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SE LE statistiche sul Covid nel sud del mondo sono complicate da elaborare, molto più chiaro è l’effetto della pandemia: minori esportazioni di materie prime, meno lavoro, più disuguaglianze e maggiore povertà. Nessuno ne parla e poi ci stupiamo delle migrazioni, della destabilizzazione e delle rivolte. Mentre si continua a non affrontare il vero problema: come distribuire in modo efficace i vaccini e dove farli produrre. Circa 17 milioni di persone sono morte di Covid nel mondo, secondo i dati dell’organizzazione Oxfam. Oltre la metà, 9 milioni, potrebbero essere ancora vive, se avessero avuto accesso ai vaccini.
Nei Paesi in via di sviluppo la percentuale di persone che muoiono per il virus è ancora doppia rispetto ai Paesi ricchi La devastazione causata dal Covid-19 nei Paesi poveri è soprattutto di natura economica e sociale. Da quasi due anni gli africani, asiatici, latino-americani, sono stretti nella morsa di una pandemia che non è la stessa per tutti.
Nel mondo ricco il Covid-19 è diventato una delle prime cause di morte. Nei Paesi poveri, invece, la principale macchina di distruzione non è la malattia, ma i suoi effetti collaterali, cioè le misure che sono state prese, da loro e da noi, per frenare la diffusione del nuovo Coronavirus.
VULNERABILITÀ DIVERSE
I Paesi ricchi e quelli poveri hanno vulnerabilità diverse. I dieci uomini più ricchi del mondo, tra marzo 2020 e novembre 2021, hanno raddoppiato i loro patrimoni da 700 a 1.500 miliardi di dollari. Si tratta di Elon Musk, Jeff Bezos, Bernard Arnault e la sua famiglia, Bill Gates, Larry Ellison, Larry Page, Sergey Brin, Mark Zuckerberg, Steve Ballmer e Warren Buffet.
Nello stesso periodo, 160 milioni di persone – più degli abitanti di Germania e Francia messi insieme – sprofondavano nella povertà assoluta. Le ricadute della pandemia nel Sud del mondo sono state molto più pesanti che in Europa e negli Usa. Succede nell’economia e nella scuola, ma anche nella sanità pubblica. E in tutti questi campi sono spesso in gioco la vita e la morte. Cosa è accaduto e sta accadendo intorno a noi, lo spiega molto bene in un articolo sul Guardian Kwame Anthony Appiah, scrittore anglo-ghaneano, docente di legge e filosofia alla New York University.
Nei Paesi africani l’età mediana è tra i 18 e i 22 anni, e sappiamo che la malattia discrimina fortemente in base all’età. Il Covid-19, però, può uccidere anche ostacolando gli sforzi compiuti per arginare altre malattie, come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. In Africa 26 milioni di persone devono fare i conti con l’Hiv, e in un anno normale ne muoiono centinaia di migliaia.
La malaria, particolarmente letale per i bimbi sotto i due anni, causa la perdita di 400mila vite all’anno. Sono numeri grandi, ma in passato lo erano molto di più: un enorme impegno in campo sanitario li ha fortemente ridotti. Ma durante la pandemia le persone hanno smesso di andare negli ambulatori, anche perché è più difficile arrivarci. A loro volta gli operatori sanitari hanno limitato i loro spostamenti. Secondo un sondaggio condotto in 32 Paesi dal Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria, da aprile a settembre 2020 le visite ai centri di cura prenatali sono scese di due terzi, e le visite ai bambini di meno di 5 anni sono calate di tre quarti. Gli esperti di salute pubblica prevedono che il numero di persone che rischiano di morire di malaria nel mondo potrebbe raddoppiare per effetto indiretto della pandemia.
Nei prossimi anni potremmo registrare 400mila morti in più per la tubercolosi e mezzo milione in più per l’Aids. In buona parte del mondo la risposta al Covid-19 ha scatenato una “pandemia ombra”. Il vero costo in vite umane non è solo quello delle vittime della malattia, ma anche delle morti per altre patologie che avremmo potuto evitare.
TSUNAMI SULL’ECONOMIA
Nei Paesi ricchi la malattia ha ucciso le persone anziane. Nei Paesi in via di sviluppo le difficoltà economiche hanno ucciso i poveri. Quest’altra pandemia non è solo una storia di malattie, ma anche di povertà, fame, percorsi di studio interrotti e vite umane schiacciate. Un paragone si può fare con la crisi climatica. Nel mondo ricco alcuni pensano all’emergenza climatica come al problema di quanto tenere accesa l’aria condizionata, ma nei Paesi poveri è già una questione d’inondazioni, siccità e carestia. Disparità che caratterizzeranno probabilmente le prossime crisi.
La storia delle due pandemie è la storia di due realtà internazionali. La sfida del periodo post-pandemico sarà prendere sul serio il concetto di “comunità internazionale” e integrare le due realtà. Anche nei Paesi ricchi l’economia è stata messa a dura prova dalla pandemia. Ma questa parte del mondo ha potuto spendere somme enormi per attenuare le difficoltà finanziarie causate dai lockdown e dai protocolli di distanziamento sociale. I Paesi a basso reddito non hanno risorse paragonabili.
Alcuni mesi fa un gruppo di ricercatori ha condotto sondaggi tra i nuclei familiari di nove Paesi poveri in Africa, America Latina e Asia per capire com’è cambiato il loro tenore di vita durante la pandemia. In questi Paesi dalla popolazione relativamente giovane, le conseguenze del Covid sulla salute delle persone sono state meno gravi che negli Stati più ricchi (e invariabilmente più anziani). La loro vulnerabilità economica, però, è decisamente maggiore. Nelle famiglie in genere c’è stata una diminuzione dei guadagni, tra chi ha perso il lavoro e chi ha difficoltà a vendere le proprie merci. In Kenya metà delle famiglie rurali intervistate ha dovuto saltare i pasti o ridurli; in Sierra Leone la percentuale sfiora il 90%. Quando la pandemia è arrivata in India, 140 milioni di lavoratori migranti sono rimasti senza lavoro e sono stati rispediti ai loro villaggi, mettendo in una situazione spaventosa i familiari che dipendevano da loro. In tutto il mondo il numero delle persone in condizioni di povertà estrema è aumentato per la prima volta dal 1997, e gli analisti non prevedono un rapido recupero quando la crisi sanitaria sarà passata.
L’Africa si aspettava una crescita economica del 3,2% nel 2020. Si stima che sia stata dello 0,8%. Con un tasso di crescita della popolazione intorno al 2,5%, per molti questo si traduce nell’avere meno da mangiare e per altri in malnutrizione. Nei Paesi ricchi le conseguenze mediche del Covid hanno ucciso le persone anziane. Nei Paesi in via di sviluppo le conseguenze economiche della malattia hanno ucciso i poveri.
DANNI A CATENA
In Kenya, Paese a reddito medio-basso dove nel 2020 il Pil è diminuito per la prima volta in trent’anni, milioni di famiglie vicine alla soglia di sussistenza hanno sofferto gravemente. Le donne sono state particolarmente colpite, perché spesso lavorano nel commercio al dettaglio, nell’ospitalità e nel turismo. Le perdite globali del settore turistico sono stimate in ottomila miliardi di dollari.
Ma per capire meglio come la pandemia abbia scosso il Kenya, va considerato che tra i suoi principali prodotti d’esportazione ci sono i fiori: gigli, garofani e rose. Negli ultimi anni il Kenya si è affermato come il maggiore esportatore di rose nell’Unione europea. Nell’ultimo anno e mezzo le vendite sono crollate. I lavoratori sono stati messi in aspettativa o hanno ricevuto salari ridotti. Nell’Africa occidentale – in Ghana e in Costa d’Avorio – è successo lo stesso con il cacao. Insieme i due Paesi coprono circa i due terzi delle forniture globali di cacao, principale prodotto d’esportazione ivoriano.
In Ghana le esportazioni d’oro e petrolio hanno un valore monetario più alto, ma non hanno la stessa importanza per il Paese perché i due settori impiegano meno persone e creano meno entrate per lo Stato. Gli economisti calcolano che fino a un terzo della forza lavoro del Ghana dipenda direttamente o indirettamente dal cacao. Durante la pandemia il consumo di cioccolato è diminuito. Le turbolenze del cambiamento climatico sono come quelle del Covid, ma al rallentatore. Il prezzo lo paga chi non se lo può permettere. Il Ghana e la Costa d’Avorio avevano entrambi grandi progetti per il 2020. L’industria del cioccolato ha un giro d’affari di 130 miliardi di dollari l’anno, ma solo una minima percentuale finisce ai milioni di piccoli produttori dell’Africa occidentale. Che non se la passano bene: in media, ognuno coltiva circa tre ettari e mezzo di terreno, e deve mantenere sei o più familiari. È un lavoro duro. Molti agricoltori sbarcano a malapena il lunario.
Un rapporto dell’Unicef del 2018 ha calcolato che un coltivatore di cacao dell’Africa occidentale guadagnava in media tra gli 0,50 e gli 1,25 dollari al giorno. Fiori che appassiscono, cacao che marcisce: i sistemi del commercio internazionale hanno maltrattato il sud del mondo. Ma ci sono comunque lezioni da trarre dalla vulnerabilità del sud durante la pandemia. La prima è che, se ignorano le realtà del mercato o non affrontano gli ostacoli internazionali, i programmi di sviluppo nazionale autogestiti non funzionano. In tutta l’Africa e l’America Latina gli Stati hanno economie organizzate intorno all’esportazione di materie prime legate alla pesca, all’agricoltura o all’industria mineraria. In gran parte dei casi, la lavorazione di questi prodotti prima della vendita è minima: il valore aggiunto è scarso. È molto diffusa l’imprenditoria di sussistenza, accompagnata da un’alta vulnerabilità associata al lavoro informale e ai bassi tassi di risparmio.
Nel frattempo la crisi climatica peggiora tutto. Quando l’agricoltura è inefficiente impiega più terra, questo aggrava la deforestazione, che aggrava i cambiamenti climatici, che aggrava l’inefficienza dell’agricoltura.
ANNI PERSI PER L’ISTRUZIONE
Nella “pandemia ombra” del sud del mondo, le conseguenze più durature potrebbero riguardare istruzione e competenze: il capitale umano. La chiusura delle scuole è stata un problema grave ovunque. In tutto il mondo, 1,6 miliardi di studenti hanno interrotto le lezioni. Ma le aule dell’Africa sono state chiuse più a lungo rispetto alla media mondiale, e questo è un continente dove l’età mediana è inferiore a vent’anni. I Paesi a basso reddito, dicono i ricercatori della Banca mondiale, «potrebbero perdere più di tre anni dei loro investimenti nell’istruzione di base», e questo comporterà una perdita altrettanto grande di guadagni futuri.
Per molte famiglie il problema non è l’accesso a internet, ma l’elettricità. Tra aprile e agosto 2021, l’ong statunitense Human rights watch (Hrw) ha condotto interviste in tutta l’Africa scoprendo che molti bambini non ricevevano nessun tipo di istruzione. Un adolescente di Garissa, in Kenya, ha detto ai ricercatori di Hrw che le lezioni erano trasmesse da una radio locale, ma lui non aveva la radio.
Per avere una situazione internazionale più giusta e sicura – sottolinea Appiah – dobbiamo tenere conto di rischi sistemici concepiti nei termini più ampi possibili. E il commercio senza responsabilità è un rischio che non possiamo permetterci: allettante come una scatola di cioccolatini, deperibile come un fiore reciso.
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