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Tra fuga di cervelli e culle vuote con le attuali dinamiche il valore aggiunto prodotto al Sud, che oggi è del 22% di quello dell’intero Paese, scenderebbe al 20% nel 2050 e al 19% nel 2060
Si scrive brain drain, e si legge perdita dei cervelli. Un fenomeno non nuovo per il Mezzogiorno, ma che acquista un rilievo particolare dinanzi al quadro di inverno demografico che colpisce da alcuni anni il Sud del Paese, invertendo trend che erano invece diversi a partire dall’Unità d’Italia. Spopolamento e perdita di cervelli rischiano di essere il principale fattore di impoverimento per lo sviluppo nel Mezzogiorno se da una valutazione dell’Istituto Tagliacarne, basata sulla prosecuzione delle attuali tendenze a parità di struttura economica e costanza di situazione, il valore aggiunto prodotto al Sud, che oggi è circa il 22% di quello dell’intero Paese, scenderebbe a meno del 20% nel 2050 e nel 2060 addirittura sotto il 19%. Tutto questo a “bocce ferme”.
Ma le recenti analisi sul fenomeno ci dicono che sono 550mila i residenti persi dal Mezzogiorno nel decennio 2014-2023 nei confronti del Centro-nord. Nello stesso periodo gli espatri sono 1 milione e 81mila, con poco più di 515mila i rimpatri. Questi i dati del Report di Istat sulle migrazioni interne ed internazionali della popolazione residente.
Tale fotografia restituisce l’immagine di un Paese in cui sono in atto movimenti tellurici di profonda rilevanza nella struttura geografica della popolazione. Il fenomeno degli ingressi di migranti in Italia ha polarizzato la discussione pubblica, rendendo meno evidenti gli spostamenti dei nostri cittadini, nella duplice dinamica interna, da sud verso nord, ed internazionale.
IL PESO DELLA FUGA DI CERVELLI SULLA STRUTTURA SOCIALE DEL SUD
Ma soprattutto non ci siamo resi conto delle profonde trasformazioni che queste ondate di spostamenti stanno provocando sulla struttura sociale dei territori, e sulle prospettive di sviluppo. Nel biennio 2022-2023 il saldo dei trasferimenti della popolazione tra Mezzogiorno e Centro-nord è stato di 129 mila unità. Complessivamente la sola Lombardia concentra quasi un terzo di queste persone. Quanto alle regioni di provenienza circa il 30% viene dalla Campania, che insieme alla Sicilia fanno quasi il 53% dei trasferimenti dal Sud nel biennio 2022-2023.
C’è però anche la dimensione estera dei movimenti. Nel decennio 2013-2022 è espatriato dall’Italia oltre un milione di residenti: di essi più di un terzo (352mila) con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Con riferimento a questo collettivo di giovani espatriati, si osserva che oltre 132mila (37,7%) erano in possesso della laurea al momento della partenza, la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa, e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 87mila giovani laureati.
Dopo il calo del 2021, nel 2022 si assiste a una significativa ripresa degli espatri di giovani laureati tra i 25 e i 34 anni (18mila, +23,2% sull’anno precedente). Aumenta la quota dei laureati sul flusso dei giovani espatriati (uno su due è almeno in possesso della laurea), a testimonianza del cambiamento strutturale in atto: solo dieci anni fa infatti, questa quota era un terzo dei flussi di emigrazione giovanile.
I DATI SULLA FUGA DI CERVELLI A SUD
Nel decennio 2013-2022 il Mezzogiorno ha perso circa 30 mila giovani laureati tra il 25 e i 34 anni che si sono diretti all’estero, se consideriamo anche quelli andati nel resto del paese la perdita diventa di circa 168 mila giovani residenti laureati, mentre l’Italia settentrionale e quella centrale, nel periodo considerato, attraggono, rispettivamente oltre 125mila e oltre 13mila giovani meridionali.
Questo esodo di proporzioni massicce è accaduto prima della entrata in vigore della autonomia regionale differenziata. Non è difficile prevedere che l’approvazione di questo provvedimento acutizzerà ulteriormente le tendenze manifestate nel passato decennio. Tra le regioni già oggi maggiormente attrattive ci sono Lombardia ed Emilia Romagna, che hanno concluso nel passato pre-intese accordi con lo Stato per andare in direzione della autonomia differenziata.
IL RISCHIO DELL’INCENTIVO ALL’ESODO
Il peggioramento delle condizioni economiche e della qualità dei servizi collettivi indurrà incentivi ulteriori alla fuga, verso le regioni settentrionali e verso l’estero, delle risorse più qualificate, che andranno alla ricerca di lavori meglio remunerati e di una adeguata rete di prestazioni pubbliche, dalla sanità alla istruzione, che rende più confortevole la prospettiva di formare le famiglie di domani.
Se poi guardiamo al versante universitario già oggi ai primi posti in Italia della graduatoria degli atenei mondiali troviamo il Politecnico di Milano e l’Alma mater di Bologna (altre a La Sapienza di Roma), la cui capacità attrattiva non potrà che risultare confermata e probabilmente enfatizzata ulteriormente. Queste tendenze verso l’esodo, unite alle dinamiche demografiche che renderanno sempre più ristretta la platea dei residenti, rischiano di lasciare al Sud anziani e risorse meno qualificate, enfatizzando ancora di più le tendenze, per così dire “naturali” (sic!), alla riduzione del peso relativo del prodotto meridionale nell’economia del Paese.
*Istituto G. Tagliacarne
** Università mercatorum
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