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La Commissione UE difende il regolamento Sur sul taglio del 50% dei pesticidi. Ma le associazioni agricole fanno quadrato in difesa della viticoltura europea

Si fa presto a dire green. Anche se il prezzo da pagare è sacrificare il vino e le passate di pomodoro. E’ quello che si rischia se arriverà in porto il regolamento europeo Sur (Sustainable use of pesticides regulation) sui pesticidi. Sull’obiettivo di una maggiore sostenibilità ambientale non ci sono obiezioni, ma su come questo percorso debba essere portato avanti sì.
Il nuovo (si fa per dire) fronte aperto dall’UE è quello del taglio drastico dei pesticidi. Il regolamento Sur prevede infatti entro il 2030 la riduzione del 50% dell’uso dei fitofarmaci nella Ue.

L’Italia già dalla presentazione della proposta, a fine giugno del 2022, alzò le barricate. Senza una alternativa, aveva sostenuto la Coldiretti – che su questo tema e sulla carne sintetica ha ingaggiato una vera e propria battaglia con il vice commissario Ue, Frans Timmermans -, una riduzione così pesante non può che portare a un ridimensionamento della produzione agricola nazionale. Con il risultato di aumentare le importazioni da quei Paesi terzi dove non ci sono le rigide regole in vigore nella Ue e in questo modo aggravare l’inquinamento di quelle aree e quindi dell’intero pianeta.

Taglio sui pesticidi, il Consiglio UE chiede chiarezza

Ora però il gioco si è fatto più duro. Il Consiglio ha chiesto infatti alla Commissione di definire più concretamente gli effetti del regolamento Sur. E la Commissione non ha arretrato di un passo. Ha sostenuto che l’obiettivo fissato di dimezzare i prodotti fitosanitari non comporterebbe alcuna minaccia alla sicurezza alimentare. Secondo le stime della Commissione, infatti, i maggiori impatti sulla resa si verificheranno su colture che, a detta di Bruxelles, hanno una rilevanza limitata e cioè uva, luppolo e pomodori.

In pratica la Commissione scrive nero su bianco che alcuni prodotti ritenuti poco importanti possono essere tranquillamente sacrificati sull’altare di una scelta agricola nel segno del verde. Peccato che i prodotti “sacrificabili” sono tra i simboli di quella Dieta Mediterranea osannata da tutto il mondo e molti arrivano dai campi del nostro Sud. Insomma non ci sarebbero problemi a distruggere filiere fondamentali per l’economia agricola italiana, ma che rappresentano anche settori di punta dell’intero agroalimentare made in Ue.

L’industria del vino in Italia

Secondo i numeri dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly e Prometeia l’industria nazionale del vino italiana vale oltre 31 miliardi, impegna 530mila aziende e occupa 870mila addetti. Come si può definire tale attività residuale? La Coldiretti ha smontato il verdetto della Ue definendolo una “vera assurdità se si pensa che il pomodoro è l’ortaggio più consumato in Europa, e l’uva, sia da tavola che trasformata, è una produzione di cui l’Europa detiene il primato mondiale.

Senza dimenticare che l’Italia, principale produttore mondiale di vino e primo produttore di derivati di pomodoro in Europa, sarebbe il Paese più danneggiato da una politica europea folle e lontana dalle realtà delle imprese e dei consumatori”. Gli agricoltori non ci stanno dunque ad assistere allo smantellamento di alcune parti strategiche del made in Italy.

La Coldiretti ha lanciato anche l’allarme occupazione, perché il ridimensionamento di filiere particolarmente ricche e labour intensive porterebbe a una riduzione di posti di lavoro. Ma a preoccupare è anche il possibile balzo dell’import di prodotti dai Paesi extra Ue. Con rischi per la sicurezza alimentare. Uno studio della Coldiretti sugli allarmi alimentari ha rilevato che lo scorso anno su 317 casi solo 44 riguardavano prodotti italiani, 106 provenivano da altri partner della Ue e 167 da Paesi extracomunitari (53%).

Taglio sui pesticidi, problemi anche in altri Paesi Ue

Ma a scendere in campo questa volta l’Italia non è sola. A fare quadrato sul vino si sono schierate infatti le associazioni di rappresentanza italiane, francesi e spagnole che hanno rispedito al mittente (la Commissione) le considerazioni sulla scarsa rilevanza delle produzioni vinicole. Le rappresentanze agricole hanno ricordato infatti che la Ue è il primo produttore di vino al mondo, con il 45% della superficie viticola mondiale. Un settore dunque ad alto valore aggiunto, vitale per molte regioni rurali europee, che genera milioni posti di lavoro e motore dell’export.

E secondo lo studio delle associazioni la misura sui fitofarmaci che la Commissione vuole introdurre taglierebbe del 18% la produzione in Spagna, del 20% in Italia e del 28% in Francia. Da qui l’appello agli Stati e ai deputati europei a sostenere e difendere il settore vitivinicolo per continuare le azioni di transizione ecologica “con regolamenti realistici e un calendario operativo che permetta l’implementazione delle soluzioni alternative esistenti e in arrivo”.

Le possibili alternative nel rispetto del green

Perché in realtà qualcosa di sta muovendo per offrire un’alternativa ai produttori nel segno dell’ambiente. La Commissione europea ha infatti lanciato qualche giorno fa una proposta per regolamentare le nuove tecniche di miglioramento genetico, le Tea (tecniche di evoluzione assistita). Le Tea, ha spiegato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, rappresentano una grande innovazione che consente alle piante di resistere alla siccità e ai parassiti con meno acqua e fitofarmaci.

Una finalità in linea con il Green Deal, ma senza abbassare le saracinesche delle aziende agricole. In questo modo si può aumentare la produzione e tutelare la biodiversità, un tema particolarmente caro all’Italia che è leader mondiale in questo campo. Le nuove tecnologie non prevedono l’inserimento di Dna estraneo, ma costituiscono solo uno stimolo ad accelerare i naturali processi evolutivi delle piante.

Nulla a che vedere dunque con gli obsoleti Ogm vietati da anni nella Ue. Le Tea non richiedono registrazioni, contrariamente agli Ogm con i quali si rischiava di affidare tutto a poche multinazionali e dunque, secondo Prandini, è un’opportunità per rinsaldare il rapporto tra agricoltori e ricercatori e far tornare la ricerca italiana protagonista nel campo agroalimentare.

L’accordo della Coldiretti per tutelare la biodiversità

La Coldiretti ha siglato tre anni fa un accordo con la Siga (Società italiana di genetica agraria) con un fine preciso: tutelare la biodiversità dell’agricoltura italiana e migliorare l’efficienza del modello produttivo italiano attraverso varietà più resistenti. “Questo regolamento – ha spiegato Paolo De Castro, membro della commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo e sponsor delle nuove tecniche genetiche – apre la strada ad un rinnovato dinamismo nell’ambito della ricerca e dell’innovazione in campo agricolo, che porterà allo sviluppo di nuove varietà vegetali in grado di rispondere alla sfida della sostenibilità, resistendo alle malattie e producendo di più e meglio, con l’utilizzo di sempre meno input. Un dinamismo che potrà coinvolgere in particolare centri di ricerca e laboratori di piccole e medie dimensioni, grazie al netto taglio del peso burocratico”.

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