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Efficiente e produttiva, ma la Lombardia – al 1 ottobre 2019 – è tra le regioni di cui non si hanno informazioni sui fondi statali antiviolenza per le donne liquidati nell’anno in corso e tra quelle che hanno fatto registrare un peggioramento riguardo il grado di trasparenza nella gestione stessa delle risorse. Totale dello stanziamento: 2.024.196 euro, totale erogato: 0 euro. In assenza di pubblicazione degli atti di liquidazione delle risorse.
I numeri sono quelli appena pubblicati da ActionAid nel progetto “Donne che contano” per fare luce sull’ammontare dei fondi statali effettivamente liquidato dalle Regioni nel 2019, ricavato dai dati e dagli atti regionali riguardanti le risorse stanziate in base alle legge 119 del 2013 per il contrasto sulla violenza di genere. Un dato che, alla luce del via libera di pochi giorni fa del Ministero delle Pari Opportunità al riparto alle regioni di 30 milioni di euro destinati dalla legge di bilancio 2019 ai centri anti violenza e case rifugio, obbliga ad una riflessione, se si pensa che dei fondi previsti nel 2018 solo lo 0,39% è arrivato alle strutture, appena 77mila euro, con un netto ribasso rispetto al 34% del 2017 (12,7 milioni) e al 63% sui 17,5 milioni del biennio 2015-2016.
«Speriamo che questa volta una parte significativa di queste risorse raggiunga effettivamente i centri antiviolenza» – si augura Lella Palladino, presidente uscente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, la rete nazionale dei centri antiviolenza. «Resta però l’enorme discrepanza tra gli impegni assunti ora e la realtà che vivono i centri antiviolenza», fa notare la presidente, «perché ci vorranno dei mesi prima che le risorse siano effettivamente erogate a livello locale». «Intanto, oggi, molti centri antiviolenza sono sull’orlo della chiusura per i ritardi stratosferici nei pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche, affrontano indebitamenti non più sostenibili, assicurano l’accoglienza con situazioni lavorative precarie e massiccio ricorso al volontariato per le operatrici, mentre il numero di posti in case rifugio per donne e bambini/e non copre assolutamente il fabbisogno». Permangono inoltre «le criticità rispetto alla ridefinizione della mappatura dei centri antiviolenza, così da distinguere tra i tanti servizi nati negli ultimi anni, spesso in maniera improvvisata, e i centri antiviolenza gestiti da organizzazioni di donne indipendenti, che lavorano in un’ottica di genere e con una metodologia basata sulla relazione tra donne come richiesto dalla Convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia nel 2013».
LA VIOLENZA
In Italia 1 donna su 3, di ogni età e classe sociale, ha subìto violenza. Un reato ogni 15 minuti. 142 le vittime nel 2018, 94 dall’inizio dell’anno, 3.230 dal 2000 ad oggi. Per la prevenzione e il sostegno alle vittime, nel 2013 il nostro Paese ha ratificato la Convenzione di Istanbul ed emanato la legge 119, comprendente un finanziamento annuale per le strutture antiviolenza.
LE RISORSE
Al 31 ottobre 2018, le Regioni avevano liquidato il 25,9% delle risorse destinate al potenziamento delle strutture antiviolenza ripartite dal Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) per le annualità 2015-2016 – appena 4,5 milioni di euro a fronte dei 17,5 stanziati – nonostante l’obbligo di utilizzo dei fondi entro l’esercizio di bilancio del 2018. In base ai dati aggiornati al 1° ottobre 2019, la percentuale di risorse liquidate dalle Regioni, seppure salita al 63%, evidenzia i gravi ritardi con cui le risorse arrivano a destinazione ed il fatto che a tre anni dall’emanazione del decreto di ripartizione (25 novembre 2016), i fondi non sono ancora stati liquidati. Riguardo le risorse assegnate invece per il 2017 (oltre 12 milioni), regioni come la Puglia e il Molise sono riuscite – nonostante i gravi ritardi con cui i fondi sono passati dal DPO alle casse regionali – ad assegnare in tempi brevi un primo acconto a enti locali e del privato sociale. Ma a quasi due anni dall’emanazione del decreto di ripartizione dei fondi e a un anno dal loro trasferimento da parte del DPO, le Regioni hanno liquidato solo il 34% delle risorse 2017, ovvero circa 4 milioni di euro a fronte dei 12,4 stanziati e solo il Molise e il Friuli-Venezia Giulia hanno liquidato il totale delle risorse assegnate. Per il 2018 (20 milioni di stanziamento totale), ancora solo il Molise ha liquidato una quota dei fondi assegnategli. Col risultato drammatico che la percentuale delle liquidazioni dei fondi antiviolenza 2018 a carico delle Regioni in favore delle case rifugio e dei centri antiviolenza è stata pari allo 0,39%.
LA TRASPARENZA
Il monitoraggio di ActionAid sul grado di trasparenza delle Regioni nella gestione dei fondi antiviolenza è scoraggiante. Innanzitutto, nessuna regione ha ottenuto il punteggio massimo di 29 punti. E se un miglioramento lievissimo c’è stato sulla trasparenza formale degli atti di programmazione, la mancata pubblicazione degli atti di liquidazione delle risorse ha fatto registrare un generale peggioramento in regioni come Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta, al pari di Calabria e Campania. Sul “caso Lombardia” l’indagine si sofferma però in modo particolare: «Diverse Regioni si sono limitate a rendere accessibili dati scarsamente dettagliati o in forma aggregata (cioè sommati a risorse aventi altra fonte normativa) (…) attenendosi agli obblighi minimi previsti dalla legge in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, che però non garantiscono l’accesso a informazioni sufficienti per risalire all’origine delle risorse e soprattutto alla tipologia di intervento finanziato. È il caso ad esempio della Regione Lombardia».
Regione esaminata anche nel Report 2018 “Attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia. Rapporto delle Associazioni di donne” riguardo la Conferrenza Stato-Regioni. Si legge nel documento, che se «il finanziamento inviato dallo Stato alle Regioni non è delineato in modo chiaro e non è vincolato a parametri precisi», la Regione Lombardia «ha scelto di privilegiare l’ente pubblico, imponendo reti territoriali interistituzionali attraverso le quali riconosce principalmente rimborsi alle attività professionistiche in ambito psicologico, medico, psichiatrico, legale, ecc., esautorando di fatto il ruolo delle organizzazioni non governative, utilizzate come un mero servizio sul territorio cui imporre una gestione stereotipata e non rispettosa della “metodologia dell’accoglienza”, anche se quest’ultima è stata individuata come elemento distintivo dei Centri antiviolenza nell’intesa Stato-Regioni (27/11/2014)». Attraverso questa strada, si legge ancora, «si è arrivati all’imposizione, ad esempio, di una raccolta dati secondo principi medico ospedalieri (codice fiscale e anamnesi), che fanno parte della scheda di cui si richiede obbligatoriamente la compilazione completa. In questo modo viene meno il rispetto dell’anonimato e della segretezza, elementi base del lavoro dei Centri antiviolenza e del rispetto del racconto che le donne portano in questi ambiti e non in quelli pubblici. Altra imposizione è quella di un’organizzazione del lavoro del Centro antiviolenza attraverso il finanziamento delle sole figure professionali riconosciute da Regione Lombardia. In tal modo, la figura della consulente di accoglienza (…) non viene neppure considerata. (…) Da ultimo, la libera interpretazione degli elementi indicati nella conferenza Stato Regioni, per riconoscere e rendere qualificante l’attività del Centro antiviolenza, fa sì che questa Regione cerchi di imporre un lavoro da pronto soccorso, 24h, pagato euro 26,00 a giornata per la reperibilità anche notturna di una operatrice del Centro».
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