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RESILIENTI e reattive: i numeri dell’ultimo rapporto Ice sul commercio internazionale descrivono così la performance delle imprese esportatrici italiane che hanno attraversato prima la tempesta pandemica e ora affrontano le turbolenze economiche – in primis l’aumento del prezzo delle materie prime e dell’energia – e l’incertezza provocate dall’invasione russa all’Ucraina, “due cigni neri in 4 anni”. Alla prova del Covid le imprese hanno reagito “prontamente”, sia durante sia dopo l’emergenza, superando le aspettative e facendo segnare al Paese tassi di crescita dell’export maggiori delle altre economie comparabili, ovvero i principali Paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.
Se, infatti, alla fine del 2021 l’export tricolore aveva superato del 7,5% i livelli pre-pandemia, nei primi sei mesi del 2022 ha registrato un’ulteriore crescita tendenziale del 22,4%. Certo, avverte l’Ice, i dati vanno letti alla luce dell’inflazione che, dopo 36 anni, è tornata a condizionare l’evoluzione dell’economia globale. Così che guardano ai risultati dei primi sei mesi del 2022, la “componente prezzo” contribuisce a quel 22,4% per 20 punti percentuali ma, si sottolinea, facendo un’analisi fra volumi e prezzi ne emerge che anche in volume l’export italiano continua a crescere.
Mentre i prezzi delle materie energetiche contribuiscono al forte rialzo del valore delle importazioni e si riflettono sul deterioramento dell’avanzo commerciale. “Il 2021 è stato l’anno record per l’export italiano di beni, con 516 miliardi di euro, un +18% tendenziale e 44 miliardi di saldo attivo nella bilancia commerciale”: il presidente dell’Ice, Carlo Ferro, rimarca i risultati “confortanti” messi nero su bianco nel Rapporto 2022 presentato a Napoli, presso il Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore, alla presenza tra gli altri del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. E aggiunge: “L’Italia è tra le prime 10 economie mondiali ad aver performato così bene, solo tre Paesi asiatici – India, Cina, e Corea del Sud – hanno fatto meglio rispetto a livelli pre Covid”.
Il Paese si colloca all’ottavo posto tra quelli esportatori di beni, all’undicesimo tra gli importatori. “Testimonianza – dice Ferro – di un’economia in trasformazione con un crescete grado di apertura agli scambi dove l’export beni e servizi rappresenta il 32% del Pil”.
Pur di fronte a questi dati “confortanti”, Ferro non trascura di mettere in evidenza i “due temi strutturali” che pesano sull’export italiano, e cioè “il limitato peso del Mezzogiorno e la fragilità di un tessuto di piccole e medie imprese”. Nel Nord e nel Centro nel 2021 la crescita è stata più rapida, ma il Sud e le Isole sono comunque cresciuti del 2% rispetto al 2019. Se si considera il peso sull’export nazionale, il Nord e il Centro si attestano rispettivamente al 72 e 18%, mentre “il treno dello sviluppo dell’export del Mezzogiorno è fermo al 10% da oltre dieci anni”. La partecipazione delle imprese meridionali alle iniziative dell’Ice, nota Ferro, mostra segnali incoraggianti.
Intanto il rapporto della Fondazione Masi del 2020 indica in 18 miliardi il potenziale di export per il Mezzogiorno. Il focus sulla Campania nel rapporto Ice dello scorso anno stima in 8,6 miliardi il potenziale aggiuntivo di export, mentre quello di quest’anno dedicato alla Puglia valuta in 8,6 miliardi i flussi verso l’estero della regione e un potenziale di 4,8 miliardi.
Tornando a guardare oltre il confine, Germania, Francia, Stati Uniti, Svizzera, Spagna, Regno Unito – che segna +3,9%, indice di una buona tenuta rispetto alla Brexit – Belgio, Polonia e Cina assorbono il 60% dell’export italiano, in particolare il 52% è verso i Paesi Ue, il 48% verso quelli extra europei. Il 75% dell’export nazionale è composto da macchinari, metallurgia, moda, autoveicoli, agroalimentare, chimica, farmaceutica, con i primi cinque che esportano beni per un valore superiore a 50 miliardi ciascuno, confermando il successo del “marchio” Made in Italy. Nella prima parte del 2022 sono i flussi verso la Turchia ad aver registrato la crescita maggiore, +35,8% rispetto allo stesso periodo del 2021, mentre verso la Russia la flessione è stata del 17,6%.
La quota di mercato dell’Italia sulle esportazioni mondiali di beni nel 2021 (2,71%) è leggermente inferiore rispetto all’anno precedente (2,82%). La riduzione dell’avanzo commerciale (44,2 miliardi di euro) rispetto al 2020 riflette la crescita del disavanzo del comparto energia. Al netto di questa componente, infatti, il surplus sfiora i 90 miliardi, in aumento rispetto agli 86 dell’anno precedente.
In particolare, considerando l’interscambio con la Russia, gli effetti del conflitto, sostiene il presidente dell’Ice, pesano più sul lato delle importazioni e sul prezzo dell’energia – data la forte dipendenza dell’Italia, e non solo, dalle materie prime energetiche di Mosca – perché “consideriamo che, dato il valore dell’export verso la Russia, se proseguissimo con questa flessione che dallo scoppio del conflitto è di circa un terzo dell’export verso il Paese, alla fine perderemmo meno di un punto percentuale di export complessivo del Paese. Forse – rileva – c’è una percezione di peso del rapporto commerciale con la Federazione Russa che non è totalmente corretta, perché l’Italia rappresenta il 10% dell’interscambio fra Ue e Federazione Russa e l’Italia rappresenta il 12% di generazione del Pil. Quindi il problema non è tanto il quanto, ma il cosa importiamo e le conseguenze che questo ha sul sistema produttivo”.
A giugno, segnala il direttore delle statistiche economiche dell’Istat, Fabio Rapiti, si registra un calo congiunturale sia verso i paesi Ue che verso i mercati extra Ue. “Ma in complesso – afferma – nel secondo trimestre 2022 la dinamica congiunturale e su base annua si conferma tuttavia positiva, sebbene in decelerazione”.
Alla luce del conflitto tra Russia e Ucraina, Ice e Prometeia hanno rivisto il rapporto sull’Evoluzione del commercio con l’estero per aree e settori, stimando una crescita del commercio mondiale di beni e servizi in volume pari al 4,1% nel 2022 e al 3,2% nel 2023. “Sebbene siano ben inferiori rispetto a quelle ipotizzate prima dell’aggressione russa contro l’Ucraina – afferma Di Maio – restano nel breve-medio periodo prospettive di crescita che le aziende italiane hanno il potenziale per cogliere. Per questo, in una fase congiunturale così critica e al contempo di grandi trasformazioni, è essenziale non abbandonare le riforme e non deviare dagli obiettivi del Pnrr”.
Tra la sfide per il Paese c’è il ricatto russo sul gas, con i prezzi della materia prima alle stelle. “Se Putin ha portato il prezzo del gas a oltre 270 euro Mwh – sostiene il ministro – è il momento di tornare indietro con un tetto massimo che dica come oltre 80 euro non si può andare”.
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