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Sky asso pigliatutto. La sua piattaforma satellitare sta diventando sempre più completa grazie agli accordi con gli altri broadcaster. Dopo Mediaset, Dazn ecco Netflix. La prima mossa è stata ricucire con l’azienda di Cologno Monzese dopo lo strappo di qualche anno fa.
Nel bouquet del telecomando Sky sono arrivati i canali di Premium (soprattutto il cinema con le produzioni Medusa campioni di incassi) e sono tornate le reti generaliste ai tasti giusti del telecomando – Rete 4, Canale 5 e Italia 1 (ma anche le telematiche capeggiate da Iris) – che al momento dello scontro se n’erano andate da Sky. A sancire l’accordo ci sono pure le fiction prodotte da Sky (“Riviera” in primis) trasmesse in chiaro e in prima serata da Canale 5. Ovviamente il nuovo amore sbocciato tra Sky e Mediaset ha fatto fuori la Rai dalla Champions League.
Il colosso satellitare – che detiene i diritti della coppa dalle grandi orecchie – ha fatto di tutto per favorire Canale 5 come partner per la messa in onda in chiaro di una partita settimanale e della fase finale, come esige l’Uefa quando assegna i diritti. Da questa operazione la Rai – e soprattutto la rete ammiraglia di Viale Mazzini – è uscita cornuta e mazziata.
Ha perso le telecronache delle partite, un danno quantificato in 4-5 milioni di spettatori a ogni singolo evento, per poi subire la beffa di trovarsi lo stesso volume di ascolti sul competitor del Biscione che ne ha approfittato per fare cassa con la pubblicità.
Dopo l’accordo con Mediaset, Sky ha aperto una finestra a Dazn
Un canale a disposizione degli abbonati per le partite di Serie A e degli sport di cui la società streaming detiene i diritti (ci sono le partite di Barcellona, Real e Psg). Ma a Sky gli accordi sono come gli esami, non finiscono mai, e quindi non c’è due senza tre: ecco Netflix. Una partnership destinata a portare (da domani) la più grande offerta di intrattenimento su Sky Q, combinando il servizio Netflix, con le serie TV più premiate dagli ascolti, a show e produzioni originali dell’offerta Sky.
E la Rai in tutto questo scenario come si muove?
Per il momento si festeggia il via libera del Mise al piano industriale dell’ad Fabrizio Salini che riforma l’assetto delle direzioni di Viale Mazzini, aumentando le poltrone dei responsabili. Una novità che non dispiace certo ai partiti politici, visto che faranno di tutto per lottizzare le nomine e per pressare l’ad Salini. Del resto la riforma decisa dal governo Renzi fa della Rai un broadcaster filo governativo e in balia dei politici, visto che i membri del cda vengono nominati da Senato, Camera e dal Tesoro (l’azionista di maggioranza). L’ultima poltrona la scelgono i dipendenti della Tv di Stato.
Ma chi comanda ora in Rai?
Questa è la domanda più gettonata. La governance attuale è stata indebolita dal cambio del governo. Se prima i CinqueStelle (Paragone e Spadafora in primis) e Salvini hanno potuto indicare e scegliere ad, presidente, direttori e conduttori, oggi c’è il Pd che chiede poltrone (la Rai2 del dopo Freccero, ma anche Rai1 e Tg1 sono in bilico). I dem ne hanno una sola nel cda, quella in cui siede la consigliera Rita Borioni, legata a Matteo Orfini, al momento rimasto all’interno del suo partito con mezzo cerino in mano.
I renziani si sono indeboliti (Orfeo in primis, anche se l’ex dg è più vicino alla Boschi che a Renzi). In verità hanno sperato fino all’ultimo che il Mise bocciasse il piano industriale in modo da causare le dimissioni di Salini e rimescolare le carte. Ma così non è stato. Salini ha ancora le redini del cavallo in pugno, ma il suo estimatore principe, Gianluigi Paragone non è più in sella al governo come prima.
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