Il Pm Giuseppe Capoccia
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Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri rende noto, dopo l’annuncio della premier Meloni, che si riunirà a Cutro giovedì prossimo, il procuratore di Crotone, Giuseppe Capoccia rientra in sede e rimette mano all’inchiesta che dovrà appurare se ci sono responsabilità penali riconducibili alla catena di comando per l’ecatombe di migranti del 26 febbraio scorso.
«Stiamo lavorando in maniera puntuale, non ci stiamo fermando un attimo – dice Capoccia ai giornalisti che lo aspettano dinanzi al Palazzo di giustizia – Come abbiamo detto fin dal primo momento, stiamo acquisendo tutti gli elementi connessi a questa vicenda e ciò che riguarda i momenti precedenti al disastro. Ma siamo già a un buon punto, di un certo interesse. Stiamo raccogliendo tutti gli atti».
LA MACCHINA DEI SOCCORSI
All’alba del 26 febbraio a Steccato di Cutro è naufragato un barcone provocando la morte di almeno 70 persone, ma nessuno è intervenuto e l’inchiesta dovrà appurare se i migranti si potevano salvare. Il riserbo è massimo.
«Da parte nostra non ci saranno altre comunicazioni finché non avremo raggiunto dei punti di certezza su quanto è successo prima del fatto – dice Capoccia – Tutto quello che esce, non esce certamente dai nostri uffici. Ce la stiamo mettendo tutta. Siamo a un buon punto di ricostruzione della rete delle comunicazioni che sono avvenute prima dell’evento ma abbiamo bisogno ancora di qualche giorno».
Per dare un’idea della delicatezza della vicenda, basta riascoltare cosa ha risposto alla domanda sul perché nessuno ha soccorso l’imbarcazione poi naufragata. «Bella domanda». Non ha voluto dire nulla, Capoccia, neanche sull’ipotesi di reato in relazione alla quale i carabinieri del Reparto operativo sono stati delegati a fare accertamenti nell’ambito del secondo fascicolo, quello che potrebbe individuare responsabilità ai piani alti della catena di comando.
Ma è chiaro che si indaga sulla macchina dei soccorsi, oltre che sulle ipotesi di naufragio, omicidio colposo plurimo e violazione delle leggi sull’immigrazione che già hanno portato al fermo – eseguito congiuntamente da carabinieri, poliziotti e finanzieri – di tre presunti scafisti (un quarto è irreperibile).
Intanto, la Procura di Roma ha ricevuto un esposto presentato nei giorni scorsi dalla senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi insieme ai deputati della stessa compagine Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni.
I pm di piazzale Clodio stanno esaminando l’esposto e valuteranno se aprire un procedimento o eventualmente inviare il fascicolo alla Procura di Crotone territorialmente competente. La Dda di Catanzaro non ha aperto alcun fascicolo in ordine all’ipotesi di associazione a delinquere dedita alla tratta. Da Crotone né pm né gip hanno trasmesso atti a Catanzaro, anche se la Procura guidata dal procuratore Nicola Gratteri e quella di Reggio Calabria indagano da tempo su un’organizzazione transnazionale di matrice turca che da decenni batte la rotta dell’Egeo.
I LEGALI DEI FAMILIARI
Intanto, i familiari delle vittime chiedono giustizia. «Abbiamo la sensazione che ci sia stato un corto circuito istituzionale e vogliamo che siano chiariti tutti i passaggi. La Procura è in grado di farlo e noi la affiancheremo», dice l’avvocato crotonese Luigi Ligotti, del pool di legali nominati dai familiari delle vittime. Un team del quale fanno parte anche gli avvocati Francesco Verri, Vincenzo Cardone, Mitja Galuz, impegnati, gratuitamente, a fornire un contributo, anche tramite ricerche e investigazioni difensive, per accertare i fatti.
«Vogliamo che sia chiarito tutto – dice il legale – Da quando i migranti sono salpati con la prima imbarcazione dalla Turchia al trasbordo sulla seconda imbarcazione. Vogliamo ricostruire come e da chi è composta l’organizzazione, perché è chiaro che c’è un’organizzazione se l’equipaggio era in grado di sostituire il natante. Ma soprattutto – prosegue – vogliamo chiarire i profili dell’enorme vuoto di ore durante le quali l’imbarcazione, avvistata a 40 miglia dalla costa, non è stata affiancata da mezzi di soccorso per evitare che si andasse a schiantare contro una secca. Perché se ci fosse stata un’imbarcazione di appoggio si sarebbe evitata la secca, si sarebbe evitato il naufragio».
Ai loro legali i familiari dei superstiti stanno raccontando storie strazianti. «Sono tramortiti. Lo siamo noi, figuriamoci loro. Ci sono intere famiglie distrutte. C’è gente giunta dalla Germania che non ha notizie. Ci sono storie in attesa, perché le ricerche continuano».
«Sono una decina i nostri assistiti – precisa l’avvocato Verri all’uscita dal Palazzo di giustizia insieme all’avvocato Ligotti – ciascuno dei quali ha perso più familiari e si è rivolto a noi perché è congiunto di cinque, sei vittime. Ci sono i profili del riconoscimento, del ricongiungimento, alcuni stanno ancora tentando di venire in Italia». Il loro compito sarà quello di sollevare all’attenzione della Procura «anche temi che stanno emergendo da inchieste giornalistiche accurate e quesiti che proporremo tramite consulenze qualificate con cui potremmo arricchire il fascicolo» dice Verri.
GLI INTERROGATIVI SULLA GUARDIA COSTIERA
«Noi ci chiediamo come mai la Guardia costiera non abbia ritenuto di intervenire. Bisogna accertare nel più breve tempo possibile quale è stato il cortocircuito che ha impedito l’intervento della Guardia costiera che, forse, avrebbe evitato lo schianto davanti alla costa. Avrebbe consentito di segnalare che c’erano delle secche, perché loro non lo sapevano» dice ancora l’avvocato Ligotti, che non esclude «profili ministeriali che potrebbero emergere man mano che prenderà corpo l’indagine». Ma «è ancora presto per dirlo».
L’incidente probatorio a carico dei presunti scafisti chiesto dal pm Pasquale Festa, titolare dell’indagine, non è stato ancora fissato dal gip Michele Ciociola ma si presume che ci vorrà almeno una settimana per i vari adempimenti, compresa la traduzione degli atti e l’emissione di un decreto di irreperibilità. La Procura pitagorica finora ha individuato nove naufraghi dei quali chiede di cristallizzare le dichiarazioni tramite la parentesi processuale, ma si presume che l’incidente probatorio andrà avanti per tre giorni.
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