Alcuni protagonisti di "Freaks Out" e "Madri parallele"
2 minuti per la letturaFREAKS Out, il fantasy-kolossal diretto da Gabriele Mainetti merita ancora uno spunto di riflessione. La scorsa settimana invocavamo una “lucherinata” affinché il film potesse far parlare di sé e conquistarsi più spazio nell’opinione pubblica. Ma il cinema sta cavalcando una tendenza aziendalistica (confondendola con aziendalista) che Enrico Lucherini non sposerebbe affatto: oggi gli uffici stampa sono sentinelle in difesa della Bastiglia ormai presa dalle piattaforme, non accorgendosi di essere una Versailles che deve tornare tra il popolo. Del cinema bisogna che se ne parli, quasi a tutti i costi, lasciando alla libera iniziativa dei media (amici e nemici) ampio margine di azione.
L’unico film uscito dall’orbita del paesello del cinema e dal giro dei supercinefili è stato La scuola cattolica, perché bollato dalla censura con il divieto ai minori di 18 anni. Un messaggio assolutamente fuorviante che ha generato scalpore e curiosità decretando la fortuna del film (tratto dal bestseller di Edoardo Albinati), con la notizia che ha travalicato il settore giungendo alla gente comune. Un titolo modesto, accolto tiepidamente a Venezia, si è piazzato così tra i film italiani più visti (Me contro te escluso) dalla riapertura ad oggi.
Ma torniamo a noi. Motivo di riflessione su Freaks Out sono i dati del boxoffice. Non assoluti, visto che il film finirà la sua corsa intorno ai 2,5 milioni di euro, ma rispetto al posizionamento sì. La fotografia è nitida: il film di Gabriele Mainetti è stabilmente dietro alla corazzata Eternals, davanti alla Famiglia Addams, Venom e perfino Madri parallele di Almodovar, che effetti speciali non ha ma affetti speciali sì, essendo uno dei più grandi cineasti contemporanei.
La sala sta delineando perfettamente la tipologia di contenuto, dando un messaggio inequivocabile per il cinema italiano (vedi anche l’ottima performance del fantastico Io sono Babbo Natale). Bisogna essere Mainetti o Almodovar, per il resto ci sono le piattaforme. Ora qualcuno dovrà dire alla maggior parte dei registi italiani che non sono Almodovar.
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