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Il presidente del Consiglio Mario Draghi col ministro per l'Economia Daniele Franco

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DOVREBBE valere circa 14 miliardi il decreto Aiuti ter atteso questa mattina in Consiglio dei ministri. Ieri Palazzo Chigi e il Mef hanno lavorato alla limatura degli interventi per contenere l’impatto del caro energia sulle famiglie e sulle imprese, mentre lo stand by in cui l’Europa – incapace di trovare un accordo – ha messo il price cap ha “rianimato” la corsa del gas che durante la seduta al Ttf di Amsterdam ha toccato quota 244 euro a megawattora, per poi ripiegare a 214 euro (con un calo dell’1,65%) in chiusura.

Draghi prova a stringere anche sulla concorrenza, tra le riforme più importanti del Pnrr: sul tavolo del pre Consiglio riunitosi nel pomeriggio sono arrivati anche due decreti attuativi del ddl concorrenza, uno sui servizi pubblici locali e l’altro sulla mappatura e trasparenza dei regimi concessori dei beni pubblici, balneari e ambulanti compresi, che punta a dare “massima pubblicità e trasparenza dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori”. Uno dei capitoli quest’ultimo più problematici nella “relazione” tra l’esecutivo dell’ex presidente della Bce e alcuni partiti della sua maggioranza, con la Lega in testa che teme di scontare nelle urne quello che una buona parte degli operatori considererebbe un “tradimento” da parte del partito “paladino” della loro causa.

E infatti, secondo quanto trapelato, il ministro per il Turismo, Massimo Garavaglia, avrebbe chiesto lo stralcio del provvedimento sulla mappatura: già alla lettura dell’odg della riunione si era detto pronto a lasciare se il governo dovesse portare il provvedimento in Cdm. Vedremo cosa avrà deciso Draghi.

Dopo l’ok al decreto Aiuti Bis da 17 miliardi (322 voti a favore, 13 contrari e 45 astenuti) – che dovrà ripassare il 20 settembre dal Senato dopo l’inserimento dell’emendamento del governo che ripristina il tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici – la Camera ha dato il via libera all’unanimità anche alla relazione del Mef sull’aggiustamento di bilancio, autorizzando quindi l’uso dei 6,2 miliardi di maggiori entrate registrare tra luglio e agosto per finanziare il nuovo pacchetto di sostegni di fronte alle bollette impazzite (martedì era arrivato il sì di Palazzo Madama).

La dote complessiva del provvedimento dovrebbe arrivare a 14 miliardi. Una parte sostanziosa è destinata alle imprese che, tra le altre cose, potranno contare sulla proroga dei crediti d’imposta, in scadenza a fine settembre e che invece verrà “allungata” fino al 31 dicembre. Ed estesa anche a bar, ristoranti e piccole imprese, ovvero tutte quelle attività che hanno un contatore che supera l’asticella dei 4,5 kw. Si allarga anche la platea delle famiglie destinatarie del bonus sociale per fronteggiare i rincari delle bollette, dal momento che il tetto Isee per l’accesso alla misura dovrebbe passare dai 12mila ai 15mila euro. Dovrebbe esserci poi un “aggiustamento” dell’intervento sulla tassa per gli extraprofitti per far sì che diventi più incisiva viste le difficoltà di “passare all’incasso” emerse finora. Mentre non dovrebbe esserci alcun intervento per disallineare il prezzo dell’elettricità da quello del gas, una delle variabili responsabili di bollette alle stelle: “Draghi attende la riforma annunciata dall’Ue” e che dovrebbe arrivare entro fine anno.

Nessuno scostamento di bilancio in vista. Il premier e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, restano saldi sulla linea del “no”, sordi al pressing che continua ad arrivare dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega che su questo fronte deve fare i conti anche con la posizione filo-Draghi del principale azionista della sua coalizione elettorale, Fratelli d’Italia. Anche ieri Matteo Salvini ha chiesto al governo di “mettere subito 30 miliardi per aiutare le famiglie e i lavoratori italiani. Fra tre mesi – ha sostenuto – è troppo tardi: i soldi serviranno per pagare un milione di disoccupati o cassintegrati”.

La risposta di Giorgia Meloni è stata più che netta: “Tutte le risorse si possono e devono trovare, ma bisogna fare attenzione e lo dico anche rispetto alla polemica sullo scostamento di bilancio: 30 miliardi è un pozzo senza fondo, se non mettiamo un tetto al prezzo del gas, cioè non basteranno 30 miliardi non ne basteranno 50 né 100”.

Intanto le imprese continuano ad aggiornare il bollettino dei danni. Federmeccanica lancia l’allarme tsunami per l’industria metalmeccanica: a giugno la produzione cala del 3,2% rispetto a maggio e salgono dal 4 a 7% le aziende che, strozzate dai rincari dell’energia e del costo delle materie prime, rischiano lo stop. Confcommercio vede all’orizzonte “una recessione mite”, mentre Fitch alza il livello d’allarme e annuncia la tempesta. Secondo i dati del rapporto sulla congiuntura autunnale di Confcommercio il Paese va “verso un peggioramento del quadro economico: Se le cose continuano così, potremmo chiudere il 2022 intorno al 3% con una recessione mite”. “Non è troppo grave – ha affermato Mariano Bella, capo dell’ufficio studi – ma allo stesso tempo è una recessione dolorosa, perché concentrata nella seconda parte dell’anno. Inoltre, ci farebbe entrare nel 2023 con un’eredità nulla o negativa e con un concreto rischio di Pil negativo il prossimo anno”. Stando alle stime della Confederazione, il Pil è calato dello 0,2% ad agosto e dell’1,4% a settembre, mentre “il futuro prossimo è preoccupante, con l’industria oggi in area di criticità”.

Quanto alla corsa dei prezzi, secondo Confcommercio il 2022 si potrebbe chiudere con un’inflazione media al 7,5%, con un picco questo mese a +9,2%: una stangata sui consumi e le imprese. Tutt’altro che mite, invece, la stima dell’agenzia Fitch, secondo cui in Italia – a causa di un mix energetico dipendente dal 50% dal gas contro una media Ue del 20% – “lo slancio nell’economia sta rallentando”. “Abbiamo abbassato le nostre aspettative di crescita per il 2022 (3%, ndr) e adesso prevediamo che l’economia si contrarrà nel 2023 a causa dello shock energia (-0,7%)”. Peggio dell’Eurozona (-0,1%, con gli Usa appena un po’ meglio a +0,5%) e quasi alla pari con la Germania che, riducendo con celerità la domanda di gas anche attraverso il ricorso al carbone, dovrebbe fermarsi a un -0,5%.


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