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Il porto di Shanghai

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STIAMO vivendo un effetto che gli specialisti della logistica chiamano “effetto ketchup”; in realtà basti pensare che durante i due mesi di blocco un container su cinque era fermo su navi in stand by ma di queste navi circa il 24% aspettava fuori dai porti cinesi. La ripresa del traffico in senso inverso ora penalizzerà i terminal container europei e statunitensi che hanno una limitata capacità di stoccaggio.

Molti diranno che trattasi di una fase temporanea che ci porterà, in un arco temporale breve, alla normalità; invece c’è chi sostiene che l’effetto ketchup ridurrà relativamente il problema delle congestioni nei terminali ma aumenterà ulteriormente i costi dei noli creando squilibri sia nel riposizionamento dei container che nella gestione delle partenze.

Un dato allarmante è che il mondo dei trasporti internazionali rappresenta, secondo l’international Monetary Fund research, già adesso l’1,5% della inflazione registrata nel 2022. In realtà il costo dei noli crescerà e i container continueranno a scarseggiare. Quindi sembra strano ma diventa utopico un ritorno alla normalità e non credo di facile soluzione questo diffuso stato di crisi dell’intero comparto. Noi come Paese non solo stiamo vivendo queste negatività ma ancora non ci siamo resi conto di quanto tali difficoltà incrineranno la crescita.

Gli effetti della operatività riacquisita dagli scali asiatici, in particolare quello di Shanghai, si sentiranno fra tre o quattro settimane nei porti della Unione Europea e in quelli americani. Torneranno, secondo Botta, direttore generale di Spediporto (associazione degli spedizionieri marittimi genovesi), quelle emergenze determinate dall’arrivo di grandi navi.

Assisteremo ad un congestionamento dei terminali e già molte compagnie si sono organizzate ed hanno già posizionato un adeguato numero di container vuoti dove si ipotizza serviranno. Sto cercando di dimostrare, come già fatto poche settimane fa, che un evento accaduto a 12.000 chilometri di distanza dal Mediterraneo ha praticamente rivoluzionato non temporaneamente ma in modo quasi irreversibile l’intero impianto funzionale della logistica marittima tra l’Asia, l’Europa e l’America.

Allora dobbiamo cominciare a dare per scontato una soglia dei costi diversa, dobbiamo cominciare a dare una soglia dei tempi di disponibilità di un prodotto completamente diversa, dobbiamo cominciare a rivedere la logica delle commesse di determinati prodotti e, forse, la scoperta di nuovi mercati, dobbiamo infine rivedere le clausole assicurative, ecc. Questo nuovo assetto logistico doveva necessariamente, prima o poi, modificarsi e non è stata, a mio avviso, la pandemia, non è stata la guerra in Ucraina ma la supply chain a velocizzare questo processo. Il blocco di Shanghai o quello di Los Angeles hanno solo reso misurabili queste criticità ed ora necessariamente daranno vita a veri action plan che le varie compagnie marittime da un lato e i vari impianti portuali dei vari Paesi dall’altro saranno costretti a prendere.

Ma non sarà sufficiente una reinvenzione della offerta logistica, non sarà sufficiente una rivisitazione sostanziale dei nostri impianti portuali e dei nostri HUB interportuali, non sarà sufficiente, ripeto, questo cambiamento dei nostri approcci pianificatori se contestualmente non prende corpo un cambiamento sostanziale sia delle logiche di produzione che dei siti in cui trovano consistenza operativa tali attività. A tale proposito ritengo opportuno prendere come riferimento la impresa Ferrero perché la ritengo, per le cose che dirò dopo, antesignana di questa rivoluzione concettuale sia della qualità della produzione che dei siti in cui dare vita a tali attività. Ed è davvero interessante il lavoro fatto dall’OCSE.

L’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha realizzato una mappa che mostra i Paesi coinvolti in tutto il mondo nella produzione della Nutella, la popolare crema spalmabile prodotta da Ferrero. L’Organizzazione ha deciso di studiare la Nutella come esempio di prodotto alimentare nell’economia della globalizzazione: non solo perché è diffusa ovunque (ogni anno ne vengono vendute circa 250 mila tonnellate in 75 paesi diversi) ma, soprattutto, per la quantità di Paesi coinvolti nella sua realizzazione.

Leggendo attentamente il lavoro si scopre che la globalizzazione ha senza dubbio un merito ed un ruolo ma il riferimento portante e vincente è la localizzazione diffusa nel Pianeta proprio per rispondere alle esigenze di una sana supply chain e di un mercato sempre più legato ai vincoli di una logistica sempre più avanzata.

La sede di Ferrero si trova in Italia, cinque fabbriche sono in Europa, una in Nord America, due in Sud America e una in Australia. Alcune materie prime sono fornite localmente, come i barattoli o il latte, ma la maggior parte proviene da zone molto lontane tra loro: le nocciole dalla Turchia, l’olio di palma dalla Malesia, il cacao dalla Nigeria, lo zucchero dal Brasile e dall’Europa, e la vanillina da una fabbrica francese in Cina. La mappa mostra anche alcuni uffici di vendita – in Giappone, Messico e Sudafrica – ma l’OCSE specifica che ce ne sono molti di più di quelli rappresentati. Dobbiamo riandare agli anni quaranta per scoprire le radici di questo successo. Anni in cui i capostipiti della famiglia riuscirono a trasformare una pasticceria in una fabbrica. La famiglia Ferrero fu la prima in Italia durante gli anni del dopoguerra ad aprire stabilimenti e sedi operative all’estero nel settore dolciario, facendo dell’azienda un Gruppo veramente internazionale.

Dopo il successo dell’azienda in Italia, la famiglia Ferrero decise di iniziare a produrre e commercializzare i prodotti Ferrero anche all’estero. Nel 1956 fu inaugurato un grande stabilimento di produzione in Germania e un secondo poco dopo in Francia. Fu il preludio di una rapida espansione di Ferrero in Europa, con l’apertura di uffici commerciali e unità produttive in Belgio, Paesi Bassi, Austria, Svizzera, Svezia, Regno Unito, Irlanda e Spagna. Nei decenni successivi Ferrero diventa globale, espandendosi con nuove aziende e siti produttivi anche in Nord e Sud America, Sud-Est Asiatico, Europa orientale, Africa, Australia e, più recentemente, in Turchia, Messico e Cina.

L’esperienza Ferrero è oggetto di esame a livello mondiale da parte di esperti del comparto della produzione e della distribuzione, approfittiamone e cerchiamo di coniugare le esigenze della nuova organizzazione della domanda con una offerta infrastrutturale e produttiva coerente a questo nuovo codice comportamentale, coerente a ciò che ormai è un mercato che ancora non conosciamo.


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