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Mezza Europa è nella morsa del caldo torrido e degli incendi con conseguente perdita dei raccolti. In un momento difficile in cui già mancano all’appello i cereali di Ucraina e Russia. Tema sempre rovente e che è stato affrontato anche ieri a Teheran dal presidente russo Vladimir Putin e dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Intanto però in Europa oltre a gas e cereali l’emergenza sono i fenomeni meteo fuori controllo. Dopo un giugno caratterizzato da valori estremi anche luglio si muove sulla stessa lunghezza d’onda. E ogni giorno si aggiorna la lista dei danni nei campi. 

Una situazione – ha sottolineato Coldiretti – che sta avendo pesanti conseguenze sulle rese delle coltivazioni sottoposte a stress termico e idrico, con Francia, Romania, Spagna, Portogallo e Italia in testa alla classifica dei paesi in cui è previsto un forte calo delle produzioni. Ma l’allarme riguarda anche la Germania, la Polonia, l’Ungheria, la Slovenia e la Croazia che si trovano, secondo l’osservatorio Ue, in una situazione preoccupante. La Commissione europea ha previsto in Europa una produzione di cereali tagliata del 2,5% rispetto al 2021 e che si attesterà a 286 milioni di tonnellate.  L’agricoltura italiana è allo stremo e i conti diventano ogni giorno più pesanti. È ormai perso – ha stimato Coldiretti – un terzo delle produzioni nazionali, dalla frutta al mais, dal frumento al riso, dal latte alle cozze e alle vongole. In particolare i raccolti di mais sono calati del 45%, il latte del 20%. Meno 30% anche per il frumento così come per il riso. Siamo di fronte, secondo l’organizzazione agricola, a un impatto devastante sulle produzioni nazionali con danni che superano i 3 miliardi.  Ma nessuno batte un colpo né da Bruxelles, né da Roma. L’altro ieri il Consiglio dei ministri agricoli dell’Unione europea non ha preso alcuna misura sulla siccità, mentre in Italia il commissario, la cabina di regia e l’allargamento delle regioni dichiarate in stato di emergenza, sono rimasti nel limbo, schiacciati dalla crisi di Governo.

Intanto le coltivazioni sono sempre più assetate e gli incendi proseguono la loro incessante conquista del territorio alla media di tre roghi al giorno.

Tutto questo impatta sulla vita quotidiana dei cittadini che si confrontano con prezzi sempre più elevati dei prodotti alimentari sugli scaffali. Ieri l’Ufficio studi della Confcommercio ha espresso l’ennesimo verdetto sulla situazione economica e in particolare sulle tensioni inflazionistiche che “non accennano ad attenuarsi”. A luglio, secondo le previsioni della Confcommercio, si dovrebbe registrare un ulteriore aumento dei prezzi al consumo dello 0,7% rispetto a giugno che porterebbe il tasso di inflazione a +8,2% su base annua. “Per gli alimentari – ha spiegato lo studio – si sono consolidati i segnali di ridimensionamento della domanda; non si tratta più solo di una sostituzione a favore dei consumi fuori casa: è presente anche un effetto prezzo decisamente negativo”.

E la ricaduta sulle imprese agricole è pesante.  Molte non ce la fanno a sostenere il caro costi (da +170% dei concimi a +90% dei mangimi fino al + 129% del gasolio). Per l’11% delle imprese, secondo il Crea, il default è dietro l’angolo, ma il 30% opera comunque in una condizione di reddito negativo. Con il rischio di spalancare le porte alla malavita che da anni ormai ha puntato l’agroalimentare per i suoi investimenti. E cosa c’è di più favorevole di imprese in crisi di liquidità e pronte dunque a cadere nella rete degli usurai? Ieri la Corte dei Conti nella   relazione su “La prevenzione dell’usura” ha rilevato che i dati disponibili sul fenomeno ne forniscono una rappresentazione sottostimata per l’esiguità dei casi denunciati da famiglie e imprese.

Uno studio della Cgia di Mestre ha lanciato l’allarme: rischiano il crollo 146mila piccole e medie imprese e per molte si avvicina lo spettro dell’usura. Secondo l’Associazione si tratta prevalentemente di piccole imprese “scivolate” nell’area dell’insolvenza. E le più penalizzate sono le realtà produttive del Sud dove, secondo la Cgia, è a rischio un’impresa su tre. È in quest’area che si contano 50.751 aziende in sofferenza (34,8% del totale), seguono il Centro con 36.026 imprese (24,7%), il Nordovest con 35.457 (24,3%) e il Nordest con 23.798 (16,3%).

L’agricoltura ormai da anni combatte su questo fronte.

Dai campi ai supermercati – ha denunciato la Coldiretti – l’agroalimentare è diventato un settore prioritario di investimento della malavita con un business criminale che ha superato i 24,5 miliardi.  La malavita comprende la strategicità del settore in tempo di crisi economica perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana delle persone. Il quadro è estremamente preoccupante. La malavita organizzata guidata da manager in doppiopetto, ben lontani dalla antica rappresentazione, si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta.

In questo modo non solo strangolano le aziende, ma, secondo Coldiretti, compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy. Gli strumenti sono quelli antichi, estorsione, intimidazione, imposizione di ditte di trasporto, vendita di determinati prodotti. E soprattutto prezzi da fame. Approfittando della crisi di liquidità   si arriva all’usura che spesso è la strada maestra per appropriarsi poi delle terre e delle aziende. Un fenomeno che – ha ribadito Coldiretti – minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti del caro prezzi provocato dalla guerra che potrebbe spingere le imprese in difficoltà a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari. L’obiettivo delle agromafie che non gestiscono più solo la manodopera attraverso i caporali è anche quello di infilarsi nel piatto ricco dei fondi comunitari.

Recentemente la Corte dei Conti europea ha richiamato la Commissione Ue a maggiori controlli proprio al fine di evitare frodi nella spesa della Politica agricola comune. Una forma di frode evidenziata dai magistrati contabili europei è quella di acquisire legalmente i terreni, ma al solo scopo di incassare i pagamenti diretti, senza svolgere alcuna attività agricola. La guardia dunque, proprio in queste fasi e nel pieno caos politico, va mantenuta alta. Perché anche in questo modo si possono perdere terreni e potenzialità produttive preziosi che poi non si recuperano più, come gli 800mila ettari abbandonati dagli agricoltori nel corso degli ultimi anni.


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