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Quella che gli esperti di geoeconomia chiamano regione euromediterranea è in realtà un’area profondamente diversificata. È composta da tutti i paesi del bacino del Mediterraneo, e può essere ripartita in quattro zone: nazioni del meridione europeo (Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna), stati turco-balcanici (Albania, Bosnia, Croazia, Montenegro, Slovenia e Turchia), paesi del Nord Africa (Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia) e nazioni mediorientali (Israele, Libano, Siria e Palestina). In questa regione, in cui vive il 6.5% della popolazione e il 5.8% della forza lavoro del pianeta, viene prodotto il 10.3% del PIL e il 10% dei consumi globali.

Come noto, il periodo tra il 2018 e il 2022 è stato interessato da fenomeni destabilizzanti per l’economia globale e da profonde trasformazioni geopolitiche. La pandemia ha esposto le criticità, prima celate, del modello produttivo globalizzato, paralizzato dalla perturbazione delle lunghe catene produttive internazionali. Più di recente, Il conflitto in Ucraina ha messo in luce la fragilità causata dalla dipendenza energetica europea dal gas russo. Nonostante le sfide insite in questo nuovo scenario, la regione euromediterranea ha dimostrato grande resilienza, registrando, tra il 2018 e il 2021, un aumento del PIL medio del 7.7%, con picchi del 19.5% nei Balcani e del 13.2% in Nordafrica, e un aumento medio dei consumi dell’11.6%. Contestualmente, il 7.9% degli investimenti mondiali si sono concentrati in questa regione: nel quadriennio in analisi, 531 miliardi di dollari da capitali esteri sono stati investiti nell’area, e gli accordi di fusione e acquisizione sono aumentati del 17%, con 255 operazioni dal valore superiore al miliardo di dollari.

I motivi di questa crescita sono in grand parte attribuibili all’adozione di nuovi paradigmi di sviluppo per supplire alle debolezze messe in luce dalla crisi del sistema. Alla paralisi delle filiere produttive globali si è risposto con una nuova enfasi sul nearshoring, ossia il ricollocamento di parte delle attività produttive in zone vicine al paese d’origine, costituendo catene di approvvigionamento internazionali, ma più brevi e ravvicinate. Alle dipendenze strategiche indesiderate si è invece sostituito il friendshoring, in cui le scelte di ricollocazione non contemplano solo la vicinanza ma anche la comunanza di valori e ideali. Gli effetti sono tangibili: nel 2018, tra i principali investitori in M&A nella regione mediterranea c’erano gli USA (20% delle operazioni totali) e la Cina (con l’11%). Nel 2021, tre dei primi cinque investitori erano paesi euromediterranei – Francia, Italia e Spagna – responsabili, complessivamente, del 39% degli investimenti totali. Sembra essersi innescato, in altre parole, un circolo virtuoso di investimenti e crescita all’interno della regione, mentre si sta ridimensionando l’influenza di operatori appartenenti ad aree geograficamente e storicamente lontane: il valore aggregato degli investimenti cinesi nella regione nel 2021, per esempio, è sceso vertiginosamente allo 0.37% del totale.

Questa nuova stagione di crescita non ha risolto, tuttavia, alcune storiche criticità, quali la diseguaglianza economica (nell’area del Nord Africa e del Medio Oriente, il 58% del reddito nazionale è nelle mani del decile più ricco della popolazione, il valore più alto di ogni altra regione del mondo)  e la diseguaglianza sociale (Turchia, Algeria, Marocco ed Egitto sono tra i paesi al mondo che offrono meno opportunità economiche alle donne). La mancanza di opportunità e di accesso al mercato del lavoro in queste aree, unitamente all’instabilità politica causata dalla disuguaglianza, costituiscono un deterrente per gli investimenti e per la crescita a lungo termine. A questi fattori si aggiunge lo squilibrio nei trend demografici – con tassi di crescita annuale della popolazione mediamente negativi nei paesi UE e in quelli balcanici, leggermente in crescita sulla sponda orientale del Mediterraneo e sproporzionatamente alti nell’Africa settentrionale –, che è alla base dei flussi migratori tra il sud e il nord della regione.

Una nuova stagione di crescita per la regione euromediterranea, dunque, passa per queste sfide cruciali: la promozione di un clima di stabilità e sicurezza politica e sociale, uno dei principali fattori di attrattività per i capitali esteri; l’apertura di opportunità a segmenti di popolazione a cui sono generalmente precluse, tramite il potenziamento e l’allargamento dei sistemi di istruzione, che permettono di attingere al potenziale inespresso di popolazioni mediamente giovani, in particolare sulla riva sud del Mediterraneo; l’investimento in infrastrutture improntate al potenziamento delle reti di trasporti di merci ed energia attraverso la regione. Maggiore stabilità, più ampie opportunità di istruzione e di crescita, a loro volta, contribuiranno a mitigare il fenomeno migratorio e il suo potenziale perturbativo.

*Presidente di Webuild Spa


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