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Sulle origini della pandemia di Covid, il mondo continua a dividersi. Da una parte l’Oms, le cui indagini sembrano caldeggiare la posizione della Cina sul salto di specie del coronavirus, passato da un animale non ancora identificato (forse il pipistrello) all’uomo; dall’altra gli Stati Uniti che sostengono l’ipotesi dell’incidente di laboratorio, puntando il dito contro Pechino.
Recentemente Anthony Fauci, epidemiologo al vertice della task force del presidente Biden per il contrasto alla pandemia, ha sfidato le autorità cinesi, invitandole a fornire le cartelle cliniche di alcuni impiegati del Wuhan Institute of Virology, che potrebbero contribuire a chiarire il dibattito sulla possibile fuga di laboratorio del patogeno.
La risposta del Paese asiatico non si è fatta attendere, con il portavoce del ministero cinese degli Esteri il quale, dopo aver ricordato che i risultati delle inchieste sinora condotte dall’Oms sinora sembrano escludere tale eventualità, ha sollecitato gli stessi Usa a chiamare gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità affinché possano indagare sugli «oltre duecento bio-laboratori americani sparsi in tutto il mondo, incluso quello di Fort Detrick», al centro delle speculazioni cinesi su un possibile incidente di laboratorio ascrivibile agli Stati Uniti.
L’Occidente, in ogni caso, è pronto a tornare alla carica. Stando a Bloomberg Stati Uniti e Unione Europea chiederanno ufficialmente un’”indagine approfondita” sull’origine del Covid e l’avvio di una “fase due” nel segno della “trasparenza, la condivisione dei dati e libera da interferenze”.
La richiesta è contenuta in una bozza che i due alleati vorrebbero adottare nel vertice in programma il 15 giugno a Bruxelles.
Si chiede di fare passi avanti sulla “trasparenza” e fornire “prove documentate”, oltre a permettere un coinvolgimento diretto degli ispettori dell’Oms.
Un’inchiesta del quotidiano The Australian, fra l’altro, avrebbe rivelato che nel maggio 2020 Che Zhou Yusen, scienziato militare cinese, avrebbe depositato un primo brevetto per un vaccino anti Covid a fine febbraio del 2020, appena cinque settimane dopo l’ammissione, da parte cinese, della trasmissibilità del coronavirus da uomo a uomo. Il ricercatore, che collaborava con il laboratorio di Wuhan, è però morto in circostanze misteriose a maggio dello scorso anno.
Scettico sull’ipotesi di un incidente di laboratorio è, invece, Sudhir Kumar, direttore dell’istituto di genomica e medicina evoluzionistica presso la Temple university.
«Abbiamo ricostruito quello che può essere considerato l’albero genealogico dell’agente patogeno – ha spiegato all’Agi – e abbiamo dedotto che il virus identificato a Wuhan non è lo stesso da cui derivano tutti i ceppi e le mutazioni note da gennaio a oggi, quindi i casi individuati in Cina sono solo dei discendenti del progenitore di Sars Cov2. Questo implica che il distretto cinese potrebbe non essere stato il luogo dello spillover e che Covid-19 potrebbe aver raggiunto l’umanità molto prima di quanto si pensasse inizialmente».
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