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Amadeus e Fiorello

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Chi ha vinto ha vinto e si potrebbe anche aggiungere un bel chissenefrega, nel senso che mai come quest’anno (il disinteresse è stato legittimo, assai spesso, anche nel passato) la gara è stata privata di qualsiasi pathos con quella pletora di concorrenti, 26, una scemenza musicale e televisiva, quanto mai pallida e sbalestrata.

Un lotto smisurato di cantanti raccolti con la pala basandosi sul miraggio di conquistare il pubblico che non c’è e sull’apparenza (i travestimenti sbracati di Achille Lauro, il cantante con la maschera da Hannibal Lecter, la cantante a piedi nudi fuori tempo massimo, luccichii vari, colpi di scena più che di tonsille) più che sulla sostanza. Il cast è stato uno dei punti dolenti di questa edizione stonata e ha contribuito in buona misura al fallimento del Festival delle grandi aspettative.

Lanciato a tutti i costi dalla Rai, sognando ascolti mirabolanti perché si puntava sulla disperazione italica del tutti a casa per forza, tanto è vero che viale Mazzini ha venduto la sua pubblicità aumentando i costi del 9 percento e puntando, come minimo garantito, su un più 2 per cento di share. Invece bisognerà rifare i conti.

Si paga pedaggio per i cantanti, si paga pedaggio perché non è vero che gli italiani avevano bisogno di Amadeus e del suo esercito canoro per sollevare un umore che non può essere sollevato.

O meglio, avrebbe potuto sollevarlo soltanto qualcosa capace di smuovere il macigno che ognuno di noi ha sullo stomaco e sulla testa. Si paga pedaggio (la media degli ascolti ha visto un calo quotidiano fra il milione e mezzo e i due milioni di spettatori e attorno al dieci per cento di share) perché non è stata tirata fuori un’idea che una per giustificare un Festival speciale capace di superare quel senso di vuoto cosmico di un teatro senza pubblico (paradigma perfetto del silenzio a cui è costretto da un anno il paese, assieme a tutto il mondo dello spettacolo).

Si paga perché Sanremo ha perso, in queste circostanze, ogni senso di sacralità (che misteriosamente e irrazionalmente ogni anno riproponeva) inzeppando le sue estenuanti maratone di ospiti d’onore raccolti col criterio del c’è posto per tutti.

Si paga perché i no via via arrivati da Celentano, Benigni, Jovanotti, Naomi Campbell sono stati l’antipasto del no che hanno profferito i milioni di italiani che hanno scelto di fare altro piuttosto che ubriacarsi del nulla di tante canzoni da non ascoltare. Si paga perché Amadeus e il suo amico, amico fino al sacrificio, Fiorello, si sono trovati nella situazione di dover arrampicarsi sugli specchi.

All’inizio di questa settimana già c’era chi parlava di Amadeus ter, addirittura Fiorello aveva scherzato paragonandolo al Conte ter (che infatti non c’è stato). Adesso, arrivati alla fine, entrambi hanno messo le mani avanti con un orizzonte ampio. Promettono che fino ai 70 anni (ne mancano dieci) non si faranno più vedere dalle parti dell’Ariston.

Promessa che illustra platealmente quale sia la delusione di un Sanremo che avrebbe dovuto consacrarli eroi nazionali del divertimento in tempo di pandemia, invece li ha semplicemente trasformati in ufficiali giudiziari di un Festival sbagliato.


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