Il bacio di Francesco Hayez al tempo del coronavirus
8 minuti per la letturaLa strada che mi ha portato fin qui è stretta e tortuosa e ti obbliga a fermarti se arriva un altro mezzo nell’altro senso di marcia. Ma quando arrivi a Pettorano sul Gizio e osservi il panorama dal versante su cui si affaccia il percorso delle antiche mura, capisci che ne vale la pena. Tutto è limpido e verde. Qua dietro svetta una casa-torre. C’è silenzio, una pace sospesa, come ciò che sta accadendo in questi giorni complicati.
Poco fa, in via del Carmine, davanti al ristorante “La locanda”, ho incontrato un signore. Dall’ormai noto metro di distanza e da dietro le nostre mascherine, abbiamo parlato un pò. Mi ha indicato il locale chiuso, ha detto che era sempre pieno e che i ciclisti che andavano sui pendii della “Napoleonica” ci si fermavano spesso, perché lì fanno buone le trofie agli Orapi, che sono gli spinaci selvatici.
«Mi spiace che non li possa assaggiare» mi ha detto.
«Lo farò non appena sarà possibile, stia certo».
Poi a un certo punto, all’improvviso, mi ha detto grazie.
«Per cosa?»
«Perché non ha smesso di raccontare i posti e la gente» mi ha risposto. «Ci sono dei lavori che non possono fermarsi e mica sono solo quelli delle fabbriche o i dottori. Sennò qui si muore e non per il virus. Se tutto si spegne, se nessuno scrive più, resta solo la televisione e ogni giorno è sempre uguale a quello prima… Io lavoro in un negozio che ora è chiuso, così non possono nemmeno fare quello. Oggi non sapevo nemmeno che data era. Uscire a comprare il giornale è diventato il modo per fare due passi, si rende conto? I vigili girano e ti chiedono che fai e perché sei fuori. Sembra di essere dei delinquenti. Mi sento in prigione».
«È davvero difficile e assurdo» dico. «Però dobbiamo resistere e pensare a tutto quello che comunque c’è di bello, come questo posto, per esempio. Più restiamo a casa e prima passerà».
«Mah, speriamo. Comunque lei continui, eh…»
«Certo» dico. «Ha saputo di quella coppia ad Ancona che si era appartata vicino al cimitero ed è stata denunciata per violazione del decreto?»
«Ma erano ragazzini?»
«Macchè, due persone di 45 anni».
«Poveracci… io li capisco. Di sicuro erano amanti. Con tutti questi divieti non si può più nemmeno più tradire la moglie».
«Ma magari erano due fidanzati che non vivono insieme e non si vedevano da giorni».
«Comunque sia l’amore non si ferma mai» dice guardando in alto e socchiudendo un po’ gli occhi. «Hanno fatto bene. Ma chi l’avrebbe mai detto che un giorno saremmo stati denunciati per un bacio?»
«Eh già» rispondo «sembra un film di fantascienza. Come mantiene i rapporti con la sua famiglia?»
«Sono sposato, quindi a casa con la moglie e la figlia che sembra un leone in gabbia. Ma il problema è mio padre…»
«Cioè?»
«Lui vive in Campania, è vedovo, ci sentiamo solo per telefono».
«Ha qualcuno che lo aiuta?»
«Una famiglia di vicini che gli fa la spesa e gliela lascia sul pianerottolo. Ma lui andava sempre al bar e a giocare a bocce, così non pensava alla mamma. Ora invece è sempre chiuso in casa e dicono che la cosa si allungherà anche oltre il 3 aprile. Come farà? Ho paura che mi muoia lì e non posso fare nulla da qui…» e continua a raccontarmi di lui, del lavoro che faceva, di com’erano i suoi genitori, di quando si sposarono per la seconda volta per le nozze d’oro e di come gli manca. Mi dice che ha visto le immagini dei camion dell’Esercito che a Bergamo portavano via tutti quei morti, che pensa di continuo a chi è malato in ospedale ed è solo e se non ce la fa, se ne va senza nessun caro che stia con lui fino alla fine.
«E se succede anche a lui? E se muore lì senza di me? Per la festa del papà non abbiamo nemmeno mangiato le frittelle insieme, gli altri anni lo facevamo sempre» e si commuove.
Mi accorgo di quanto, in queste ultime due settimane, le persone che incontro si fermino a parlare più a lungo con me, di come abbiano voglia di dirmi anche altro, oltre a quello che pensano delle notizie che propongo. È come se in qualche modo questi piccoli momenti insieme stessero diventando una specie di boccata d’aria, una novità, una sorpresa, ora che è così difficile incontrarsi. E mi rendo conto all’improvviso di come qualcosa di semplice come questo possa diventare importante e che dunque dobbiamo continuare a scrivere e raccontare ancora di più.
«Federico, speriamo bene» mi dice alla fine.
E così, senza darci la mano e restando distanti, ci salutiamo da dietro le mascherine.
Supero i possenti torrioni cilindrici del castello, faccio qualche deviazione, passando per le stradine, le “rue”, su cui si affacciano scalette, cortili, case dai muri scrostati, terrazzi con i primi fiori della primavera appena iniziata.
Arrivo alla Chiesa di San Rocco, proseguo per Piazza Umberto I. Ecco la fontana monumentale con la sua vasca a forma di conchiglia e le statue di Nettuno ed Anfitrite. Qualche passo avanti e arrivo alla Chiesa della Beata Vergine Maria e di San Dionisio. È la chiesa madre. La facciata è semplice, essenziale. Qui a lato della chiesa un altro scorcio di panorama. Mi affaccio sulla Riserva Monte Genzana e Alto Gizio. Capisco come mai anche il grande poeta Ovidio rimase affascinato da questi luoghi e ne scrisse nei suoi “Amores”.
All’angolo in fondo della piazza c’è una farmacia. Fuori alcune persone stanno aspettando di entrare, restando a distanza le une dalle altre. Quando mi avvicino, due signore stanno parlando del fatto che hanno sentito in Tv che la gente si inventa di tutto pur di andare in farmacia anche tre volte al giorno.
«Ma noi siamo bravi, io ho la ricetta delle pasticche della pressione» dice una di loro.
«Sì, anch’io ho la ricetta».
Racconto di quell’anziano che a Cremona ha donato 50 euro all’ospedale.
«Ha portato la banconota e un biglietto su cui aveva scritto ‘Offerta cinquanta euro antivirus’. Il personale sanitario si è commosso» dico.
Le due signore mi guardano.
«Ma che ci fanno con 50 euro?» dice una della due.
«Come che ci fanno?» le risponde l’altra. «Magari ci ordinano delle pizze per il reparto».
«Eh, ma lui ha scritto che è per il virus, che c’entrano le pizze?»
«Questi lavorano di continuo, non staccano mai, sono stanchi, prendono le malattie e chissà cosa mangiano… e se mangiano! In certi casi anche una pizza può servire».
«Allora poteva dare di più».
«Ma che dici, Carme’? Magari quello c’ha la pensione sociale e prende 300 euro. Dà quello che può dare. Tu che hai dato?»
«Io aiuto stando a casa».
«E che sforzo è? Hai la figlia in casa, le nipoti, esci alla bottega e per venire qui. Anche prima facevi questo».
«Sì, ma non posso andare dalla parrucchiera».
«E allora? Almeno non ti tingi più i capelli di nero che sembri una strega!» e ride. «Che poi te lo dico sempre che li devi fare biondi.»
«Ma nera sembro più giovane» e alla fine si mettono a ridere tutte e due, mentre l’altro signore che è in fila sbuffa, ma non dice nulla.
Proseguo e arrivo al piccolo slargo su cui si affaccia l’ufficio postale. Ci sono degli alberi e nessuna panchina. La mancanza di turisti in giro è tra le differenze più evidenti in questi giorni. È un vuoto particolare che cambia lo scenario e si aggiunge alle poche persone del posto fuori casa.
Continuo a camminare e arrivo al palazzo barocco de “La Castaldina” con i suoi tre balconi e l’aria decadente. Le persiane di una casa vicina sono aperte e una signora sta scuotendo una coperta arancione. La saluto, parliamo un attimo e le chiedo se ha sentito la storia pazzesca di quelle due migliori amiche da 17 anni che hanno scoperto di essere sorelle.
«È successo a Philadelphia» dico. «Hanno lo stesso padre e non lo sapevano».
«E come hanno fatto?»
«Si conoscevano fin da piccole e si somigliavano anche molto, avevano addirittura anche lo stesso spazio vuoto tra i denti, pensi. Poi è successo che una delle due ha organizzato una festa per il suo fidanzamento e l’altra ha condiviso le foto su Facebook, lì c’era anche il padre della festeggiata. Ed è venuto fuori tutto. La madre della seconda bambina non le aveva mai raccontato che al tempo aveva avuto una relazione con lui».
«Mamma mia… però certo che Facebook fa paura eh» mi dice. «Non ti puoi proprio nascondere. Chissà che litigate ora con la madre. Era meglio se nessuno sapeva niente ormai».
«Non pensa che sia sempre meglio conoscere la verità?»
«No. Quando uno ha il suo equilibrio è bene che resti così. La verità spesso fa solo casino».
Continuo il mio giro e vado verso la Tabaccheria Alimentari “Cicone” per farmi fare un panino, passando sotto gli alberi di Via Roma. Mi arriva una notifica sul cellulare. Leggo. «Per la prima volta dalla diffusione del coronavirus, la Cina non ha registrato alcun caso di contagio locale». Guardo ancora una volta il panorama e penso che dobbiamo davvero fare tutti in modo che il giorno in cui potremo goderci di nuovo tutto questo in piena libertà non sia poi così lontano. Perché come diceva Georges Bernanos: “La speranza è un rischio da correre”. Sempre.
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