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L'Ex ospedale Forlanini a Roma

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Riapertura Forlanini. La polemica va avanti, ma il tema è troppo serio per indulgere in attacchi tra il fronte pro apertura e quello contro. Per questo abbiamo voluto ascoltare quali sono le proposte in campo direttamente da chi sta portando avanti questa battaglia.

Massimo Martelli, primario chirurgo-toracico per 25 anni nell’ospedale specializzato in patologie polmonari, sostenuto da oltre 100 mila cittadini che hanno firmato in pochi giorni una petizione online, ci spiega come si potrebbe fronteggiare l’emergenza creata dalla epidemia di Covid-19. “Si può ripristinare tempestivamente una parte della struttura, creando 50 posti di terapia intensiva. La parte monumentale del Forlanini, pur essendo stata abbandonata da cinque anni, non presenta caratteristiche strutturali così critiche da impedirne un restauro celere. Ci sono squadre di ingegneri e operai disposti ad aiutarci gratis in questa opera, non capisco perciò il diniego della Regione Lazio. In questa fase è importante pensare al futuro. Emergenze simili si potrebbero riverificare domani. Ripristinare un ospedale d’eccellenza per la cura delle malattie polmonari permetterebbe di concentrare gli sforzi delle equipe mediche e di ricerca”.

Il vantaggio di ospitare tutti i contagiati all’interno di un’unica struttura è evidente: “Se si vuole vincere la battaglia contro il coronavirus, non si possono aggiungere per pazienti Covid-19 un po’ di posti letto qua e là in varie strutture che accolgono anche pazienti di altro tipo, perché così aumenterebbero i contagi. Quando è nato il Forlanini morivano 25-27.000 persone all’anno di tubercolosi e a nessun matto veniva in mente di prendere il paziente con la tubercolosi e portarlo al Policlinico Umberto I: i malati di tubercolosi venivano portati tutti al Forlanini”.

Obiettiamo che le condizioni generali dell’ex sanatorio, inaugurato nel 1934 e chiuso nel 2015, sono piuttosto critiche e Martelli ribatte: “Il parere finale non spetta a me, ma a un comitato tecnico di architetti e ingegneri di inconfutabile professionalità che verifichi la fattibilità tecnica, per capire se la struttura regge, le tempistiche per il ripristino e i costi, valutando se ci siano tutte le coperture, ad esempio verificando la disponibilità di fondi europei”.

A supporto della sua tesi si è schierata anche Virginia Raggi, come sindaco di Roma e massima autorità sanitaria cittadina, che ha inviato una lettera al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, perché provveda alla riutilizzazione del Forlanini, in un momento di emergenza sanitaria.

Per tutta risposta la Regione, con una nota del 16 marzo 2020 ha archiviato la proposta di riapertura definendola una “triste fake news” (notizia falsa), “una campagna di speculazione sulla pelle delle persone”. “Creare un reparto attrezzato in pochi giorni per curare malati gravi in una struttura che cade a pezzi e da ristrutturare da cima a fondo è da folli” si legge nella nota e ancora “La verità: il Forlanini era deserto già negli anni ’90”.

Martelli protesta: “Quando si afferma una cosa tanto infondata, vorremmo capire come sia stato possibile che il solo reparto di chirurgia toracica dal 1990 al 2013 abbia effettuato più di 25mila interventi. Voglio aggiungere a chi sostiene che il Forlanini non è a norma perché è un residuato del secolo scorso: bene, allora chiudiamo subito anche lo Spallanzani (1936), il San Camillo (1927), il Fate Bene Fratelli isola Tiberina (1656), il Santo Spirito (secolo XIII). E ancora il Palazzaccio (1889), la Farnesina (1937), la Fao (1938). E mi fermo qui. La verità è che il Forlanini è stato lasciato morire lentamente dalle ultime tre amministrazioni regionali di destra e di sinistra, come ho sempre ripetuto”.

Seppur archiviata dalla Regione come una “notizia falsa”, la proposta di riaprire il Forlanini continua a raccogliere adesioni. Anche l’archistar Massimiliano Fuksas, il padre de “La Nuvola”, in un’intervista pubblicata il 22 marzo 2020 sul Corriere della Sera ha dichiarato: “Progettiamo ospedali provvisori, straordinari e in luoghi emergenziali, invece qui (al Forlanini) abbiamo spazi utilizzabili, non in rovina, proprio accanto allo Spallanzani. Con una spesa relativa si potrebbe non solo assicurare nuovi posti letto collegandoli allo Spallanziani, ma cominciare di lì, con un piano pluriennale, il recupero del Forlanini, dedicandolo di nuovo alle malattie polmonari. Da cittadino ingenuo, ma che vede un’evidenza sotto gli occhi di tutti, dico: mettiamoci le mani subito, smettiamola di immaginare altre soluzioni più costose e più cervellotiche”.

In effetti è istintivo chiedersi: perché spendere soldi per l’installazione e successivamente per la rimozione di tende e strutture provvisorie, se esiste la possibilità di ripristinare una porzione di un ospedale che resterebbe anche in futuro come bene comune per i cittadini e che, anzi, in futuro potrebbe essere ampliata, integrando ulteriori porzioni dell’ospedale stesso?

Le soluzioni messe in atto dalla Regione finora per l’emergenza da coronavirus sono piuttosto discutibili. Si va dai tendoni piazzati in ogni ospedale come zona triage per i sospetti infettivi a posti letto ricavati in strutture altrettanto fatiscenti. Si spazia dall’Eastman – ex polo odontoiatrico afferente al policlinico Umberto I, a cui sono scoppiate le fogne ricoprendo i primi ricoverati Covid19 di liquami – al centro paraplegici di Ostia con pazienti neurolesi, fragilissimi, con sistema immunitario compromesso che rischiano la vita se vicino a malati contagiosi. E non tralasciamo gli assistiti a cui, in attesa di posto letto disponibile, vengono somministrate le prime cure ed effettuati i tamponi in ambulanza.

Lo sconcerto aumenta considerando che – come svelato da un’inchiesta della trasmissione televisiva “Fuori dal coro” di Mario Giordano, andata in onda il 25 marzo 2020 –, mentre procedeva la chiusura del Forlanini per questioni d’insostenibilità economica, a pochi metri di distanza procedeva la costruzione dell’avvenieristico “Polo per l’alto isolamento”, un bunker costato 54 milioni di euro, ideato nel 2003 per accogliere e curare i contagiati da infezioni rare e gravi quali l’ebola, con possibilità di ricovero in massima sicurezza e stanze di decontaminazione per il personale. Terminati i lavori 11 anni dopo, nel 2014, come dichiarato nel servizio “si pensava di poterlo usare in occasione dell’epidemia della Sars; non si è fatto in tempo allora così come non si è fatto in tempo adesso”. Infatti a oggi non sono ancora stati ultimati i collaudi.

Lo sconcerto aumenta a dismisura se oltre al Forlanini si fa la conta di tutti gli ospedali che nel nostro Paese negli ultimi dieci anni sono stati chiusi: 200, con una perdita di 34.000 posti letto.

In particolare nel Lazio ne sono stati chiusi 16, tra cui il San Giacomo e il San Gallicano di Roma, l’ospedale di Ariccia, di Genzano, di Albano, di Anagni; sono stati ridimensionati il CTO, il San Camillo, il San Filippo Neri, il Santo Eugenio. Mentre tante strutture pubbliche sanitarie venivano chiuse, tante altre ne venivano edificate e lasciate lì inutilizzate, più o meno incompiute, con spese milionarie di ristrutturazioni e vigilanza.

Resta aperta la domanda: tutto questo per inefficienza o per qualche altro progetto a lungo termine, di cui ci sfugge la finalità? È tempo di capire per non ritrovarci in futuro come ci troviamo oggi.


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