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Il ministro Raffaele Fitto

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Quando Vincenzo De Luca, presidente della regione Campania, prende la parola nella suggestiva sede del Maschio Angioino di Napoli il freddo ancora invernale della Sala dei Baroni lascia presto il posto alle scintille della polemica.

È la seconda e ultima giornata del Festival Euromediterraneo dell’Economia, promosso da questo giornale e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, con l’obiettivo di promuovere una nuova visione del Mezzogiorno d’Italia come ponte dell’Europa verso il Mediterraneo. L’idea è quella di abbandonare una volta per tutte l’approccio vittimistico del Sud, concentrato sull’arretratezza e sulla fame di risorse pubbliche, per sostituirla con l’immagine di un Sud nuovo, finalmente orgoglioso dei propri talenti, capace di puntare sulle proprie eccellenze per affrontare le sfide del futuro.

In particolare quelle provenienti dalla nuova geopolitica del Mediterraneo, per troppo tempo considerato un mare chiuso, superato dal ruolo strategico di altri luoghi dell’Europa e del pianeta, ma oggi di nuovo protagonista strategico nel tentativo di superare l’impasse del rapporto tra Est e Ovest e riscoprire le opportunità che derivano all’Italia e alla Ue dal rapporto con il Sud del mondo.

Ma il presidente della Campania non sembra raccogliere il messaggio che arriva dai due giorni di lavori. “Negli ultimi 15 anni

Italia è scesa dal 18% del Pil dell’Europa al 14%. Non abbiamo i player mondiali che ha la Corea e il nostro tasso di disoccupazione è troppo alto per competere. Dovremmo affrontare prima di tutto i problemi strutturali: la Pubblica Amministrazione, la giustizia, la qualità della ricerca, la disoccupazione al Sud”, avverte De Luca. Poi apre i cahiers de doléances sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Il 60% delle risorse che arrivano dall’Europa sono a debito e dovremo restituirli, il tasso di prestiti è superiore al 50% ed è il più alto in Europa”, accusa. E chiede: “il 40% del Pnrr va al sud bene? Se il sud è un’emergenza avremmo dovuto concentrare qui l’80% delle risorse realizzando un’unica grande Zes, zona economica speciale”. Ricorda l’impegno della Germania che, dopo il crollo del Muro nel 1989, ha investito sulla priorità dell’unità tedesca, risolvendo il problema in trent’anni. “L’errore di fondo del Pnrr? Impossibile da gestire con 16 mila progetti nel Sud. Servivano 10 grandi progetti: dalla banda larga alle infrastrutture per la mobilità, dalla sanità ai porti. Invece abbiamo polverizzato la spesa”, denuncia De Luca.

Poi manifesta il dissenso nei confronti del governo: “Perché abbiamo detto no all’agenzia per il Sud?” Chiede rivolto a Raffaele Fitto, il ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, presente in sala. “Abbiamo troppa frammentazione di centri di responsabilità -accusa – così non andremo molto avanti. Siamo molto preoccupati e in totale dissenso. Si fa passare l’idea che il Sud non abbia capacità di spesa, ma i primi a non saper spendere sono i ministeri. Noi stiamo facendo miracoli, nonostante l’amministrazione pubblica italiana che è in ginocchio”. In sostanza De Luca critica la centralizzazione dell’attuazione del Piano a dispetto delle regioni. E non manca il lamento finale sui mali del Mezzogiorno: “In questo momento laureati e diplomati stanno scappando: il 40% va via dalla nostra regione. Abbiamo perso 600mila giovani. La media di età della PA è di 56: ma quale digitalizzazione vogliamo fare? Non ci sono risorse per gestire la medicina territoriale. Serve usare un linguaggio di verità senza autoconsolazione”.

Un invito al quale Raffaele Fitto non sfugge. Il ministro rivendica la validità dell’approccio del governo. Respinge le accuse di aver troppo accentrato a dispetto delle regioni. Invita a “leggere i provvedimenti, non a commentarli” senza averli letti. Ricorda la necessità della semplificazione che il governo sta cercando di realizzare. “È doveroso un ministero che coordina. Ci vuole immaginazione molto forte nel pensare di attuare il Pnrr senza coordinamento”. Con i provvedimenti adottati, spiega Fitto, il governo non fa altro che “riportare l’attuazione del piano dentro alle politiche di coesione come è sempre stato”. E lo fa sulla base del “parere favorevole in conferenza unificata da parte di regioni, province e comuni”. Il ministro ricorda poi che l’impostazione dell’esecutivo “non è il frutto di opinioni personali” ma si basa sui “rapporti di studio riconosciuti e basati su dati oggettivi”, tutti discussi nelle commissioni parlamentari. Tre in particolare. In primo luogo, l’ottavo rapporto della Commissione europea sulle politiche di coesione: “nella cartina dell’Ue l’Italia è rappresentata in rosso perché è il paese che ha utilizzato peggio queste risorse”. In secondo luogo, lo studio della Corte dei conti diffuso a gennaio che conferma che “l’attuale organizzazione delle risorse dei fondi europei non va bene”. In terzo luogo, il documento della Ragioneria generale dello stato che analizza le politiche di sviluppo e coesione rilevando che l’Italia è riuscita, dal 2014 al 2020, ad attuare soltanto il 30% delle misure disponibili con un evidente spreco di risorse. Insomma, “solo facendo una diagnosi corretta possiamo pensare una terapia adeguata”, rilancia Fitto. Il ministro assicura poi che “non c’è contrapposizione tra regioni e ministeri”: certo, le difficoltà di regioni e ministeri esistono, “ma la gara non è nel capire chi ha fatto peggio, ma nel capire come cambiare questo sistema”. L’impegno del governo resta pertanto quello di allineare tutti i programmi. In più, c’è ora l’occasione di “studiare il Repower Eu entro il 30 aprile, attraverso un proficuo confronto con regioni province e comuni”. Il Repower può diventare, secondo Fitto, un capitolo aggiuntivo del Pnrr.

D’altra parte, questo giornale da mesi ripete che il metodo giusto per occuparsi seriamente di futuro e preservare la corsa della resiliente economia italiana è proprio quello di riunire sotto un unico dicastero strettamente legato alla supervisione della presidenza del Consiglio le deleghe degli affari europei, del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, del Fondo di Coesione e sviluppo, del Mezzogiorno. L’Italia è seduta su una montagna di risorse da investire: è chiamata per questo a superare la litigiosità che proviene dalle singole istituzioni locali e a dimostrare la sua capacità di spendere tali fondi per creare sviluppo, occupazione di qualità e ridurre le diseguaglianze, raccogliendo l’ottima eredità del governo Draghi.


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