La contestazione al ministro Roccella
4 minuti per la letturaDA NORD a Sud, da settimane una spirale di violenza e intolleranza imperversa in Italia: rischiamo di trovarci di fronte a un altro ’68 ma nel 2024, ormai le proteste studentesche stanno prendendo il sopravvento, giorno dopo giorno e la tensione sale. Nel ’68 si assistette ad un sostanziale ridimensionamento dello stato nazione: i protagonisti di quella intensa stagione non avevano più i confini nazionali come punto di riferimento, ma la dimensione mondiale della protesta.
Ad unire i giovani contestatori e i militanti della nuova sinistra non erano, quindi, i vincoli della terra e della tradizione ma il mondo nella sua complessità e interezza. Dopo oltre mezzo secolo sembra che quella stagione si stia riaffacciando sul nostro Paese. E sinora si è avuta l’impressione che il fenomeno sia stato sottovalutato. Sicuramente fino a giovedì mattina: si è dovuto toccare il fondo per avere il sentore di un nuovo Sessantotto. Nell’Auditorium di via della Conciliazione a due passi dalla Basilica di San Pietro va in scena la quarta edizione degli Stati generali della Natalità. La ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, è sul palco. Alcuni giovani urlano dalla platea: “Vergogna, vergogna!”. La ministra non riesce a parlare. Loro insistono e attaccano il “governo patriarcale”. Alzano dei cartelli. Una di loro è poi stata invitata a salire sul palco: “Sui nostri corpi, decidiamo noi”, ripete leggendo un comunicato. Roccella cerca il confronto. “Ragazzi, ma noi siamo d’accordo: nessuno ha detto che qualcun altro decide sul corpo delle donne, proprio nessuno. È per questo che siamo qui, perché oggi le donne non decidono sul proprio corpo, non decidono fino in fondo liberamente se vogliono avere figli”. Il dialogo pare impossibile. I contestatori non mollano.
L’evento viene sospeso e diventa un caso politico. A prendere una dura posizione è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione”. Duro affondo anche della premier Giorgia Meloni. “Lo spettacolo andato in scena questa mattina è ignobile. Ancora una volta è stato impedito a un ministro di intervenire e di esprimere le proprie idee – sottolinea la presidente del Consiglio – Responsabile è un gruppo di contestatori che si riempiono la bocca delle parole libertà, rispetto e autodeterminazione delle donne, ma poi amano la censura e impediscono a una donna di parlare perché non ne condividono le idee”.
Tutto finito? Macché. Il giorno dopo la contestazione contro il ministro Roccella, circa 250 studenti di superiori e università sfilano dietro a uno striscione contro gli Stati generali della natalità. Il corteo parte da Piazzale degli Eroi e poi si dirige verso piazza Risorgimento, senza preavviso. La polizia interviene manganellando e respingendo i manifestanti. Nel corso degli scontri volano vasi di fiori verso le forze dell’ordine e scarpe rosse con il tacco. Una rivoluzione sociale targata 2024 che si sta allargando a macchia d’olio. Come nel ’68, anche in questo altro ’68 siamo di fronte alla dimensione mondiale della protesta sociale. Negli anni Sessanta era il marxismo la teoria-guida della liberazione, oggi sta diventando l’islamismo. Si riaccendono, infatti, le proteste pro Palestina nelle università europee dopo l’attacco di Israele a Rafah, a sud della Striscia di Gaza. A Berlino la polizia tedesca ha sgomberato un gruppo di manifestanti che aveva occupato un cortile della Libera università di Berlino e allestito un campo protesta al grido di “Free, free Palestine”. È l’ultima delle azioni di protesta che gli studenti stanno organizzando nei campus europei sull’esempio degli studenti degli Stati Uniti che negli ultimi giorni hanno manifestato attivamente contro le azioni dello stato di Israele.
L’amministrazione dell’università ha dichiarato in un comunicato che i manifestanti hanno rifiutato qualsiasi tipo di dialogo e ha quindi chiamato la polizia per sgomberare il campus. Secondo l’università, i manifestanti hanno anche cercato di accedere alle aule per occuparle. Negli ultimi giorni gli studenti hanno organizzato proteste o accampamenti in Finlandia, Danimarca, Spagna, Francia e Gran Bretagna sempre sulla scia delle proteste avvenute negli Stati Uniti. Cinque università norvegesi, inoltre, hanno anche reciso i legami con le università israeliane che considerano complici della guerra mentre lavoravano per porre fine ai contratti di appalto con fornitori legati all’esercito israeliano o agli insediamenti illegali. Ed eccoci all’Italia. Qui si sta organizzando, per il 15 maggio, la giornata della Nabka. Ovvero quel giorno che gli arabi definiscono una “catastrofe” perché in occasione della guerra del 1948 in circa 700 mila furono forzatamente fatti uscire dai territori. A Milano, gli studenti si sono riuniti nei giorni scorsi per seguire lo streaming della conferenza pubblica “Intifada degli Studenti”, organizzata dai Giovani palestinesi. Bologna, invece, è considerata la prima “acampada” italiana sulla scia di quella americana.
Uno stato di “agitazione permanente” è stato proclamato anche negli altri due atenei capitolini di Roma Tre e di Tor Vergata dove ci saranno seminari e proiezioni di film. A Napoli un centinaio di studenti si sono accampati con igloo e canadesi all’interno del cortile della facoltà di Lettere della Federico II, aderendo alla “chiamata internazionale dell’intifada studentesca”. A Lecco, attivisti di Palestina Libera e di Ultima Generazione, hanno macchiato di rosso l’azienda “Fiocchi Munizioni”. L’agenda dei movimenti ambientalisti e antagonisti è, ogni giorno, molto ricca di appuntamenti. Uno di quelli più importanti è considerato il 18 maggio, quando si terrà una manifestazione di protesta contro la costruzione del Ponte sullo Stretto. Ma questo altro ’68 ci serve davvero?
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