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E’ trascorso oltre un anno dall’avvio del Piano di ripresa e resilienza, l’occasione che l’Europa ha offerto all’Italia per avviare la ripartenza dopo il Covid e soprattutto per ricucire la frattura tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno, dotandola di oltre 190 miliardi, la quota più rilevante del Next Genaration Eu. Ma qual è lo stato dell’arte del piano italiano, sta andando avanti o sono solo carte, quanti cantieri sono stati aperti, dove sono andate le risorse, su quanti e quali progetti, e quanti di questi sono nel Sud? Quasi un mistero finora, che il faro acceso dal Feuromed – il Festival dell’Euromediterraneo promosso dal nostro giornale, in collaborazione con la Commissione europea, sul ruolo strategico del Mezzogiorno nella costruzione dell’hub euro-mediterraneo – ha permesso di svelare, “complice” la partecipazione del ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, all’evento.
Sono 164 mila i progetti presentati in tutta Italia per il Pnrr, di cui 62mila al Sud per un valore di oltre 35 miliardi. «Presentati – ha precisato Mazzotta – non vuol dire che siano validati: circa un terzo è stato validato, cioè caricato nel sistema, completo di tutta la documentazione necessaria per rendicontare lo stato di avanzamento del progetto mano mano che andrà avanti». «Si procede un po’ a rilento», ha osservato il ragioniere generale – Al Sud, a fronte dei 62mila progetti ne sono stati validati circa 19 mila: c’è ancora da lavorare».
In particolare, in Campania, sono stati presentati 16mila progetti per circa 10 miliardi. Il ragioniere generale ha fatto il punto sui numeri e su tempi nel corso della tavola rotonda sul tema “Il Pnrr e la riglobalizzazione”, coordinata dal direttore del quotidiano e presidente del Festival, Roberto Napoletano, cui hanno preso parte anche Patrizia Toia, vicepresidente della Commissione per l’industria del Parlamento Ue; Gelsomina Vigliotti, vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti; Dario Scannapieco, ad di Cassa Depositi e Prestiti; Carlo Cimbri, presidente di Unipol Gruppo Spa; Antonio D’Amato, presidente del Gruppo Seda; Michele Emiliano, presidente Regione Puglia; e Michele Marchi, dell’Advisory Board del Festival, coordinatore del corso di laurea Storia, società e culture del Mediterraneo, Università di Bologna – Campus di Ravenna.
Dall’analisi dei settori di intervento nel Mezzogiorno, emerge che al “capitolo” ambiente e transizione energetica fanno capo 12 mila progetti, (presentati), per un valore di circa 7,5 miliardi: dall’efficientamento energetico delle amministrazioni alla produzione di energia rinnovabile, alla riduzione delle emissioni del trasporto locale. Cinquemila progetti, per un valore di 2 miliardi, riguardano lo sviluppo del capitale umano: ricerca, formazione professionale e progetti per incoraggiare il passaggio dalla scuola all’università. «Bisogna fare sì che i giovani del Sud restino al Sud e valorizzare le prospettive del Mezzogiorno», ha affermato Mazzotta.
Tra gli interventi più significativi per lo sviluppo dell’area Mazzotta ha indicato le Zes, le zone economiche speciali, dove attrarre nuovi investimenti: «Potrebbero segnare il cambio di passo nel Sud».
Il ragioniere dello Stato ha dato conto della spesa complessiva effettuata finora: «A tutto il 2022, la spesa registrata ammonta a 24 miliardi e mezzo, sui 190 miliardi previsti nel complesso dal Pnrr». «Una buona fetta – ha precisato Mazzotta – sono gli incentivi Industria 4.0 e i bonus edilizi». Ora bisogna metterli a terra i 162mila progetti: «Alla fine del 2022 sono state avviate una serie di gare, il 2023 sarà un anno strategico perché avremo circa 96 obiettivi da raggiungere, tantissimi, e in molti casi la messa in terra delle opere, l’aggiudicazione delle gare e l’avvio dei lavori».
I numeri illustrati da Scannapieco hanno raccontato invece le opportunità che l’accorciamento delle catene del valore innescato dalle crisi – prima quella pandemia, poi il conflitto russo-ucraino – offre al Mezzogiorno, ma anche le potenzialità del territorio che il Pnrr è chiamato a sviluppare. «C’è una nuova rinascita industriale nel Mezzogiorno, diamogli i mezzi per crescere con decisione e per connettersi all’Europa. Dobbiamo cogliere le opportunità che ci offre il Pnrr: è essenziale che il Sud si doti di infrastrutture efficienti, ma ha un tessuto imprenditoriale vivo, con centri di eccellenza che possono essere elementi importanti nella transizione digitale ed ecologica. Ad esempio, delle 15.000 start up italiane, il 26% è nel Mezzogiorno e uno dei più bei progetti del Pnrr è il polo Agritech di Napoli».
Il Mezzogiorno, ha proseguito, ha «ampio potenziale e capitale umano, dispone di un ampio patrimonio di fonti energetiche rinnovabili, pesando per il 95% della produzione nazionale di energia eolica, per oltre il 40% sulla produzione di solare. L’85% delle richieste di connessione di nuovi impianti di generazione da rinnovabili è localizzato nelle regioni meridionali». «Ora è assolutamente importante creare sinergie tra risorse europee e risorse italiane, pubbliche e private. Cassa Depositi e Prestiti è presente in questo processo e pronta a offrire il proprio sostegno», ha detto, per poi mettere l’accento sulla “r” de Pnrr: «Dovrebbe andare al quadrato per le riforme: dobbiamo rendere l’Italia un posto dove i costi e i tempi di realizzazione delle opere siano certi. Abbiamo delle debolezze da questo punto di vista».
Una debolezza che frena gli investimenti e quindi lo sviluppo del territorio: «Per investire c’è bisogno di avere un quadro di regole certo. E per sostenere gli investimenti c’è bisogno di certezza dei tempi», ha puntualizzato il presidente dell’Unipol, Cimbri. «Per chi deve investire – ha spiegato – credere o meno nella bontà di un progetto e rischiare dei soldi vuol dire avere fiducia non solo nel proponente dell’investimento ma anche in tutto l’ecosistema. Non possiamo dimenticare nessuna componente, dal funzionamento dello Stato e gli enti locali alla giustizia». E i tempi della nostra giustizia, ha ricordato, mandarono in fumo l’ambizione di Milano di farsi polo della finanza internazionale in fuga dalla Londra della Brexit.
In un contesto internazionale altamente competitivo, con la Cina e gli Stati Uniti a fare la parte del leone – mentre «noi abbiamo un Green deal che sta portando avanti un processo di deindustrializzazione e decrescita», «non si può non puntare sul Mezzogiorno come motore di crescita dell’Italia, ha sostenuto D’Amato: «Il Pnrr – ha rimarcato – è stato assegnato in misura significativa all’Italia per porre chiudere il gap sociale ed economico non più sostenibile, da cui dipende non solo la stabilità economico-finanziaria dell’Italia, ma dell’Europa tutta. Non c’è modo di reggere il rapporto debito pubblico-Pil se non portiamo il tasso di occupazione nel nostro Paese almeno al 70 %». Mettere il motore di crescita nel Mezzogiorno, quindi, «è una priorità assoluta». Il Pnrr è lo strumento per farlo. Le risorse, ha sostenuto D’Amato, devono essere non spese, ma investite: «Sono a debito, bisogna restituirle e per questo devono generare investimenti addizionali privati che possano dare gettito fiscale, occupazione e crescita della ricchezza reale del Paese». I tempi imposti dall’Europa sono stretti, e quindi occorre, «una centralizzazione forte»: «Concentriamo gli sforzi in maniera coordinata, pubblico e privato, governo nazionale ed enti locali per rimettere in equilibrio finanziario, sociale e civile il nostro Paese». Perché, ha avvertito, «un’Italia portatrice di uno squilibrio così grave e duraturo non può risultare credibile come modello di sviluppo per i Paesi del Mediterraneo se non è in grado di risolvere i propri problemi in maniera seria e veloce, se non saremo all’altezza del compito storico che abbiamo. È una partita che non possiamo perdere».
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