Milano svuotata dal Lockdown
4 minuti per la letturadi DARIO NARDELLA*
Il virus ha messo a nudo la fragilità delle città, mostrandoci le immagini inedite e indelebili di Roma, Milano, New York, Parigi, Pechino, Londra, completamente svuotate e silenti, in uno scenario da film “Blade Runner”, tanto da far parlare più di uno dell’inizio di un “declino irreversibile” delle grandi capitali, che la pandemia ha solo accelerato, con l’avvio di veri e propri esodi di migliaia di persone dai centri abitati verso le campagne.
I centri commerciali, i grandi teatri, gli aeroporti, le grandi stazioni, le arene da concerto, i magnifici musei, da luoghi eletti di un modello vincente di vita sociale e architettura urbana, si sono trasformati in poche settimane nelle zone della quarantena, le aree più esposte al contagio, da chiudere e dimenticare per mesi.
Per non parlare dei quartieri-dormitorio, trasformati dal lockdown in sterminate “prigioni” ricavate in appartamenti da 50 mq, con la difficoltà di conciliare lo smart working con la vita familiare e le conseguenze psicologiche di restrizioni fisiche che si sono manifestate soprattutto a danno di bambini e persone fragili.
Ad un certo punto, in Italia e nel mondo, si è pensato che fossero venute meno con la pandemia le regioni essenziali per cui un individuo debba scegliere di vivere in una grande città, ovvero il vantaggio di usufruire di una grande quantità di servizi e di luoghi di vita pubblica. Ciò che era il punto di forza si è insomma trasformato immediatamente in un punto di debolezza. Ad aggravare questa visione, il fatto che nelle città si concentra la maggior parte dell’inquinamento atmosferico, fattore che molti studi scientifici hanno collegato allo sviluppo della pandemia.
Le grandi città, ovvero le realtà della vita più esposte alla globalizzazione si sono rivelate un fallimento? Sembrerebbe proprio di no. Al contrario, questa pandemia le ha rese ancora più centrali e strategiche. Il punto è capire come tutto ciò si svilupperà.
L’Europa, in questo processo, è cruciale.
Da qualche mese sono presidente di Eurocities, il più grande network delle città europee di medie e grandi dimensioni. Ne fanno parte, tanto per fare alcuni esempi, città come Londra, Parigi, Berlino, Barcellona, Vienna, Varsavia, Sofia, Marsiglia, Strasburgo. Eurocities rappresenta la voce di oltre 200 città europee di medie e grandi dimensioni e oltre 130 milioni di abitanti di 39 differenti paesi.
Eppure il peso che le città hanno in Europa non è ancora forte come vorremmo. Malgrado il 2020 abbia mostrato come le comunità locali siano state in prima linea contro il virus in termini di risposte sanitarie, sociali, educative, di sostegno economico e di welfare, i governi centrali stentano a coinvolgerle in una fase, quella della ricostruzione e dei fondi di ‘Recovery’ dove invece avrebbero molto da proporre.
Eurocities ha realizzato un sondaggio tra i suoi membri: il 70% delle città europee giudica insufficiente il coinvolgimento da parte degli Stati nella redazione dei Piani nazionali di Recovery and Resilience e solo un sindaco su dieci ritiene che le proprie proposte siano state effettivamente inserite in questi piani.
Tra qualche giorno sarò, proprio in qualità di presidente di Eurocities, a Porto, dove è in programma il 7 maggio il Social Summit organizzato dalla presidenza portoghese dell’Unione.
Ho incontrato – virtualmente – il primo ministro portoghese Antonio Costa a marzo scorso. Mi assicurò che avrebbe definito con Eurocities le azioni da portare avanti per attuare il Recovery plan. E’ un passo avanti molto importante per il diretto coinvolgimento dei primi cittadini nei progetti del Next generation.
Per molti sindaci è una priorità discutere dei Recovery plan con i propri governi nazionali. Da oltre un anno i sindaci sono in prima linea, 24 ore al giorno e sette giorni su sette, per lottare contro il virus e i suoi effetti sanitari, sociali ed economici. Per questo vogliamo dare il nostro contributo.
I sindaci del resto parlano lo stesso linguaggio in qualunque angolo del mondo ed è questa loro prossimità naturale alla persona che li rende le figure politiche generalmente più rispettate dall’opinione pubblica in ogni paese.
Non è un caso che in Europa, negli ultimi anni, i sindaci di grandi città si siano imposti sulla scena politica nazionale riuscendo spesso a incarnare la leadership di movimenti politici e di opinione, spesso in contrapposizione ai rispettivi governi nazionali.
“Gli Stati passano, le città restano”. Lo diceva un grande e illuminato sindaco come Giorgio La Pira che negli anni Cinquanta del secolo scorso gettava le basi per una grande rivoluzione dal basso dei governi locali. Mi torna in mente spesso questo suo pensiero quando cerco di dare il mio contributo come primo cittadino e guardo allo Stato Italiano e poi all’Europa come ‘case’ fortificate e potenti dove noi sindaci possiamo e dobbiamo dare un contributo importante.
Le città ci sono e sono pronte a fare la propria parte. Ma non c’è tempo da perdere. O correremo il rischio di sprecare questa crisi in maniera irreversibile.
*Sindaco di Firenze, presidente di Eurocities
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