La copertina del libro e l'autore Aldo Cazzullo
4 minuti per la letturaC’è da capire il perché a differenza dei tedeschi che s’incaricano dell’Eterno grazie a Goethe, perché a differenza dei cinesi che sono in Confucio e con Confucio si prendono il mondo, perché a differenza dei turchi che fanno un consumo quotidiano, e in tutti gli strati sociali, della poesia di Rumi – come pure i persiani, ossia gli iraniani, lo fanno dello Shah-Nameh, il libro dei Re di Firdusi – noi italiani, il nostro padre Dante, l’orecchiamo e basta. C’è da capirlo questo perché – tutti questi perché sono da capire – e Aldo Cazzullo lo spiega benissimo con un libro: “A riveder le stelle, Dante il poeta che inventò l’Italia”, edizioni Mondadori. Sappiamo solo impastare Inferno, Purgatorio e Paradiso – ma tutto questo Aldilà lo sappiamo solo dire a pappagallo – e arriviamo a pensare che l’Alighieri sia quell’osceno biascicare di tanto in tanto sciorinato da Roberto Benigni in prima serata Rai o, peggio, solo un qualcosa da fare a scuola e basta più.
L’OPERA IGNOTA
Non abbiamo familiarità, insomma, con quello che Aldo Cazzullo – con lesta sintesi – definisce “l’inventore dell’Italia”. Non lo riconosciamo oltre la formalità del Settecentenario e non scorgiamo i segni «del drago appollaiato sull’orlo di pietra». Nasce da lui, infatti, da questo potente Veltro Ghibellino, l’Italia che altrimenti resta – nella sua disperante miseria – l’espressione geografica a malapena presente nella contemporaneità. Se lo stesso Virgilio, sigillo di Roma, attraversa i secoli per tramite di Dante, se la specchiata idea del De Monarchia rivela la missione universale del bel paese dove l’sì suona, altra origine non c’è che la forgia di Dante, il poeta chiamato alla guida di un viaggio chiamato Italia. Un’Italia, per dirla con lo stesso Dante, intesa sol da chi la prova. È «quell’eterno genio italiano che è il vero centro della poesia di Dante». E Dante che per gli italiani è mera argenteria per Aldo Cazzullo è giustamente il custode di Cesare: «Il padre dell’Impero che nella visione della Commedia rappresenta l’ordine politico dato da Dio all’uomo». Dante, nel suo Medioevo – età d’altissima spiritualità – anticipa e fa da canone a Ezra Pound. Ed è la grande onestà intellettuale del dare pane al pane con cui Cazzullo sottolinea in Dante l’avversione all’usura, stigma della giornata a noi contemporanea se «la grande parte della ricchezza è prodotta dalla finanza». È teorica la ricchezza, «immateriale, aleatoria», scrive Cazzullo, «non è più legata all’esperienza, alla tecnica, alla cultura; è in balia della sorte; la cultura anzi non è mai stata così negletta: si investe troppo poco nella scuola, nell’università, nella ricerca». È tutta nell’intendere, la prova cui ci chiama Dante. Cazzullo legge i versi del Sommo e restituisce ai lettori di oggi i dettagli di una grandezza che tra noi più non regna. Convoca Giotto per tramite degli Scrovegni – giusto un esempio – ed è come un introibo all’opera di Dante ancora là da venire, tra i 1303 e il 1305. La pagina è sontuosa, bellissima, vibrante. Eccola: «Il grande pittore fiorentino – racconta Cazzullo – dipinge un’immagine di Cristo da cui sgorgano i quattro fiumi infernali, che precipitano i dannati nell’abisso. Il primo fiume travolge proprio gli usurai, che hanno anche qui un sacchetto di denaro legato al collo. I peccatori sono spogliati, violati, torturati, appesi per i capelli o per i genitali. Impiccato e sventrato è Giuda, il traditore di Gesù; in basso Lucifero divora i dannati con due bocche, mentre un serpente gli esce dalle orecchie”.
LA BELLEZZA SI FA PATRIA
Non si sa se la Cappella Scrovegni, a Padova, abbia influenzato Dante, un capitolo delicato assai – specie in tempi come questi, tutti d’isteria – è quella riferita a Il Libro della Scala di Maometto, ovvero il Kitab al-mi’raj come fonte d’ispirazione per il viaggio di Dante. Vorremmo tanto proporlo all’attenzione di Cazzullo ma di certo c’è nel sentimento dell’Alighieri una signoria d’Amore con A rigorosamente in maiuscolo. Nella sua opera a tutti noi ig/nota, la Divina Commedia, Dante custodisce il seme di un’infinità di frutti, uno dei quali è il romanzo della nostra storia. Una narrazione sulla viva carne, il filo di una matassa che va a svolgersi nelle giornate presenti, una cronaca ancora una volta a tutti noi ig/nota ma che Cazzullo – il più disincantato tra le prime firme del giornalismo italiano – sa dipanare oltre il disbrigo degli accadimenti. Il romanzo che Cazzullo cava dalla Commedia è presto detto: la bellezza che si fa Patria. Una Patria il cui nome è Italia. È il Veltro ghibellino di là da venire.
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