Delio Rossi
3 minuti per la letturaNon si vive di ricordi. Ma alcuni aiutano ad alleviare momenti difficili. Ecco allora che per i tifosi del Foggia spostare le lancette dell’orologio a trentadue anni fa, a quella volta in cui i rossoneri sfidarono il Real Madrid in un “Pino Zaccaria” addobbato a festa, può essere un buon antidoto per evadere un attimo dall’amara realtà odierna (LEGGI IL RACCONTO DELLA SFIDA). Ricordi che Il Quotidiano del Sud ha affidato a Delio Rossi. Famoso come allenatore, di quel Foggia era il capitano. E nella Daunia il tecnico romagnolo ha lasciato il cuore.
Che ricordi ha di quella serata?
«Fu una serata importante, una serata di gala, non solo per la squadra ma per tutta la città. Dopo un periodo triste, per il Foggia erano i primi tempi dell’era Casillo, che volle inaugurare l’inizio della stagione ospitando un torneo con squadre importanti. Incontrammo un Real Madrid stellare, c’erano Chendo, Hugo Sanchez, Michel. Per me fu una fortuna giocare quella gara, e farlo da capitano».
E fu anche l’assist man dell’unico gol del Foggia…
«Sì, feci un cross in area che venne concretizzato bene da un compagno. Ma considerando che affrontavamo una squadra di quel calibro, il risultato fu relativo. Importante era far bella figura davanti al nostro pubblico, anche perché era la serata di presentazione per l’avvio della nuova stagione».
Erano gli albori del “Foggia dei miracoli” guidato da Zeman. Il tecnico boemo era già passato sulla panchina rossonera nella stagione 1986-87, ma fu esonerato. Cosa non funzionò?
«Arrivò in un periodo di transizione, quello tra la proprietà di Antonio Lioce e di Pasquale Casillo. Quest’ultimo, insieme al direttore sportivo Giuseppe Pavone, operò una vera e propria rivoluzione acquistando calciatori giovani ed un tecnico allora emergente, qual era appunto Zeman: fino a quel momento aveva allenato giusto le giovanili del Palermo e il Licata. Non fu una parentesi positiva anche a causa della penalizzazione iniziale dalla quale partimmo, ma già si intravedeva il suo metodo di lavoro».
Che ricordo ha invece di Giuseppe Marchioro, l’allenatore di quel Foggia che affrontò il Real Madrid?
«Sicuramente aveva un modo di intendere il calcio molto diverso da Zeman. Ma era una persona per bene, un signore».
Che gruppo di calciatori eravate?
«Non eravamo stelle, ma avevamo tanta voglia di metterci in mostra. Eravamo motivati da una buona società, giovane, che aveva delle idee importanti. Questo faceva sì che remassimo tutti dalla stessa parte. Eravamo un gruppo coeso, tant’è che ancora oggi continuiamo a sentirci, nonostante siano passati molti anni, segno del fatto che quell’esperienza ha cementato i rapporti».
Era un calcio diverso da quello di oggi?
«Molto diverso. La serie C come livello tecnico era professionismo vero, mentre oggi si avvicina di più al semi-professionismo. E la serie B era una sorta di anticamera della serie A. E poi non c’era ancora la legge Bosman, che rivoluzionò il calcio: prima i calciatori erano vincolati alle decisioni delle società, da quel momento in poi si sentirono più liberi».
Diverso era anche il rapporto tra calciatori e tifosi?
«Sì, non esistevano i siti internet e, soprattutto in provincia, nemmeno le tv a fare da filtro. E c’erano meno barriere. Il rapporto era più diretto. I tifosi venivano ad assistere agli allenamenti, parlavano con noi, c’era meno formalità».
Che effetto le fa vedere il Foggia oggi condannato a ripartire dai dilettanti?
«È un dolore nel cuore. Anche perché aveva fatto tanto per tornare ai livelli che competono a una piazza del genere. La giusta dimensione del Foggia è una serie B tranquilla, con qualche promozione in serie A ogni tanto».
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