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Suscitano un pizzico d’invidia le immagini di Tel Aviv, in Israele, baciata dal sole di primavera e pullulante di gente in strada, nei bar, nei ristoranti, senza particolari restrizioni alla vita sociale. Il ritorno alla normalità, laggiù dov’è stato vaccinato circa il 90% degli over55, sembra non più uno stanco mantra bensì una realtà tangibile.
Mentre noi ci prepariamo alla seconda Pasqua blindati o quasi, ci chiediamo quando potremo finalmente lasciarci alle spalle l’incubo e riassaporare almeno un po’ di libertà piena.
La meta di agosto
Una risposta all’estenuante interrogativo ha provato a fornirla in questi giorni uno studio congiunto di Istituto superiore di sanità (Iss), ministero della Salute e Fondazione Bruno Kessler. Gli esperti vedono nel mese di agosto il possibile arrivo dell’agognata svolta. Essi pongono però una condizione: procedere in modo sostenuto con la vaccinazione, così da poter scongiurare l’insorgere di focolai incontrollabili.
Lo studio, rilanciato dal “Corriere della Sera” domenica scorsa, parte da una serie di ipotesi: riportare il tasso di incidenza al di sotto dei 50 casi per 100mila abitanti (oggi la media nazionale è a 240 casi per 100mila abitanti), lasciare l’indice Rt sotto la soglia di 1, ma, prima fra tutte, riuscire a somministrare quattro dosi di vaccino al giorno per ogni mille abitanti (240mila al giorno in totale) dando priorità ad anziani e altre categorie più a rischio e arrivando a coprire circa il 75% della popolazione.
Obiettivo, questo delle 240mila inoculazioni quotidiane, che negli ultimi giorni è stato raggiunto e che il commissario per l’emergenza, il generale Francesco Paolo Figliuolo, prevede possa venir superato grazie al robusto arrivo di dosi in consegna nel mese di aprile. Se questo ritmo dovesse essere rispettato – rilevano gli autori dello studio – ad agosto dovrebbe allentarsi la campagna vaccinale, si dovrebbe ricominciare a vivere più serenamente e a guardare alla primavera 2022 come alla fine della pandemia.
Le variabili
Uno scenario “covid free” è dunque finalmente a portata di mano? Cautela con gli entusiasmi. Gli stessi esperti fissano delle variabili. Anzitutto, le previsioni si basano sull’ipotesi che il vaccino non solo prevenga la malattia, ma anche l’infezione così da impedirne la trasmissione da un soggetto vaccinato. Non solo, l’altra ipotesi presa in considerazione è che l’effetto del vaccino, ossia l’immunità, duri almeno un paio d’anni.
Ebbene, allo stato attuale si tratta di due enormi punti interrogativi. Nello studio viene tracciata anche la previsione laddove l’immunità durasse meno di un anno o addirittura soltanto sei mesi: a partire dall’autunno prossimo, o comunque entro la fine del 2021, sarebbero necessarie nuove restrizioni per evitare la ripartenza del virus in attesa di ricominciare da zero la campagna vaccinale.
Occorrono dunque maggiori evidenze scientifiche sui vaccini per capire quanto questo scenario ottimistico sia realizzabile. Ma c’è inoltre una terza variabile, indipendente dalle politiche sanitarie: la presenza di varianti. Se queste ultime, ipotizza lo studio, faranno aumentare la trasmissibilità del virus del 20, 40, 60 e 80 percento in più rispetto a quello originario, allora sarà difficile raggiungere la fine della pandemia entro i prossimi due anni.
Ricapitolando, reale capacità del vaccino di impedire la trasmissione del virus, durata dell’immunità e mutazioni rendono ancora incalcolabile il futuro e continuano ad agitare lo spettro di una convivenza duratura con le restrizioni alla vita sociale.
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