ha da tempo segnalato all’Antitrust una “pratica” che rappresenta una forma di inflazione occulta, e cioè quella di ridurre i quantitativi delle confezioni. Per esempio, una confezione che conteneva dieci merendine oggi la si restringe a otto, oppure si riduce la misura del prodotto. Si alleggeriscono i pacchi, a svantaggio del cliente.

L’INTERVENTO DEL GOVERNO

Per ora l’Authority sta valutando. Ma perché non attivare Mr. Prezzi? In realtà va detto che il sistema non ha funzionato troppo neppure nel periodo del passaggio dalla lira all’euro. In effetti oggi si sta delineando uno scenario analogo, con prezzi che esplodono a volte ben oltre “ritocchi” plausibili. Il Codacons sostiene che poco si può fare in un mercato libero come il nostro: si potrebbe intervenire solo a fronte di azioni, come quella di ridurre le quantità traendo in inganno i consumatori, o su altre azioni borderline ma Mr. Prezzi ha comunque le mani legate, poiché non ha alcun potere di imporre sanzioni. Il suo ruolo è esclusivamente di monitoraggio. A questo punto invece servirebbero controllo mirati – conclude il Codacons – per verificare davvero chi specula.

Assoutenti “assolve” la distribuzione e nega che ci siano punti critici lungo la filiera. Gli unici interventi da mettere in campo sarebbero dunque quelli per il gas, perché il raffreddamento dell’ultimo mese non basterà a mettere in sicurezza le aziende e le famiglie. Assoutenti ricorda che «il prezzo del gas per circa il 77 per cento degli acquisti al mercato all’ingrosso è determinato da contratti a lungo termine oltre i 5 anni e, quindi, sottratti alla logica del mercato spot, tanto caro ai teorici che giustificano la speculazione come un male inevitabile».

Da qui l’appello al nuovo governo a intervenire. Ma come? Oggi il governo Meloni dovrebbe svelare la “manovra bollette”, tanto evocata in questi mesi. Ma dovrebbe essere un intervento mirato che eviti di elargire aiuti a chi, in realtà, di profitti ne sta facendo tanti, privilegiando invece imprese e utenti svantaggiati. Soprattutto per non disperdere quel tesoretto lasciato in eredità dall’Esecutivo Draghi che non è costituito solo da risorse finanziarie, ma anche da una spinta all’Azienda Italia che però arriva solo ad alcuni settori. Questa, dunque, può essere l’occasione per varare sostegni selettivi ed evitare che si allarghi il gap produttivo e sociale.


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