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Ivo Allegro

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Nelle ultime settimane si è riunita la prima Cabina di Regia del PNRR del 2023 per fare il punto sugli obiettivi che l’Italia deve raggiungere entro il prossimo 30 giugno per poter richiedere il pagamento della quarta rata di 16 miliardi di euro.

Sin dal 2020 viene ripetuto, quasi come un mantra, che il PNRR rappresenta una occasione irripetibile di trasformazione sul piano economico e sociale e questo è ancor più vero se si guarda al Mezzogiorno e ai suoi gap di sviluppo di lungo corso. Trasformare questo mantra da slogan in reale processo e metodo di sviluppo è la vera sfida per il Paese. Bisogna ricordarsi, in particolare, che degli oltre 222 miliardi di spesa pubblica connessi al PNRR, ben 153,2 miliardi incidono sul debito pubblico e che se il PNRR genera solo spesa senza sviluppo durevole il quadro per l’Italia si fa complesso.

Per evitare il rischio di flop clamorosi, è necessario che le istituzioni che si occupano di PNRR e di Mezzogiorno approfondiscano quattro temi fondamentali: In primo luogo, c’è da considerare che gli investimenti sono solo una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo. Sono gli standard di erogazione dei servizi che derivano dagli investimenti e la loro costanza nel tempo che determinano l’effettivo impatto sullo sviluppo. In questa prospettiva, è ampiamente noto agli economisti come l’adozione di modelli di allocazione delle risorse esclusivamente pubbliche per gli investimenti generano effetti deteriori che spesso portano alla “trappola dello sviluppo”, cioè al perdurare di condizioni di ritardo di sviluppo nonostante gli investimenti pubblici anche ingenti.

Secondo l’Ottava “Relazione sulla Coesione Economica, Sociale e Territoriale” tutto il Mezzogiorno, in cui i capitali pubblici spiazzano spessissimo i capitali privati, è in questa trappola con un divario che va anche oltre i 14 anni. Sarà un caso?

Esiste, poi, un rischio di “imbuto burocratico” connesso, paradossalmente, all’abbondanza di risorse che amplifica le difficoltà della PA di attuare processi di spesa in tempi coerenti con i fabbisogni delle imprese e del paese. Problema ancora più rilevante al Sud dove l’insieme del 40% delle risorse del PNRR si somma alle risorse del FESR, del FSE+ e del PSC.

Il pericolo è il riproporsi di logiche che tanti danni hanno generato nel Mezzogiorno e che puntano all’efficienza della spesa piuttosto che alla sua efficacia. Altro tema è lo spiazzamento degli investimenti e gli effetti di “lock in” alle iniziative imprenditoriali legate all’assenza di programmazione degli strumenti di agevolazione. Infine l’assenza di regole certe generano un senso di incertezza e sfiducia che scoraggia l’iniziativa imprenditoriale seria a vantaggio dei “furbetti del quartierino”.

Emblematico, come esempio di questo modo poco organizzato di approcciarsi ai problemi di sviluppo di imprese e territori, è la proroga del complesso di Crediti d’Imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno (Bonus Sud, ZES, ZLS), intervenuto a soli 28 giorni dalla loro scadenza naturale (31/12/2022) e senza spiegare cosa accadrà poi nel 2024. Il fatto che uno Stato si ricordi di dover inserire le proroghe di un regime di aiuti solo nell’imminenza della scadenza è probabilmente il segno della reale misura che il Sud riveste nell’agenda delle istituzioni, al di là dei proclami. Il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno non è una condizione strutturale del paese e non è ineluttabile. Lo diventa se non si cambiano i metodi e gli approcci. Il PNRR in tal senso è una grande occasione. Non sprechiamola.

AD di Iniziativa e Professore di “Project Cycle Management e accesso a fondi pubblici” all’Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza


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