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La febbre è alta. Non si ferma infatti la corsa dell’inflazione che a ottobre ha sfiorato una crescita del 12% (+11,9%) su base annua – al top da marzo del 1984 -, a fronte dell’8,8% di settembre (+3,5% rispetto al mese precedente). E lo scenario, delineato dall’Istat nella stima dei prezzi al consumo, è lo stesso ormai da mesi.
A soffiare sul caro prezzi sono i beni energetici schizzati a +73,2% (da 44,5% del mese precedente), sia regolamentati che non, e quelli alimentari che hanno raggiunto +13,1% (13,4% i lavorati e 12,9% i non lavorati) con i vegetali freschi e refrigerati che si avvicinano al +17% con un 8,2% su base mensile. Il carrello della spesa, che comprende beni alimentari e per la cura della casa e della persona, è balzato a +12,7%, un livello che non si raggiungeva dal 1983. A soffrire sono dunque le famiglie strette tra bollette e cibo carissimi che stanno già spingendo a ridurre la spesa. Scelte che peseranno direttamente sul sistema produttivo.
Nel suo commento l’Istat parla di “straordinaria accelerazione dell’inflazioni di ottobre”. E se nel mirino sono soprattutto gli energetici, anche per il cibo si registra comunque una brusca accelerata “in un quadro di tensioni inflazionistiche che attraversano quasi tutti i comparti merceologici”. E le prospettive non si presentano migliori. Sempre ieri l’Istat ha pubblicato l’indice dei prezzi alla produzione dell’industria di settembre che sono cresciuti del 41,8% per effetto dei rialzi dei listini delle forniture di energia elettrica e gas.
Sul mercato interno, in particolare, la crescita su base annua dei prezzi raggiunge picchi nei settori delle attività estrattive e della fornitura di energia elettrica e gas (rispettivamente +216,4% e +167,6%), ma aumenti rilevanti si segnalano anche per coke e prodotti petroliferi (+26,1%), prodotti chimici (+24,5%), articoli in gomma e materie plastiche (+19,5%), legno, carta e stampa (+18,3) e alimentari (+17%).
È prevedibile dunque che i rialzi rimbalzeranno sui prezzi al consumo in una spirale perversa che rischia di ingessare il Paese. Con ripercussioni sui bilanci delle famiglie. Ma anche delle imprese. Per l’agroalimentare il caro prezzi non aiuta infatti le aziende. Mentre i prezzi impazziscono, nei campi i produttori soffrono sempre di più. È l’allarme lanciato dalla Coldiretti che ha denunciato: se la frutta sullo scaffale è a peso d’oro, è crisi profonda nelle aziende con l’agricoltore che per acquistare un caffè deve vendere ben 4 chilogrammi di mele. Con l’inflazione record – ha spiegato l’organizzazione agricola – cresce la forbice dei prezzi tra produzione e consumo con aumenti da 3 a 5 volte dal campo alla tavola. Gli italiani sono costretti a tagliare gli acquisti mentre le aziende agricole – ha precisato Coldiretti – non riescono neanche a coprire i costi. Quest’anno gli acquisti (in quantità) di frutta e verdura sono infatti crollati del 9%. Si tratta di un prodotto simbolo dell’alimentazione degli italiani, ma anche per pasta e pane i cartellini sono “rossi”.
Uno shock per il “nostro sistema” ha detto la Confcommercio che ha calcolato come in un solo mese si sia registrata una variazione dei prezzi (+3,5%) analoga a quella rilevata complessivamente tra il 2017 ed il 2021. In questo contesto, ha aggiunto, le famiglie hanno sempre maggiori difficoltà a mantenere l’attuale mix di consumi, essendo costrette a spostare una quota sempre più rilevante del proprio reddito verso le spese di base. Una situazione che renderebbe “sempre più concreti i timori di una recessione prolungata”. Confesercenti ha commentato che l’accelerazione è superiore rispetto a quanto si poteva prevedere e riporta l’Italia indietro di 40 anni. Secondo l’associazione la situazione è “critica soprattutto per le famiglie economicamente più deboli, che scontano un’inflazione più alta di circa due punti rispetto alla media”.
E in questo quadro Confesercenti ha espresso preoccupazione per la decisione della Bce di ritoccare i tassi di interesse, un aumento che” si tradurrà inevitabilmente in nuovi oneri per molte imprese, che potrebbero trovarsi a pagare sui prestiti esistenti, secondo i nostri calcoli, fino a 9 miliardi di euro in più nei prossimi dodici mesi”. Il Codacons ha prospettato il rischio di “tragedia economica” se non si interverrà subito tagliando l’Iva sugli alimentari. L’inflazione monstre si tradurrà, secondo l’associazione dei consumatori, in una stangata record che comporterà per una famiglia tipo un aggravio di 3.655 euro all’anno. Solo per gli alimentari Codacons ha calcolato una spesa aggiuntiva di 752 euro.
E già vede nero per Natale “perché gli italiani, di fronte ad una inflazione record, saranno costretti a tirare la cinghia sugli acquisti legati alle prossime festività. Un danno enorme per il commercio e l’economia nazionale”. Dato terrificante, ha evidenziato Assoutenti, quello relativo al trend dei prodotti alimentari perché “con i prezzi a questi livelli, l’emergenza bollette e il rialzo dei mutui, un numero crescente di famiglie non riuscirà più a mettere il cibo”. Il problema è che questo è ormai un male globale che accomuna tutti i Paesi, non solo dell’Unione europea, ma del mondo. E in questo caso il mal comune non è affatto un mezzo gaudio. Sempre ieri la Bce, basandosi sui risultati di un sondaggio, ha rivisto al rialzo le previsioni fino al 2024 con un’inflazione superiore di 5 volte rispetto all’obiettivo fissato. Secondo l’indicatore della Bce quest’anno l’aumento dei prezzi si attesterà all’8,3%, nel 2023 sarà del 5,8%, più alto rispetto alle previsioni che si fermavano al 5,5%, mentre nel 2024 si potrebbe arrivare a + 2,4% dal 2,3%.
Secondo l’analisi della Bce il dato sarebbe il risultato dell’aumento dei prezzi dell’energia (escluso il petrolio), degli alimentari, dell’effetto contagio sugli altri prezzi e di una crescita salariale. Bisognerebbe attendere comunque il 2027 per tornare in linea con le previsioni. L’inflazione si accompagnerà poi a un rallentamento della crescita economica. Insomma rischio di prezzi che continuano a salire, mentre la crescita economica punta inesorabilmente verso il basso. Ingredienti di scuola per una recessione. Non va meglio nel resto del mondo. Il Giappone, per esempio, ha annunciato investimenti per 260 miliardi di dollari per sostenere l’economia in chiave anti inflazionistica.
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