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Nicola Grauso

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Precursore delle potenzialità di internet e non solo, Nicola Grauso si è trovato spesso a predicare nel deserto dello scetticismo. Negli anni 70 ha fondato una delle prime emittenti radiofoniche libere in Italia (Radiolina) e quella che è ancora oggi la tv privata sarda con maggiori ascolti (Videolina). Editore anche di carta stampata, negli anni 90 ha lanciato Video On Line, il primo internet provider d’Italia. In un’intervista a Repubblica del 1998 profetizzava che nel 2050 ci sarebbero stati «un computer in ogni tasca» e sarebbero spariti i giornali di carta. Siamo nel 2020, con gli smartphone la prima profezia si è già avverata, ma i giornali di carta esistono ancora.

Dott. Grauso, i giornali resisteranno fino al 2050?

Temo di no. Trent’anni ancora no. Ma ricordo che in quella vecchia intervista prendevo un tempo lungo per non sbagliare, indicavo il 2050 come scadenza estrema della mia previsione.

Questo processo di digitalizzazione è stato accelerato dal lockdown, no?

Certamente. Stiamo rapidamente modificando i nostri stili di vita. Tra 200 anni uno storico individuerà questo periodo come straordinario dal punto di vista dei cambiamenti. È un processo irreversibile, che riguarda tutti gli aspetti della società: penso soprattutto allo smartworking.

Lo smartworking provoca contraccolpi all’economia: agli affitti degli uffici, a bar e ristoranti la cui clientela è formata principalmente da lavoratori. Ci saranno resistenze a questo processo?

Non si può resistere a un processo potente e irreversibile come l’attuale. Ci sarà chi salirà e chi scenderà. Uffici e locali commerciali sono destinati a svuotarsi, anche per effetto dei giganti dell’e-commerce. Forse solo pochissimi generi alimentari resisteranno al commercio online, tutto il resto passerà sulle piattaforme digitali. E immagino che molte persone abbandoneranno le città per tornare a vivere nelle campagne. A me sembra una previsione ovvia, anche se so che molti leggeranno quest’intervista con scetticismo.

Meno ovvia la previsione del ritorno in campagna…

Non è mia. Già nel 1980 Alvin Toffler, in un libro intitolato “La terza ondata”, descriveva un passaggio all’era agricola. Ma del resto sono abituato ad essere accompagnato dallo scetticismo…

Da quando, negli anni 90, faceva previsioni su come internet avrebbe rivoluzionato la società?

Esatto. Ricordo – era il ‘95 – lo sguardo smarrito di un dirigente di una multinazionale dell’elettronica quando consigliai di abbandonare gradualmente il commercio di cd per vendere online, prevedendo che la musica si sarebbe trasferita sul web.

I fatti le hanno dato ragione…

Le racconto un aneddoto. Negli anni 80 i miei dipendenti di una redazione organizzarono uno sciopero contro la mia proposta di introdurre un pc. Non c’era verso di far capire ai giornalisti che ne avrebbero tratto vantaggio. Pochi giorni fa ho ricevuto il messaggio di uno di loro, tra i più strenui oppositori a certe innovazioni, in cui si è scusato per non aver capito ciò che oggi gli è molto più chiaro.

In questa società digitale ci sarà ancora spazio per l’interazione umana?

Sarà persino maggiore. Il lavoro agile ci consente di organizzare meglio il nostro tempo: non siamo più vincolati al timbro del cartellino ma al raggiungimento degli obiettivi. Se ad esempio avremo deciso di trasferirci in campagna, potremo lavorare la terra durante la mattina e sviluppare il lavoro dal pc nel pomeriggio o di notte. Chi vorrà vivere nelle città, avrà più possibilità per viaggiare.

E per gli Stati? La politica sarà ancora così come la conosciamo oggi?

Pochi giorni fa Facebook e Twitter hanno censurato il presidente degli Stati Uniti, Trump. Ciò dimostra il peso sempre maggiore che nell’era digitale assumono questi colossi e quello sempre minore che assumono gli Stati.

Dunque non sarà possibile regolamentare questo processo per via legislativa?

Avverrà un’autoregolamentazione fatta di pesi e contrappesi. Non saranno le sole leggi a farlo.


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