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Tema: elogio degli italiani. Gli italiani guardati oggi dalla finestra e per strada, sembrano nuovi. E non sembrano – nei grandi numeri – nemmeno italiani: disciplinati, rispettano le distanze, accolgono le disposizioni delle autorità, sono in file ordinate che neanche gli inglesi, e girano con l’autocertificato piegato in tasca come neanche in “Roma città aperta”. È una fantasia? Forse. Ma legittima. Vuoi vedere che quando il virus sarà stato ricacciato nei suoi inferi, alla fine sulla sabbia resterà un sedimento, un sentimento e perfino una nuova identità?

I motivi per sperare non mancano. Non fu così anche dopo l’ultima guerra? Ricostruire la democrazia dopo il disastro della dittatura e dell’avventura militare non fu forse una enorme chirurgia plastica nell’anima italiana e nella sua identità? E non è forse vero che dalle furie iconoclaste del Sessantotto rimasero sulla sabbia insieme ai cocci, anche molte perle e coralli? Dunque, come si dice ormai anche troppo spesso – la passione italiana per i luoghi comuni – questa disgrazia potrebbe diventare un’opportunità di crescita civile. Il rispetto dell’altro. Ieri Roma si è svegliata nel nuovo coprifuoco ed era calma, appena un pochino furbastra – troppe macchine sul Raccordo Anulare, troppa gente che andava o tornava dal medico – ma tirava aria di condivisione, di responsabilità e di ciò di cui più si sente la mancanza: il riconoscimento dei confini inviolabili dell’altro, il dovere di non varcare la linea di confine.

Oggi tutti abbiamo intorno a noi una immaginaria linea di confine: a un metro, meglio due. Niente abbracci né strette di mano, basta col bacio sulla guancia per di più doppio, basta mani addosso per pacche o manovre seduttive, lontani dalla saliva altrui, dall’alito altrui e inevitabilmente dalla parola altrui. Elogio, se non del silenzio, almeno della moderazione. Abbiamo imparato, dopo la guerra, ad ammirare gli inglesi proprio per questa straordinaria e non ancora provata qualità: soli, a fronteggiare le bombe tedesche. Churchill nel famoso discorso del “Non ci arrenderemo mai” aveva avvertito i suoi concittadini che la morte si sarebbe abbattuta sulle loro case ogni giorno. E gli inglesi, pazienti e inflessibili, si adattarono alla necessaria disciplina. Chiusi di notte nei rifugi, i fumatori si vendevano ogni proprietà per un po’ di nicotina: “La mia Bentley per una sigaretta”, diceva una barzelletta. E, dal fondo: “Di che anno, la Bentley?”. Stiamo diventando un po’ più inglesi? Speriamo di diventare più italiani. Nel senso civile.

Certamente questo flagello che stiamo vivendo vivrà a lungo nella memoria quando sarà finito e faremo continuamente riferimento a quel tremendo 2020, sperando di chiuderla quest’anno. Quali altri eventi ci hanno formato, sia pure nella disgrazia? Certamente la Prima guerra mondiale che mise alla prova un Paese unificato solo a parole, ma che dovette trovare la sua unità sia nella disfatta che nella vittoria delle trincee. Il fascismo, comunque lo si consideri, fu un elemento unificante, anzi appiattente e totalizzante ma quell’apparenza unificata si sfaldò con una guerra assurda e priva di legittimazione finita nella catastrofe e nel disonore.

La memoria della guerra civile con i suoi due fronti opposti resta ancora come divisione, ma in compenso la televisione portò all’unità linguistica e comportamentale: gli albanesi imparavano l’italiano dei nostri sceneggiati, ma anche dei film sulla mafia. La Ricostruzione dopo la guerra spinse gli italiani a unirsi, mettere su chili, fare soldi, cercare di recuperare la felicità perduta: non moltissime regole, ma un periodo di fiducia, edifici, strade, ponti, viaggi, istruzione. Il terrorismo delle Brigate Rosse mise a dura prova la pazienza e la serenità, ma non lasciò tracce distruttive ma creò anticorpi contro la retorica armata.

Non sembra, ma siamo diventati più saggi, meno ciarlatani e fanfaroni, benché alcuni tratti siano nel nostro popolo talmente radicati da essere stati illustrati perfettamente da uomini come Leopardi, Manzoni e Collodi. I terribili omicidi della mafia, in particolare quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno prodotto, insieme a molta inutile retorica, un senso civico reale e la crescita di comportamenti collettivi sempre più lo9mntani dagli stereotipi del passato.
E oggi? Oggi c’è voglia di essere disciplinati, ma informati. Essere cittadini vuol dire vedersi rispettati dalle autorità di governo e rispettarne le direttive che dovrebbero proteggere l’intera collettività. Ma non è una corsa senza ostacoli. La retorica dei negazionisti e quella ridicola dei giovanilisti – “Siamo giovani, abbiamo diritto di divertirci, il virus non ci riguarda” – sono dei macigni sull’autostrada, ma possono essere rimossi.

Noi italiani siamo stati più degli altri popoli europei disabituati a considerare il governo e il potere come organi derivati dalla volontà popolare e siamo sempre inclini a trattare governo e potere come entità estranee e nemiche. Non si guarisce in un giorno, ma un po’ di training nel rispetto delle norme comuni, aiuta.

Abbiamo avuto negli anni Settanta le grandi afflizioni dell’Austerità in cui tutti impararono ad usare la bicicletta e a riscoprire parchi e giochi. Oggi stiamo crescendo sui binari di un’altra necessità: osservare le distanze e valutare se anche gli altri fanno altrettanto. Chi non lo fa è sottoposto alla condanna del suo prossimo: chi si comporta male è malvisto e non considerato con simpatia. Oggi l’amore si esprime mantenendo la distanza, non raccorciandola.

Ognuno sente che questo limite è piacevole perché funziona come un grande gioco, ma anche come una sorta di nuova religione: quella del Rispetto Reciproco. Si può e si deve aiutare ma non si deve esporre gli altri a rischio.

Questa è una novità. Chi era abituato a farla franca ed essere considerato un furbo, ora rischia di essere preso a calci nel sedere o almeno di essere incenerito dagli sguardi, che non è poco. Dunque, riflettiamoci, stiamo tutti modificandoci rapidamente e stiamo diventando altri, certamente migliori, certamente più rispettosi gli uni degli altri e alla fine scopriremo che questa maledetta infezione sarà stata anche una fruttuosa occasione per formarci come comunità di persone civili e non egoiste.


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